giovedì 25 luglio 2024

L'”accoglienza” e l'”accompagnamento” nella Bibbia e nella pastorale di oggi


San Giovanni Battista





Di John Grondelski, 25 Luglio 2024

Un altro esempio di quello che dovrebbe essere il messaggio di “benvenuto” della Chiesa
Il Vangelo di domenica racconta che Gesù invia i suoi apostoli, a due a due, per il loro primo mandato missionario. Essi vengono inviati nei villaggi vicini di Israele e della Giudea, un luogo abbastanza circoscritto, considerando che alla fine saranno inviati “a tutte le nazioni” (Mt 28,19).
Questo Vangelo è istruttivo su come la Chiesa deve accompagnare le persone. Il motivo che attraversa tutto il Vangelo è il “pentimento”.

Gli apostoli sono inviati con “autorità sugli spiriti immondi”. Essi “partirono e predicarono il pentimento”. Gli Apostoli “scacciarono molti demoni”, unsero i malati e “li guarirono”.

[Questo nesso tra l’unzione e la lotta contro il male merita attenzione in questo mese, quando l’intenzione di preghiera di Papa Francesco ci chiede di apprezzare maggiormente il Sacramento dell’Infermo].
Gli Apostoli fanno la stessa cosa che fece Gesù (Mc 1,15b), cioè la stessa cosa che fece Giovanni Battista. Giovanni iniziò predicando “il pentimento per il perdono dei peccati” (Mc 1,4). Il pentimento è il tema comune dell’annuncio del Regno.

Gli apostoli sono inviati esplicitamente con l’incarico e l’autorità di affrontare il male – non il male come una teoria o una forza o una nozione, ma come diabolico, personale e maligno, bisognoso di esorcismo. Gesù è venuto per guarire gli uomini che erano distrutti, non per farli sentire bene. Se si sentivano bene, era una conseguenza della guarigione, non un prerequisito per essa. In effetti, il problema di iniziare a far sentire bene le persone (anche se esse stesse, nel profondo del cuore, spesso sanno che qualcosa non va) è che tende a favorire la compiacenza piuttosto che il pentimento.

Infatti, vale la pena notare che Gesù non istruisce gli apostoli su come “accogliere” i potenziali ascoltatori.

I suoi commenti si concentrano piuttosto sul modo in cui i potenziali uditori “accolgono” – o non accolgono – il messaggio apostolico. La reazione degli ascoltatori sarà infatti il criterio per la “testimonianza contro di loro”. Marco è netto; il testo parallelo di Matteo (10) aggiunge che “In verità vi dico che il giorno del giudizio sarà più sopportabile per Sodoma e Gomorra che per quella città” (v. 15).
Faccio queste osservazioni – come ho scritto regolarmente nell’ultimo anno – in risposta alla mentalità di “accompagnamento” promossa dal Vaticano che sembra, in pratica se non in teoria, dare poco spazio al tema del pentimento. I papi precedenti hanno lamentato una “perdita del senso del peccato”, ma c’è da chiedersi se questo lamento non si applichi anche all’impatto pratico degli attuali approcci romani.
Come mostra il Vangelo di domenica, non è così che Gesù ha affrontato le cose.

Vale anche la pena di leggere il Vangelo in relazione al testo della prima lettura, in cui il profeta di Dio, Amos, viene rimproverato da Amazia, “sacerdote di Betel”, forse qualcosa come il rettore del santuario. Amos, inoltre, non era un profeta particolarmente “accogliente”: tendeva ad esaltare i privilegiati che commettevano gravi ingiustizie sociali.

Ma ciò che merita la nostra attenzione in questo passaggio è l’interazione. Amazia fa chiaramente parte dell’establishment ecclesiastico, ben sintonizzato con lo Zeitgeist dell’Israele dell’VIII secolo a.C.. P. David Whitestone ha fatto una grande osservazione: si noti che Amazia dice ad Amos di andarsene da Betel perché “è il santuario del re e un tempio reale”. Si sarebbe potuto pensare che fosse di Dio.
Amazia aggiunge che Amos dovrebbe dividersi per Giuda e “guadagnarsi il pane profetizzando”. Con questa osservazione, sottolinea un aspetto fondamentale dei profeti nell’antico Israele e Giuda. C’erano veri e falsi profeti. I veri profeti – quelli che pronunciavano la Parola di Yahweh – non diventavano profeti di propria iniziativa e certamente non prosperavano di conseguenza. Basta chiedere a Geremia.
I falsi profeti – come i pastori pagati che scappano dai lupi (un riferimento che si trova nel racconto matteano dell’invio degli apostoli, ma non in quello di Marco) – tendevano a cantare piacevoli melodie contemporanee, in genere la musica di facile ascolto che il loro pubblico voleva ascoltare.
Amos non fa parte di questa compagnia. Dice: “Non ero un profeta” e non ha la tessera dell’unione dei profeti. Tutto quello che ha è ciò che “il Signore mi ha detto”, una parola che, come dice Geremia (20,9), non può essere repressa perché “la sua parola è nel mio cuore come un fuoco”.

Sbagliamo se pensiamo ai profeti di Israele come a una sorta di predittori del futuro. Non lo erano. Il loro obiettivo principale non era il futuro, ma il presente. Essi cercavano di “leggere i segni dei tempi” alla luce dell’alleanza di Dio con Israele (che comprendeva i Dieci Comandamenti) e di evidenziare le carenze della pratica attuale. Erano quindi insegnanti morali che criticavano il modo in cui Israele viveva alla luce di come Israele avrebbe dovuto vivere, e non davano premi di partecipazione all’alleanza solo per il fatto di presentarsi. Se parlavano del futuro, era incidentale: a seconda di come si rispondeva (o non si rispondeva) alla Parola di Dio, le cose potevano andare bene o Sodoma e Gomorra potevano avere giorni migliori.

Il Vangelo di domenica è seguito immediatamente dal racconto del martirio di Giovanni Battista. Anche il Battista probabilmente non riceverebbe il premio “Accompagnamento dell’anno” di oggi. Fu martirizzato per quella che oggi alcuni chiamerebbero una “guerra culturale” o una questione “pelvica”: rimproverò Erode Antipa ed Erodiade perché fingevano di essere sposati dopo che il primo aveva preso la moglie del fratello, in violazione della Torah. Giovanni non cercò di trovare “ciò che si poteva fare” o di trovare “un accomodamento pastorale” per il tetrarca. Non stava “discernendo” come Erode si sentisse in coscienza riguardo all’ex moglie di Filippo. Pretendeva che Erode mettesse in prigione Erodiade, e per questo Giovanni fu messo in prigione (e decapitato).

Si può imparare molto sull'”accompagnamento” dalla Bibbia.





Nessun commento:

Posta un commento