
EDITORIALI 13/04/2025
di Daniele Trabucco
SEDEVACANTISMO: UNA TEORIA PERICOLOSA PER LA FEDE
La teoria sedevacantista, sviluppatasi nei decenni successivi alla celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), sostiene, in forme più o meno radicali, la tesi secondo cui i pontefici succeduti a Pio XII (Papa dal 1939 al 1958) non sarebbero veri Vicari di Cristo, avendo essi, a giudizio dei sostenitori di tale ipotesi, deviato dall’integrità della fede cattolica e, pertanto, perso o mai acquisito validamente l’autorità papale.
Una simile posizione, se pur ammantata di zelo per la tradizione e la purezza dottrinale, si rivela, a un esame teologico, canonico e filosofico rigoroso, del tutto infondata e anzi pericolosamente lesiva della costituzione divina e visibile della Chiesa.
In primo luogo, si deve ricordare che la visibilità della Chiesa costituisce una nota essenziale della sua natura teandrica. Essa non è realtà meramente spirituale o invisibile, bensì società perfetta, gerarchica, visibile, fondata da Cristo e dotata di elementi sacramentali e giuridici.
Come insegna san Tommaso d’Aquino nella “Summa Theologiae” (III, q. 8, a. 3), l’unità visibile del Corpo mistico trova il suo principio formale nel Romano Pontefice, successore di Pietro.
La perpetuazione della Sede vacante per un tempo indefinito, come postulato dai sedevacantisti, dissolverebbe de facto la costituzione visibile della Chiesa, contraddicendo l’insegnamento costante del magistero, da “Pastor Aeternus” del Concilio Vaticano I a Lumen Gentium del Vaticano II, e venendo meno all’indefettibilità promessa da Cristo stesso.
Sotto il profilo canonico, tanto il Codice Pio-Benedettino del 1917 quanto l’attuale Codice del 1983 riaffermano, in perfetta continuità, il principio dell’irresponsabilità giuridica del Romano Pontefice.
Il can. 1556 del Codice del 1917 e il can. 1404 del Codice vigente del 1983 proclamano in modo identico che “prima Sedes a nemine iudicatur”: la prima Sede non può essere giudicata da alcuno. Né è lecito, secondo la tradizione giuridica e teologica della Chiesa, affermare che un Papa legittimamente eletto possa decadere ipso facto dal pontificato per la sola presunta adesione a dottrine erronee, senza una dichiarazione formale da parte dell’autorità competente, la quale, in assenza di un superiore sulla terra, non può che essere, in ipotesi limite, un Concilio ecumenico convocato e ratificato secondo le norme canoniche.
A tale riguardo, occorre anche richiamare il can. 2314 §1 del Codice del 1917, il quale stabilisce pene specifiche per l’eresia, ma non contempla, neppure implicitamente, la possibilità che un papa cada automaticamente dal pontificato per questo motivo. L’eventuale eresia dovrebbe essere formalmente dichiarata, con la dovuta certezza giuridica e dottrinale, e accompagnata dalla pertinacia pubblicamente riconosciuta.
La distinzione tra eresia occulta e manifesta, prevista dal can. 2197, implica un processo ecclesiastico e una qualificazione autorevole dell’atto, non una deduzione teologica privata.
Di conseguenza, l’autonomina di sedicenti fedeli come giudici dell’ortodossia papale risulta incompatibile con l’ecclesiologia cattolica. Dal punto di vista filosofico e teologico, la concezione sedevacantista tradisce una visione razionalista e gnosticheggiante della Chiesa, nella quale la legittimità dell’autorità ecclesiastica sarebbe subordinata all’adesione ad una dottrina “pura”, arbitrariamente identificata con una interpretazione privata della Tradizione. È, in fondo, l’eco di un antico errore, il donatismo, che subordina la validità dei sacramenti e delle giurisdizioni alla purezza soggettiva dei ministri.
La sapienza classica e cristiana, al contrario, come attesta san Tommaso nel “De Regno”, riconosce nell’autorità, anche quando esercitata da uomini deboli o fallibili, il principio formale di unità e di ordine nella società. E ciò vale in modo eminente per la società perfetta che è la Chiesa.
Il Papa, anche qualora non eserciti infallibilmente il suo magistero, non cessa per questo di essere legittimo successore di Pietro, né viene meno alla sua funzione di capo visibile del Corpo ecclesiale. Il magistero costante dei Papi, anche dei più energici difensori dell’ortodossia, conferma tale dottrina.
San Pio X, frequentemente invocato dai sedevacantisti, fu al contrario difensore indefesso della necessità dell’obbedienza al papa legittimo, come si evince dalla Lettera Apostolica “Tuum Illud” del 1907, nella quale si condanna esplicitamente ogni forma di ribellione sotto pretesto di conservazione dottrinale. Parimenti, san Roberto Bellarmino, dottore della Chiesa e teologo insigne della Controriforma, afferma nella sua “Controversia De Romano Pontifice” (lib. II, cap. 30) che “il Papa che erra come dottore privato non cessa di essere Papa” e che, anche nel caso di eresia manifesta, la determinazione della perdita del pontificato richiede un intervento della Chiesa, non un giudizio individuale.
Anche l’analisi storica depone in modo inequivocabile contro l’ipotesi sedevacantista. La Chiesa, nel corso dei secoli, ha conosciuto pontefici discutibili sotto il profilo morale, politico e, talvolta, dottrinale. Si pensi al caso di Giovanni XXII, le cui opinioni sull’anima separata furono poi rettificate, o al lungo e doloroso scisma d’Occidente.
Tuttavia, in nessuna di queste situazioni si è mai sostenuto, da parte della Chiesa docente, che la Sede di Pietro fosse realmente vacante, né si è mai invocato il diritto dei singoli a dichiararla tale. In ultima istanza, l’errore del sedevacantismo consiste in una riduzione intellettualistica della fede cattolica, in cui si pretende di salvaguardare la Verità distruggendo il principio di autorità e la visibilità della Chiesa.
Tuttavia, la Chiesa, Corpo mistico e società visibile, vive e permane attraverso la successione apostolica garantita dallo Spirito Santo. Rifiutare i Papi legittimi significa, in ultima analisi, attentare all’unità della Chiesa e misconoscere la promessa del Signore: “Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam” (Mt 16,18).
Nulla è più estraneo alla Tradizione cattolica che il proclamarsi custodi della verità contro il Papa, separandosi dal fondamento stesso della comunione ecclesiale.
di Daniele Trabucco
SEDEVACANTISMO: UNA TEORIA PERICOLOSA PER LA FEDE
La teoria sedevacantista, sviluppatasi nei decenni successivi alla celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), sostiene, in forme più o meno radicali, la tesi secondo cui i pontefici succeduti a Pio XII (Papa dal 1939 al 1958) non sarebbero veri Vicari di Cristo, avendo essi, a giudizio dei sostenitori di tale ipotesi, deviato dall’integrità della fede cattolica e, pertanto, perso o mai acquisito validamente l’autorità papale.
Una simile posizione, se pur ammantata di zelo per la tradizione e la purezza dottrinale, si rivela, a un esame teologico, canonico e filosofico rigoroso, del tutto infondata e anzi pericolosamente lesiva della costituzione divina e visibile della Chiesa.
In primo luogo, si deve ricordare che la visibilità della Chiesa costituisce una nota essenziale della sua natura teandrica. Essa non è realtà meramente spirituale o invisibile, bensì società perfetta, gerarchica, visibile, fondata da Cristo e dotata di elementi sacramentali e giuridici.
Come insegna san Tommaso d’Aquino nella “Summa Theologiae” (III, q. 8, a. 3), l’unità visibile del Corpo mistico trova il suo principio formale nel Romano Pontefice, successore di Pietro.
La perpetuazione della Sede vacante per un tempo indefinito, come postulato dai sedevacantisti, dissolverebbe de facto la costituzione visibile della Chiesa, contraddicendo l’insegnamento costante del magistero, da “Pastor Aeternus” del Concilio Vaticano I a Lumen Gentium del Vaticano II, e venendo meno all’indefettibilità promessa da Cristo stesso.
Sotto il profilo canonico, tanto il Codice Pio-Benedettino del 1917 quanto l’attuale Codice del 1983 riaffermano, in perfetta continuità, il principio dell’irresponsabilità giuridica del Romano Pontefice.
Il can. 1556 del Codice del 1917 e il can. 1404 del Codice vigente del 1983 proclamano in modo identico che “prima Sedes a nemine iudicatur”: la prima Sede non può essere giudicata da alcuno. Né è lecito, secondo la tradizione giuridica e teologica della Chiesa, affermare che un Papa legittimamente eletto possa decadere ipso facto dal pontificato per la sola presunta adesione a dottrine erronee, senza una dichiarazione formale da parte dell’autorità competente, la quale, in assenza di un superiore sulla terra, non può che essere, in ipotesi limite, un Concilio ecumenico convocato e ratificato secondo le norme canoniche.
A tale riguardo, occorre anche richiamare il can. 2314 §1 del Codice del 1917, il quale stabilisce pene specifiche per l’eresia, ma non contempla, neppure implicitamente, la possibilità che un papa cada automaticamente dal pontificato per questo motivo. L’eventuale eresia dovrebbe essere formalmente dichiarata, con la dovuta certezza giuridica e dottrinale, e accompagnata dalla pertinacia pubblicamente riconosciuta.
La distinzione tra eresia occulta e manifesta, prevista dal can. 2197, implica un processo ecclesiastico e una qualificazione autorevole dell’atto, non una deduzione teologica privata.
Di conseguenza, l’autonomina di sedicenti fedeli come giudici dell’ortodossia papale risulta incompatibile con l’ecclesiologia cattolica. Dal punto di vista filosofico e teologico, la concezione sedevacantista tradisce una visione razionalista e gnosticheggiante della Chiesa, nella quale la legittimità dell’autorità ecclesiastica sarebbe subordinata all’adesione ad una dottrina “pura”, arbitrariamente identificata con una interpretazione privata della Tradizione. È, in fondo, l’eco di un antico errore, il donatismo, che subordina la validità dei sacramenti e delle giurisdizioni alla purezza soggettiva dei ministri.
La sapienza classica e cristiana, al contrario, come attesta san Tommaso nel “De Regno”, riconosce nell’autorità, anche quando esercitata da uomini deboli o fallibili, il principio formale di unità e di ordine nella società. E ciò vale in modo eminente per la società perfetta che è la Chiesa.
Il Papa, anche qualora non eserciti infallibilmente il suo magistero, non cessa per questo di essere legittimo successore di Pietro, né viene meno alla sua funzione di capo visibile del Corpo ecclesiale. Il magistero costante dei Papi, anche dei più energici difensori dell’ortodossia, conferma tale dottrina.
San Pio X, frequentemente invocato dai sedevacantisti, fu al contrario difensore indefesso della necessità dell’obbedienza al papa legittimo, come si evince dalla Lettera Apostolica “Tuum Illud” del 1907, nella quale si condanna esplicitamente ogni forma di ribellione sotto pretesto di conservazione dottrinale. Parimenti, san Roberto Bellarmino, dottore della Chiesa e teologo insigne della Controriforma, afferma nella sua “Controversia De Romano Pontifice” (lib. II, cap. 30) che “il Papa che erra come dottore privato non cessa di essere Papa” e che, anche nel caso di eresia manifesta, la determinazione della perdita del pontificato richiede un intervento della Chiesa, non un giudizio individuale.
Anche l’analisi storica depone in modo inequivocabile contro l’ipotesi sedevacantista. La Chiesa, nel corso dei secoli, ha conosciuto pontefici discutibili sotto il profilo morale, politico e, talvolta, dottrinale. Si pensi al caso di Giovanni XXII, le cui opinioni sull’anima separata furono poi rettificate, o al lungo e doloroso scisma d’Occidente.
Tuttavia, in nessuna di queste situazioni si è mai sostenuto, da parte della Chiesa docente, che la Sede di Pietro fosse realmente vacante, né si è mai invocato il diritto dei singoli a dichiararla tale. In ultima istanza, l’errore del sedevacantismo consiste in una riduzione intellettualistica della fede cattolica, in cui si pretende di salvaguardare la Verità distruggendo il principio di autorità e la visibilità della Chiesa.
Tuttavia, la Chiesa, Corpo mistico e società visibile, vive e permane attraverso la successione apostolica garantita dallo Spirito Santo. Rifiutare i Papi legittimi significa, in ultima analisi, attentare all’unità della Chiesa e misconoscere la promessa del Signore: “Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam” (Mt 16,18).
Nulla è più estraneo alla Tradizione cattolica che il proclamarsi custodi della verità contro il Papa, separandosi dal fondamento stesso della comunione ecclesiale.
Nessun commento:
Posta un commento