giovedì 21 marzo 2024

«Costrette a spogliarci e gareggiare contro transgender», le ragazze fanno causa alla Ncaa


Lia Thomas, prima atleta transgender a vincere il più alto titolo universitario
nazionale degli Stati Uniti nel 2022




Caterina Giojelli21/03/2024

Lia Thomas ha seguito le regole «ed è per questo che noi le stiamo sfidando. Perché il problema sono le regole. Non Lia Thomas». Riley Gaines è una delle sedici atlete che hanno fatto causa alla National Collegiate Athletics Association (Ncaa) per aver consentito ai transgender di competere contro di loro nei campionati universitari e di utilizzare gli spogliatoi femminili.

Una nuotatrice “ridotta” suo malgrado a comparsa nelle foto iconiche di Lia Thomas ai campionati Ncaa del 2022: stessa età ma spalle, peso, altezza, apertura alare, capacità polmonare, ossa e muscoli più grandi e allungati di qualunque coetanea.


«Ma state davvero dando la coppa a un maschio?»


Tempi vi aveva raccontato la storia di Gaines e di come si ritrovò a fronteggiare l’atleta trans dell’università della Pennsylvania nei 200 stile libero: arrivarono quinte a pari merito, ma gli organizzatori decisero di dare a Thomas il relativo trofeo, assegnando a Gaines quello per il sesto posto, «così posate per la foto». Gaines protestò immediatamente: «Ma state davvero dando la coppa a un maschio? Oggi voi fate un torto a una donna in una gara per donne». Quanto a Thomas non disse una parola, raccontò la ragazza al Daily Telegraph, né si offrì di fare cambio di trofei. «Mi diede proprio l’impressione che non si rendesse conto di nulla».

Lia Thomas, al secolo Will Thomas, prima di identificarsi come donna e lasciare i campionati maschili per quelli femminili, sembrava non rendersi conto nemmeno dell’imbarazzo del pubblico – genitori e nuotatrici dell’Ivy League -, mentre faceva incette di trofei in tutte le gare in cui partecipava, conquistava l’oro nei 500 stile libero, stabiliva record, guadagnava gli onori dell’All-America in prima squadra.


Nessuno tifava né contestava Lia Thomas


Nessuno faceva il tifo per Lia Thomas ma nessuno osava discutere la sua presenza, oltre 1,80 m di altezza, che svettava in costume da bagno intero e cuffia nera sulle loro figlie, tra proclami a inizio gara sull’importanza dell’inclusione, annunci contro ogni discriminazione razzista omofobica o transfobica.

Quando sedici atlete, compagne di nuoto e tuffi di Thomas alla Penn, scrissero al direttore della Ivy League, l’imbarazzo era evidente: come sostenere l’affermazione dell’identità di genere di Lia e allo stesso tempo sottolineare il suo vantaggio competitivo (era passata dal 462esimo posto in classifica nelle competizioni maschili al primo in quelle femminili) chiedendo che non le fosse permesso di accedere alle finali senza apparire transfobiche?


L’atleta transgender vuole le Olimpiadi

La lettera era stata “sepolta” dall’appello di oltre 300 tra atleti ed ex atleti, professionisti o universitari, che avevano chiesto alla Ncaa di lasciarla gareggiare. Pochi mesi dopo, la federazione internazionale del nuoto, la World Aquatics, decise di cambiare la sua politica di inclusione: gli atleti trans avrebbero potuto gareggiare nelle competizioni femminili solo se la transizione fosse stata intrapresa prima della pubertà. Per questo Lia Thomas qualche mese fa l’ha trascinata in tribunale, accusandola di discriminazione, chiedendo alla Corte arbitrale di Losanna di ribaltare la decisione e consentire la sua partecipazione ai Trials Usa olimpici e alle Olimpiadi del 2024 a Parigi (la categoria “aperta” inaugurata in Coppa del Mondo di ottobre a Berlino è andata deserta).

Thomas sostiene che le regole della World Aquatics non sono valide e sono illegali in quanto contrarie alla Carta Olimpica, la Statuto della federazione e la legge svizzera, compresa la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e la Convenzione sui diritti umani.


Il solito rompicapo del Titolo IX


Nello stesso momento e ribadendo che «il problema sono le regole», dodici nuotatrici, due atlete, una tennista e una giocatrice di pallavolo facevano causa alla Ncaa e alla Georgia Tech, che ha ospitato i campionati del 2022, per aver consapevolmente violato il Titolo IX, la legge federale e colonna della giurisdizione egalitaria americana che vieta la discriminazione su base sessuale nei programmi educativi che ricevono assistenza finanziaria dal governo.

Ricordate quel caso da manuale del cortocircuito politicamente corretto delle atlete del Connecticut? Il rompicapo “legale” – protagonisti Terry Miller e Andraya Yearwood, “sprinter” che si identificavano come donne e come tali dal 2017 partecipavano (e vincevano) tutti i più importanti campionati scolastici e statali di atletica lasciando indietro le coetanee, stabilendo nuovi record, soffiando loro trofei, medaglie (e borse di studio) – aveva costretto l’Ufficio per i diritti civili del Dipartimento della Pubblica Istruzione degli Stati Uniti d’America a chiedersi se in base allo statuto del 1972 fosse più discriminante costringere le studentesse a gareggiare (e perdere) contro i coetanei in transizione o impedire a questi di fare sport femminili.


Sedici ragazze fanno causa alla Ncaa


La vertenza depositata presso il tribunale federale della Georgia, dove si sono svolti i campionati del 2022, dall’Independent Council on Women’s Sports chiede alla federazione il ritiro e la riassegnazione alle ragazze di tutti i premi vinti da atleti trans nelle competizioni femminili, nonché il risarcimento dei danni morali e materiali.

Le atlete accusano la federazione di aver violato anche il 14esimo emendamento distruggendo spazi sicuri femminili come gli spogliatoi, permettendo a «uomini nudi che possiedono genitali maschili completi di spogliarsi di fronte a donne universitarie non consenzienti», privando al contempo quest’ultime – costrette a mostrare il loro corpo nudo – del loro diritto costituzionale alla «riservatezza fisica».


«Costrette a nasconderci per spogliarci»


Nelle interviste esclusive rilasciate dalle querelanti a The Free Press la fatica, l’imbarazzo e il disagio delle ragazze è palese. Nel tentativo di tutelare la propria privacy Kylee Alons, nuotatrice della Carolina del Nord, ha raccontato di aver passato i campionati a cambiarsi in un ripostiglio buio sotto le gradinate, «stavo letteralmente gareggiando per le medaglie d’oro statunitensi e olimpiche e mi stavo cambiando in un ripostiglio perché sentivo violata la mia privacy nello spogliatoio».

«Mai in 18 anni di carriera avevo visto un uomo cambiarsi lì davanti a me. Ho sentito immediatamente il bisogno di coprirmi», ha detto Kaitlynn Wheeler, che come Gaines nuotava per l’Università del Kentucky, costretta a spiegare che le tute per le gare di nuoto sono così strette che infilarle tentando di ripararsi con un asciugamano è impossibile. Un’altra ragazza ha confessato che la vista dei genitali di Thomas a dieci metri dal suo corpo nudo la turbava tanto da aver preferito cambiarsi in bagno.


La Ncaa festeggia 50 anni di diritti delle donne premiando un transgender


Non è la soppressione del testosterone o la scelta personale a rendere un maschio «idoneo a competere in una gara femminile»: una volta attraversata la pubertà nessun trattamento di soppressione ormonale può annullare un vantaggio biologico sulle donne «che nessuna donna potrebbe ottenere senza ricorrere al doping» (qui Tommy Lundberg, del Karolinska Institutet in Svezia e autore del paper Transgender Women in the Female Category of Sport: Perspectives on Testosterone Suppression and Performance Advantage spiega perché non si può resettare lo sviluppo maschile avviato dalla pubertà).

Lia Thomas ha sbaragliato le ragazze proprio nell’anno del cinquantesimo anniversario del Titolo IX: «La Ncaa distribuiva magliette con su scritto “50 anni di Titolo IX” e “50 anni di creazione di opportunità per le donne”», ha raccontato Gaines a Tfp, «la stessa gente che ci stava togliendo opportunità dicendoci che non eravamo degne di essere chiamate campionesse, mentre un uomo, che si limita a dire di essere una donna, lo è […] L’ironia e l’ipocrisia sarebbero quasi comiche ma ci sono state conseguenze reali».


Laurel Hubbard, pesista transgender ai Giochi di Tokyo (foto Ansa)


«Ha seguito le regole. Il problema non è Lia Thomas»

L’ultimo giorno dei campionati Réka György, eliminata dall’ingresso di Thomas in classifica dalla finale dei 500 stile libero, ha scritto una lettera a un funzionario della Ncaa ribadendo: «Rispetto e sostengo pienamente Lia Thomas. Sono convinta che non sia diversa da me o da qualsiasi altro nuotatore che si è svegliato alle 5 del mattino per tutta la vita per gli allenamenti mattutini. Ha sacrificato le vacanze in famiglia e le vacanze per una competizione. Si è spinta al limite per essere la migliore atleta possibile. Sta facendo ciò che la appassiona e se lo merita. Ma vorrei criticare le regole Ncaa che le permettono di competere contro noi, che biologicamente siamo donne».

Nessuno dalla Ncaa le ha mai risposto. Nemmeno quando la lettera diventò pubblica e György fu seppellita di messaggi. «Non so come possa essere orgoglioso di trovarsi sul podio», ha concluso Gaines senza usare i pronomi femminili ma ribadendo che Lia Thomas «ha seguito le regole. Ed per questo che noi le stiamo sfidando».




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