Un nuovo documento e una lettera in vista del secondo round del processo sinodale. Dai cinque temi indicati e dal metodo è già chiaro dove si andrà a parare: la continua evoluzione (o dissoluzione) della fede.
Stefano Fontana, 16-03-2024
Il percorso sinodale procede. La segreteria generale del Sinodo ha pubblicato il documento dal titolo Come essere Chiesa sinodale in missione? in vista della seconda sessione del sinodo prevista per il prossimo ottobre. Su questa base dovrebbe partire la nuova fase di consultazione per arrivare poi alla redazione del nuovo Instrumentum laboris. Nello stesso tempo Francesco ha inviato una lettera al cardinale Mario Grech, segretario generale del sinodo, disponendo che vengano costituiti dei gruppi di studio sinodali per analizzare alcuni punti indicati nella stessa lettera. La complessità di questi temi, secondo Francesco, richiederà un approfondimento specifico per il quale i lavori del sinodo sarebbero poco adatti. Partiranno quindi in via parallela questi gruppi di studio che in ottobre riferiranno al sinodo quanto da loro elaborato nel frattempo e potranno continuare i lavori anche in seguito, fino al giugno 2025. Che ormai il sinodo si avvicini molto ad essere un processo “permanente” risulta così ancora più evidente.
Le molteplici critiche rivolte al progetto sinodale in corso, tra cui quelle della Bussola soprattutto con il convegno romano del 3 ottobre 2023 La babele sinodale, possono essere riassunte in due. La prima è che la definizione della nuova sinodalità come un “camminare insieme” dà la priorità al verbo camminare, non indica tanto una realtà quanto un percorso o meglio una realtà che nasce da un percorso. Si dice, infatti, che la Chiesa è sinodale mentre invece essa è una, santa, cattolica e apostolica e, in quanto tale, ha anche una sinodalità, senza però essere sinodale, come ha una conciliarità, senza però essere conciliare. Dando la precedenza all’atto piuttosto che al contenuto, la nuova teologia della sinodalità assume in proprio l’impostazione del modernismo filosofico e teologico secondo il quale il metodo viene prima del contenuto, il pensare prima dell’essere, il fare prima della realtà, l’interpretare prima del conoscere e, per dirla con Cornelio Fabro, l’esistenza prima dell’essenza. La cosa non è da prendere sottogamba, dato che si tratta, in fondo, del principio di immanenza.
La seconda principale critica riguarda la regia del processo sinodale fatta dal centro con una pianificazione sistematica in modo tale da condurlo verso risultati prestabiliti, facendo credere che tali esiti siano nati dal percorso stesso. I dati a conferma di questa valutazione sono innumerevoli, dalle nomine dei responsabili principali ai “facilitatori” ai tavoli di lavoro, dai documenti pontifici fatti uscire durante i lavori sinodali per fissare dei punti di non ritorno alle dichiarazioni di intenti esternate alla stampa durante qualche intervista. Per fare un solo esempio: tutti sanno già da ora che dal sinodo uscirà la decisione di ordinare le donne diacono. Papa Francesco lo ha fatto capire più volte ed è emerso anche il modo per farlo: inventarsi un diaconato femminile “non sacramentale”. A questo penserà il cardinale Fernández che già si è inventato una benedizione “non liturgica”. La nomina del nuovo prefetto della Dottrina della Fede, dopo quella del relatore e del segretario del sinodo, ambedue fedeli “sinodalisti”, garantisce che la strada per attuare quanto si è deciso che il sinodo deciderà si troverà, in un modo o nell’altro.
Non si pensi che i due punti ora visti siano in contrasto tra loro: dire che la sinodalità è un processo e contemporaneamente dirigerla in via preventiva. Se una realtà diventa un processo storico, colui o coloro che presumono di conoscere il senso di questo processo storico non solo possono ma devono condurlo ai suoi esiti. Alla logica dello storicismo non si sfugge.
Ora, se esaminiamo i due nuovi documenti, la lettera del Papa a Grech e il documento della segreteria in vista della nuova fase del sinodo, si trova conferma delle osservazioni ora fatte. La segreteria indica cinque temi di analisi e discussione e di ognuno si può già individuare dove andrà a parare. Il primo punto – “Il volto sinodale missionario della Chiesa locale” – è destinato a condizionare il ruolo del vescovo ponendogli attorno nuovi “organismi di comunione” che lo immobilizzino e lo uniformino ad uno standard. Il secondo punto – “Il volto sinodale missionario dei raggruppamenti di Chiese” – è destinato ad “anglicanizzare” la Chiesa cattolica, attribuendo alle Conferenze episcopali poteri dottrinali e disciplinari, cosa su cui Francesco insiste fin da sempre. Tra l’altro l’espressione “raggruppamenti di Chiese” mette in grave agitazione. Il terzo punto – “Il volto sinodale missionario della Chiesa universale” – finirà con una revisione del primato del vescovo di Roma a fronte di un aumento di ruolo di organismi sinodali e collegiali. Il quarto punto – “Il metodo sinodale” – confluirà in una prassi generalizzata di “discernimento” dagli esiti non solo consultivi ma anche deliberativi. L’ultimo punto – “Il ‘luogo’ della Chiesa sinodale in missione” – ci porta alla “situazione” esistenziale e storica come luogo ermeneutico dell’autocomunicazione di Dio e quindi della formazione della coscienza credente. Quest’ultimo punto mira a consegnare l’esperienza di fede nella Chiesa alla insuperabile relatività della situazione e alla mutevole storicità come luogo teologico di una fede sempre in evoluzione.
Nessun commento:
Posta un commento