«Il diritto alla vita non è dato dai governi, per continuare ad esistere la civiltà si deve conformare alla morale naturale». Il "padre della genetica moderna" e scopritore della causa della Trisomia 21, Jérôme Lejeune, verrà ricordato in un congresso internazionale di Bioetica a Roma il 17 e 18 maggio. La Bussola intervista Aude Dugast, postulatrice della causa di canonizzazione.
INTERVISTA / AUDE DUGAST
Ermes Dovico, 26-03-2024
Ampio e di elevato livello il parco dei relatori, che comprende bioeticisti, docenti universitari, filosofi, giuristi, medici e ricercatori. Una trattazione multidisciplinare, dunque, ma appunto “unita” dall’eredità scientifica e morale di Lejeune. La Bussola ha intervistato la filosofa Aude Dugast, postulatrice della causa di canonizzazione di Lejeune e tra le organizzatrici del congresso.
Aude Dugast, iniziamo dal tema generale del convegno: perché è importante riscoprire il pensiero di Jérôme Lejeune per affrontare le sfide della bioetica nel XXI secolo?
Perché Lejeune era un grande scienziato, cattolico, con uno sguardo veramente profetico sulla scienza e sulla medicina. Questo sguardo profetico gli veniva da una scienza di altissimo livello, da un’eccellenza accademica che gli era riconosciuta in tutto il mondo e da un amore grande verso i pazienti e le loro famiglie. Quando leggiamo le sue conferenze, i suoi articoli, si vede che lui sembra che parli di oggi. Per esempio, quando parlava dell’eutanasia 40 anni fa, sembra che stia descrivendo ciò che sta accadendo oggi in Francia e nel mondo, a livello di media, politica, medicina. Aveva capito, prima di tutti, il collasso della medicina e della società. Diceva: «L’aborto è l’interruzione di una vita che disturba. L’età non ha nulla a che fare con questo. Gli anziani sono a rischio tanto quanto i giovani». Lui partiva da un discorso di ragione, comprensibile a tutti: partiva dal Giuramento di Ippocrate, dunque 400 anni prima della nascita di Gesù Cristo, argomentando che tutti i medici, credenti e non credenti, sono legati a questo Giuramento, che impedisce di dare la morte.
Il Parlamento francese ha inserito il diritto all’aborto nella Costituzione e c’è il rischio che altri Paesi seguano a ruota. Lejeune fu un fermo oppositore dell’aborto. Quanto manca alla Francia e al mondo una figura come lui?
Dopo il voto della Legge Veil, un giornalista chiese a Lejeune se fosse la sua sconfitta. E lui gli rispose: «Non è la mia sconfitta, è la sconfitta dei bambini della Francia». Era molto triste perché era una cosa molto concreta, che avrebbe significato la morte di milioni di bambini. Era un dolore molto incarnato e concreto. Ma lui non si è arreso, chiamava all’azione. E diceva: «Il diritto alla vita non è dato dai governi. I governi quindi non hanno il potere di togliere questo diritto a nessuno. Affinché la civiltà continui a esistere la politica dovrà necessariamente conformarsi alla morale: alla morale che trascende tutte le ideologie perché è scritta nel nostro intimo dal decreto impenetrabile che governa sia le leggi dell’universo sia la natura degli esseri umani».
Lejeune ha scoperto la causa della Sindrome di Down. Ma come uomo e pediatra che cos’è stato per i bambini con questa sindrome e per i loro genitori?
Questa scoperta è stata una rivoluzione: la prima scoperta al mondo di una malattia con una causa cromosomica, un passo avanti gigantesco per la genetica. Lejeune è stato infatti chiamato “il padre della genetica moderna”. Però la rivoluzione più importante è stata umana: un cambiamento totale per le famiglie. Lejeune voleva cambiare il nome di questa malattia, l’ha chiamata Trisomia 21, per lasciarsi dietro lo stigma e le false idee che accompagnavano il mongolismo, come si diceva prima. Si pensava che fosse contagioso oppure “una vendetta di Dio” per i peccati dei genitori. Quindi, le famiglie non solo avevano un bambino con una disabilità, ma c’era la pressione della società che le guardava male. Grazie a Lejeune cambiò totalmente lo sguardo di molti genitori sui loro figli, e anche lo sguardo della società. Ho avuto tante testimonianze di genitori, di fratelli e sorelle che hanno vissuto questo momento storico e che mi hanno detto che ha cambiato tutto, di essere passati da un senso di vergogna alla speranza, grazie al professor Lejeune che amava tantissimo i loro figli con Sindrome di Down. Sono stati colpiti dal modo in cui guardava il loro bambino, con amore incondizionato. Con il suo sguardo, ha fatto sì che anche i genitori imparassero ad amare questi loro figli. Tanto che il giorno del suo funerale a Notre-Dame, un giovane con la Sindrome di Down, Bruno, ha attraversato la cattedrale di Parigi per prendere il microfono e dire ai 2.000 presenti: «Grazie, professor Lejeune, per quello che hai fatto per me. Grazie a te, sono orgoglioso di me stesso».
Grazie agli studi di Lejeune sono stati fatti passi avanti nelle cure?
Per raccogliere la sua eredità scientifico-culturale, è stata creata la Fondazione Jérôme Lejeune. E adesso a Parigi abbiamo un ambulatorio con 12 mila pazienti, il più grande ambulatorio d’Europa per questi pazienti. Ne abbiamo aperto anche uno in Spagna e un altro in Argentina. E, come Lejeune, facciamo anche ricerca: ricerca clinica con i pazienti e ricerca fondamentale, dunque lavoriamo con tanti laboratori nel mondo, che grazie al nostro aiuto sul piano finanziario hanno ricominciato a lavorare sulla Trisomia 21.
La genetica progredisce rapidamente, ma non sempre in un senso davvero umano. Che cosa ne pensava Lejeune dei test prenatali fatti con il fine di eliminare i bambini “imperfetti”?
Questa eliminazione dei bambini imperfetti era per lui un crepacuore, perché la sua scoperta e la sua ricerca erano pensate per essere al servizio dei bambini, per provare di curarli; invece c’è chi le ha usate contro di loro. Lui diceva che «il razzismo cromosomico è orribile come tutte le forme di razzismo» e ancora che «la medicina per l’aborto, è l’aborto della medicina». Quando alcune persone gli chiedevano “ma perché non fa i test prenatali?”, lui diceva che un test prenatale per aiutare la famiglia ad accogliere un bambino diverso va benissimo, ma sapeva che purtroppo nella maggior parte dei casi quest’accoglienza non avveniva. E non avviene.
A proposito del legame tra scienza e fede in Lejeune, lei ha parlato di «santità dell’intelligenza». Perché?
Nello studiare la causa di canonizzazione di Lejeune mi ha colpito questa santità dell’intelligenza. La fede è la virtù dell’intelligenza che è attaccata alla verità. E lo vediamo veramente in Lejeune perché lui è sempre rimasto fedele alla verità. Ha sempre capito che non c’è contraddizione tra la fede e la scienza, perché la fede ci dà la verità rivelata e la scienza ci fa capire come funziona il mondo: il mondo creato dal Creatore; la vera scienza non ci può dare delle conclusioni diverse su ciò che Dio ha fatto. Quando sembra che ci siano delle differenze tra le conclusioni della scienza e quelle della fede, lui diceva che allora bisogna cercare di più sul piano scientifico perché sicuramente c’è qualcosa che ci sfugge, che non abbiamo capito bene. E quando la sua intelligenza gli ha indicato la strada da seguire, anche se ripida, come difendere pubblicamente la vita dei suoi pazienti e rischiare attacchi violenti, non ha avuto paura: l’ha seguita. Ha difeso eroicamente la verità della medicina. La verità, unita alla carità, era la sua bussola. E il suo esempio faceva dei miracoli.
Dei miracoli?
Sì, nel senso delle conversioni. Conosco almeno due esempi di medici che dopo aver ascoltato un suo discorso si sono convertiti e hanno cambiato vita, lasciando pratiche come l’aborto e la fecondazione artificiale.
Al convegno si parlerà anche del legame tra san Giovanni Paolo II e Lejeune. Papa Wojtyła aveva una grande stima di Lejeune. Se dovesse ricordare un aspetto di questa stima, quale sottolineerebbe?
C’era un’amicizia e una comunione spirituale molto profonda. Lejeune non si diceva un amico del Santo Padre perché era troppo umile. Invece Giovanni Paolo II diceva che Lejeune era un suo grande amico. Infatti, ogni volta che Lejeune andava a Roma, Giovanni Paolo II lo invitava ad andare alla Messa privata al Vaticano. Il Santo Padre gli chiese anche di istituire la Pontificia Accademia per la Vita, di cui Lejeune scrisse gli statuti e la Dichiarazione dei “Servitori della Vita”, che vincolava ogni nuovo membro. E poi, nel 1994, il Papa lo nominò primo presidente dell’Accademia, che Lejeune poté guidare solo 33 giorni, perché la mattina di Pasqua di quell’anno, era il 3 aprile, rese l’anima a Dio.
A chi si rivolge idealmente il vostro convegno?
È aperto a tutti: ricercatori, medici, scienziati, filosofi, giuristi, insegnanti e in generale a tutti coloro, come i giovani, che hanno bisogno di avere le idee chiare su tutte le sfide della bioetica di oggi.
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Per scaricare il programma completo del convegno, clicca qui. Per le iscrizioni, bisogna registrarsi sul sito https://internationalbioethicscongress.org/it/
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