I criteri per la morte cerebrale oggi in uso non danno la certezza della morte ed «è quindi sbagliato rimuovere organi da pazienti dichiarati morti utilizzando questi criteri inadeguati». L’appello dei Cattolici uniti.
Joseph Eble, medico e presidente dell’Associazione Medica Cattolica della Tulsa Guild, John Di Camillo, esperto di etica del Centro Nazionale Cattolico di Bioetica, e Peter Colosi, professore di filosofia all'Università Salve Regina, sono i tre autori di un appello dal titolo Cattolici uniti sulla morte cerebrale e la donazione di organi: un invito all'azione, pubblicato il 27 febbraio scorso e sottoscritto da 151 professionisti provenienti dai più diversi ambiti: da quello sanitario a quello teologico, da quello filosofico a quello bioetico, etc.
In esso si può leggere che «il concetto di morte cerebrale è stato controverso sin dalla sua introduzione nel 1968. Si sostiene che la morte si verifica quando il cervello non funzioni più. Secondo l’UDDA (Uniform Determination of Death Act) del 1981, una legge modello adottata dalla maggior parte degli stati degli Stati Uniti, una persona è legalmente morta se c’è “la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’intero cervello”». Nel dicembre del 2019 è stata proposta una modifica di questa legge affinché si potesse dichiarare morta anche la persona con qualche funzione cerebrale attiva, in aderenza a quanto avviene nella prassi, sebbene la legge prescriva altro. Nel luglio del 2023 la Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti (USCCB) e il Centro Nazionale Cattolico di Bioetica (NCBC) hanno pubblicato un documento in cui si affermava che «le linee guida cliniche sviluppate dall’American Academy of Neurology e da altri soggetti non valutano la funzione neuroendocrina, consentendo così che ai pazienti con funzionamento dell’ipotalamo sia attribuita la morte cerebrale completa». A seguito di questa presa di posizione e di molte altre critiche provenienti dal settore scientifico e bioetico, la proposta di modifica della legge del 1981 fu accantonata.
Ma nel dicembre del 2023 l’American Academy of Neurology (AAN) ha pubblicato delle nuove linee guida – linee guida seguite in tutti gli USA – in cui si accetta di considerare clinicamente morta una persona sebbene il suo ipotalamo funzioni ancora. Come accennato, questa svolta va a registrare nero su bianco quanto già avviene nelle corsie di ospedale.
Secondo gli autori di questo appello, l’84% dei pazienti dichiarati cerebralmente morti negli ultimi dieci anni aveva conservato le funzioni dell'ipotalamo. E così concludono: «In poche parole, gli attuali criteri per la morte cerebrale, ampiamente utilizzati, non forniscono la certezza morale (prudenziale) della morte. […] È quindi sbagliato rimuovere organi da pazienti dichiarati morti utilizzando questi criteri inadeguati». Il documento ci informa che il 70% dei donatori statunitensi viene dichiarato morto utilizzando i criteri adottati dall’AAN, con tutti i rischi annessi.
Considerato tutto ciò, i tre autori indicano alcune azioni concrete per i cattolici statunitensi, tra cui ricordiamo: rifiutare lo status di donatore e, qualora si fossero redatte delle direttive anticipate di trattamento, inserire il rifiuto alla donazione degli organi. Ai politici, tra gli altri suggerimenti, l’appello chiede che sia permessa l’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari in merito agli attuali criteri per determinare la morte cerebrale. Ai cattolici impegnati e ai sacerdoti si chiede, tra le altre cose, di «ribadire con fermezza l'insegnamento della Chiesa sulla necessità della certezza morale della morte come condizione per il prelievo di organi vitali, [e di] ribadire con fermezza l'insegnamento della Chiesa sulla legittimità di rifiutare o ritirare mezzi straordinari di conservazione della vita». Meglio sarebbe stato far riferimento a «mezzi non proporzionati» – espressione adottata nei più recenti documenti del Magistero – piuttosto che a «mezzi straordinari» perché esistono mezzi straordinari assolutamente efficaci nel curare, ossia assolutamente proporzionati per gli scopi terapeutici.
Nel comunicato stampa che accompagna l’appello si può leggere, poi, che «alcuni cattolici ritengono che la morte cerebrale rappresenti la vera morte quando si verifica la cessazione completa e irreversibile di ogni attività cerebrale, spesso chiamata morte cerebrale totale. Altri sostengono che la morte cerebrale non rappresenti la vera morte». Questo appello, però, mette d’accordo tutti perché le attuali linee guida per determinare la morte di una persona non sono accettabili anche da coloro i quali sostengono che la morte della persona avviene con la cessazione totale e irreversibile delle funzioni cerebrali, dato che, come appuntato, per le attuali linee guida tale completa cessazione delle funzioni cerebrali non è criterio necessario per determinare la morte cerebrale di un paziente.
Il comunicato stampa accenna quindi ad una divisione all’interno del mondo cattolico – e non solo all’interno di questo – tra coloro che sostengono che il criterio della cessazione definitiva e integrale delle funzioni cerebrali sia il criterio decisivo per dichiarare morta una persona e coloro i quali invece sostengono che tale criterio non sia sufficiente. La questione, tra gli altri percorsi argomentativi, si risolve partendo dalla comprensione di cosa sia l’essere umano vivente. Quest’ultimo può essere definito come un organismo attivo che appartiene alla specie umana. Ma cosa significa “organismo”? Per la Treccani “organismo” «è qualsiasi essere vivente, che sia dotato di una propria struttura cellulare specifica e che sia costituito da un insieme di organi tali da renderlo capace di vivere autonomamente, cioè di conservare la propria forma e di riprodursi». La definizione si può esprimere in termini ancor più sintetici così: l’organismo è un tutto organizzato, un essere le cui parti sono integrate tra loro. Quando questa integrazione cessa, non abbiamo più un organismo (vivente), ma un cadavere (se parliamo della persona umana) o una carogna (se parliamo di un animale). Quindi, quando cessa l’organizzazione interna, ossia la sua integrazione, abbiamo la morte dell’organismo.
Da qui la domanda: chi presiede l’organizzazione di questo tutto? Fino a poco tempo fa si pensava che fosse il cervello. Morto il cervello si credeva che fosse morta la persona. Ma, ed è questo lo snodo cruciale, si è verificato empiricamente – verifiche accertate in letteratura scientifica – che vi erano pazienti con cerebro non più funzionante, ma i cui organi, ovviamente sostenuti dall’intervento medico, continuavano ad integrarsi tra loro. Ma se c’è integrazione, seppur deficitaria dell’organo del cervello, c’è organismo. In breve, ciò che rileva per dichiarare morta una persona è la dis-integrazione degli organi, la mancanza del coordinamento tra gli stessi. Laddove ci sia questo coordinamento, sebbene il cervello non sia più funzionante, abbiamo ancora un organismo vivo. Tanto vivo che in letteratura si contano alcuni casi di donne gravide dichiarate cerebralmente morte ma capaci ancora di mettere al mondo il loro figlio. E un cadavere non può partorire [per approfondire R. De Mattei (a cura di), Finis vitae. La morte cerebrale è ancora vita?, Rubbettino Editore].
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