Coena Domini
Di Alberto Strumia, 28 Marzo 2024
Giovedì Santo (in Coena Domini)
(Es 12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15)
di Alberto Strumia
Nella Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, come ogni anno, le letture della liturgia di questa celebrazione, ci rimettono istruttivamente di fronte alle verità di fede sull’Eucaristia. È il giorno dell’istituzione, da parte del Signore, dei due Sacramenti dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale, necessari per garantire la continuità della vita della Chiesa sulla terra, attraverso la continuità della Presenza Reale di Cristo.
1. Nella prima lettura, il Libro dell’Esodo descrive la modalità della celebrazione della Pasqua ebraica, nella quale veniva immolato e consumato come cibo l’agnello, in ogni famiglia. Nell’Agnello pasquale la Chiesa ha riconosciuto una figura profetica di Cristo e della Sua Crocifissione, per la Salvezza degli uomini.
Questa prima lettura, compresa alla luce della Fede cristiana, ci mette davanti la “realtà dei fatti”, anche come oggi la stiamo vivendo.
– Un mondo che si mette contro Dio e contro Cristo come unico Salvatore, a somiglianza dell’antico Egitto, si condanna con le sue mani ad essere soffocato fino a morire dalle “piaghe” (le ben note “piaghe d’Egitto”) che giorno dopo giorno, finiscono per divorarlo. La più estrema delle quali è l’uccisione dei bambini prima o dopo la loro nascita, compiuta in modo diretto o indirettamente con il loro maltrattamento. L’angelo sterminatore, che causa la morte dei primogeniti, non è altro che il venir meno dell’obbedienza alla Legge naturale del rispetto della vita. L’umanità stessa, il popolo si autocondanna all’estinzione per avere eliminato la natalità.
– L’Agnello di quell’antica pasqua significa Cristo che si sacrifica come vittima per ristabilire la giustizia con Dio Creatore, che l’umanità in blocco ha rifiutato di seguire, fino dalle sue origini e continua a rifiutare ostinatamente quando si allontana dalla Fede in Cristo.
2. Nella seconda lettura san Paolo ci parla dell’istituzione del Sacerdozio ministeriale («ho ricevuto quello che a mia volta vi ho trasmesso») e descrive letteralmente l’istituzione dell’Eucaristia durante l’Ultima Cena, riportando quelle parole di Gesù che oggi noi ripetiamo nella Messa per consacrare il pane e il vino, così che Cristo “in persona” lo converta nel Suo Corpo e nel Suo Sangue.
Per ritornare ad accedere alla “giustizia originale”, al “giusto modo” del rapporto tra l’uomo e Dio Creatore, occorre “mangiare” questo Agnello che è Cristo, che è Dio stesso che ha preso in sé la natura umana decaduta, danneggiata, per ripararla. Occorre alimentarsi di Cristo. È l’Eucaristia che il Signore, nell’Ultima Cena, ha istituito per noi. Per questo, prima di riceverla, il sacerdote mostra ai fedeli l’Ostia consacrata, indicandola come l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. E perché ci sia l’Eucaristia lungo i secoli della storia, ha istituito anche il Sacramento dell’Ordine, che consente ai fedeli, mediante il ministro che opera impersonando Cristo (in persona Christi) di essere riconnessi con l’Ultima Cena, con quella originaria consacrazione che converte sostanzialmente il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue del Signore.
3. Nel Vangelo, infine, l’Evangelista Giovanni parla della “carità”, che è il modo di amare di Cristo, come “effetto”, che in noi è prodotto dell’Eucaristia che ne è la “causa”. Il gesto della lavanda dei piedi sta a significare questa connessione. Si dice, infatti, che con quel gesto, Gesù “amò” gli Apostoli nel modo più grande che essi potessero ricevere: «li amò sino alla fine». Non solo in senso “temporale” per indicare che la Sua vita terrena era prossima alla fine, ma anche e soprattutto fino all’estremo confine, della loro capacità di contenere l’amore ricevuto.
Questo modo di amare che partecipa del modo di amare di Cristo, viene indicato come il “modello esemplare” di ciò che è la carità cristiana: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
Pietro è inizialmente tentato dal rinnovare l’originario peccato del “rifiuto” di questo modo estremo di amare di Cristo. Perché gli sembra troppo grande e non necessario –addirittura non dignitoso da parte del Figlio di Dio – pensando, come l’uomo di oggi, di non averne bisogno, essendo capace di fare da solo per mantenersi pulito e a posto («Tu non mi laverai i piedi in eterno!»). Ma non appena gli viene prospettata l’immagine dell’Inferno che è la separazione totale dal Signore («Se non ti laverò non avrai parte con me»), si rende conto della realtà delle cose e si ricrede subito: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo». Quelle mani e quel capo che, nel rito della Chiesa, ricevono la consacrazione e l’imposizione nel Sacramento dell’Ordine.
Tutto si ricollega con l’insegnamento di Cristo, attraverso la Tradizione della Chiesa.
Questa liturgia del Giovedì Santo è fatta per ricordarcelo, per fissarlo nella nostra intelligenza e nel nostro affetto, come si dovette fissare nella mente e nel cuore di Pietro e degli Apostoli che vissero dal vivo quei momenti.
Come si fissarono nella mente e nel cuore della Vergine Maria fino dal momento dell’Annunciazione, e si rifecero sentire ogni volta che il Bambino Gesù faceva avvertire la Sua presenza nel corpo di lei.
Chiediamo che anche oggi, nel corpo della Chiesa, si ritorni a “sentire” fisicamente la Presenza del Signore, a rispettarla e ad adorarla nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Amen!
Bologna, 28 marzo 2024
Nessun commento:
Posta un commento