martedì 29 aprile 2025

"Chieti" e non ti sarà dato: Forte nega la comunione in bocca



Nell'arcidiocesi abruzzese è obbligatorio ricevere l'Eucaristia sulle mani. L'arcivescovo si scaglia contro l'uso tradizionale e ammanta di obbedienza la pretesa di imporre la sua personale visione, forzando le norme e anche la lingua greca.


Diktat
Ecclesia 



È una vera crociata quella di mons. Bruno Forte sulla comunione in mano, che nell’arcidiocesi di Chieti-Vasto continua a restare obbligatoria, malgrado anche la Cei abbia decretato la fine dello stato di emergenza già tre anni fa, nella lettera del 1° aprile 2022, ribadendo il ritorno alla normalità con una nuova lettera dell’8 maggio 2023. Una sua crociata personale, benché ammantata di richiami all’obbedienza alla Chiesa. L’ultima sortita del presule risale al giorno di Pasqua, domenica 20 aprile, quando mons. Forte ha pensato bene di strigliare i fedeli che desiderano ricevere l’Eucaristia sulla lingua, forzando le norme e persino la lingua greca.

«Permettete che chiarisca un punto. Ci sono state tre persone che non hanno voluto la comunione in mano»: un problema dato che ricevere la comunione sulla lingua, secondo l'uso tradizionale, è permesso in tutta la Chiesa tranne a Chieti. Ecco il suo personale chiarimento: «Allora, prima di tutto nel Nuovo Testamento Gesù dice: labete [λάβετε]. Il verbo lambano [λαμβάνω] in greco significa “prendere in mano”. Per secoli sempre la Chiesa ha preso in mano la comunione. Solo in alcuni secoli oscuri, temendo la mancanza di igiene, si è sostituito questo gesto con quello del prenderla in bocca, ma grazie a Dio oggi siamo tutti cresciuti, le mani ce le laviamo, per cui la comunione si prende in mano, col gesto umile di stendere la mano e di accoglierla. Chi non lo fa, fa un atto di orgoglio, si crede più saggio e più esperto del papa e dei vescovi che hanno deciso che la comunione si prende in mano. Per piacere, siate umili e obbedienti alla Chiesa. Almeno nel momento in cui fate la comunione, ricevete Gesù, facendo la sua volontà che è quella espressa nella Chiesa, dal papa e dai vescovi» (qui il video della strigliata pasquale).

Prima di tutto chiariamo a nostra volta che, a cinque anni dal 2020, la preoccupazione dell’arcivescovo non è più legata a protocolli sanitari. E infatti non se ne fa alcun riferimento nella nota più recente dell’arcidiocesi in merito, datata 12 aprile 2024. Casomai la pandemia ha costituito per alcuni settori del mondo cattolico l’occasione per imporre ovunque (anche a emergenza finita) l’obbligo di comunicarsi sulle mani. Al riguardo è eloquente un articolo del maggio 2020 apparso su Religion Digital e riportato in italiano da Adista, intitolato: La comunione in bocca è un’abitudine che (a causa di forza maggiore) potremmo (finalmente) abbandonare. E visto che mons. Forte si appella all’obbedienza, è opportuno ricordare che quell’uso nacque nel post-concilio proprio come “disobbedienza legittimata”: una moda invalsa nella smania di desacralizzare l’Eucaristia e allora criticata da San Paolo VI, che tuttavia lasciò la facoltà di sanare l'abuso alle singole conferenze episcopali (cosa che in Italia avvenne nel 1989). E di fatto si diffuse, finendo per offrire il destro a qualche presule per scoraggiare l’uso tradizionale di ricevere la comunione in bocca, considerato un’usanza medievale poco adatta ai cattolici “adulti”. Ma mai vietata da nessun papa.

La situazione attuale è chiarita dall’istruzione Redemptionis Sacramentum del 2004, per la quale «benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca, se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia». Ricapitolando: il fedele ha «sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca»: esattamente il contrario di quanto afferma mons. Forte. Semmai l’eccezione è costituita dall’altro uso, ammesso («se un comunicando, nelle regioni in cui ecc.») e peraltro con alcune cautele: «Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli» (n. 92).

A volerne sapere più della Chiesa è proprio mons. Forte, che scomoda la lingua greca a suo uso e consumo. Peccato che il significato del verbo greco λαμβάνω sia ambivalente: sia prendere (ma da nessuna parte è scritto “con le mani”) sia ricevere, accogliere. Volendo fare un confronto con la versione latina della Bibbia i relativi passi di Matteo (26,26) e Marco (14,22) sono tradotti rispettivamente con «accipite» (come peraltro nel Messale: «accipite et manducate...») e «sumite»: il primo indica «ricevere», il secondo «prendere» nel senso di assumere (un farmaco, un cibo...). Il verbo è presente anche nel prologo di Giovanni: «ὅσοι δὲ ἔλαβον αὐτόν» (1,12) e «ὅτι ἐκ τοῦ πληρώματος αὐτοῦ ἡμεῖς πάντες ἐλάβομεν» (1,16), che la Bibbia Cei 2008 traduce con: «A quanti però lo hanno accolto» e «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto». Le varie possibili sfumature di significato non autorizzano la lettura di mons. Forte sul prendere in mano. E se anche così fosse conviene ricordare che in quel momento Gesù si stava rivolgendo agli apostoli, ovvero ai primi sacerdoti della storia.

Risibile per non dire dozzinale la spiegazione sui «secoli oscuri» in cui la gente non si lavava le mani. L’istruzione Memoriale Domini del 1969, che pure autorizzava l’indulto per la comunione sulle mani, oltre a raccomandare di conservare il modo tradizionale di ricevere la comunione sulla lingua, ne spiegava diversamente l’origine: «È vero che in antico era abitualmente consentito ai fedeli di ricevere in mano il cibo eucaristico e di portarselo direttamente alla bocca (...). Però le prescrizioni della Chiesa e gli scritti dei padri documentano con ricchezza grande di testi quale venerazione e quale attento rispetto si avesse per la Santa Eucaristia». A introdurre «la consuetudine che fosse il ministro stesso a deporre la particola del pane consacrato sulla lingua dei comunicandi» non fu questione di igiene, come pretende il presule, ma di «progressivo approfondimento della verità del mistero eucaristico, della sua efficacia e della presenza in esso del Cristo, unitamente al senso accentuato di riverenza verso questo Santissimo Sacramento e ai sentimenti di umiltà con cui ci si deve accostare a riceverlo».

Mons. Bruno Forte è costretto forzare il greco e la storia, non potendo più invocare ragioni sanitarie, e ammanta di obbedienza alla Chiesa la pretesa di imporre obbedienza alla sua sola volontà e alla sua personale visione della liturgia. E se le norme della Chiesa lo smentiscono, peggio per loro: “L’Eglise c’est moi!”. Che è poi la peggiore forma di clericalismo.





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