17 LUGLIO 2024
Vi proponiamo – in nostra traduzione [MiL]– l’omelia tenuta dal card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della fede, in occasione della Santa Messa per l’ordinazione di cinque diaconi e due sacerdoti dell’Istituto del Buon Pastore a Courtalain, vicino a Chartres, il 29 giugno, festa dei Santi apostoli Pietro e Paolo.
Il card. Müller afferma: «La dottrina rivelata della fede e la sostanza dei sacramenti sono inalienabili e immutabili per la Chiesa, mentre esiste una legittima diversità di scuole teologiche e di riti liturgici».
Ed al sito Kath.net ha poi spiegato: «Ho accolto la richiesta di conferire queste ordinazioni per il sacramento dell’ordinazione in sé, non per la forma del rito tradizionale, perché le due varianti rituali del rito latino sono di secondaria importanza per la sostanza del sacramento istituito da Cristo ed efficace nello Spirito Santo».
L.V.
Card. Gerhard Ludwig Müller
Oggi la Chiesa cattolica celebra con grande gioia la solennità dei Santi apostoli Pietro e Paolo. Il Signore stesso costruisce la sua Chiesa sulla roccia nella persona di San Pietro, che unisce tutti i Cristiani nella confessione di Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente. Questa confessione salvifica del Verbo di Dio fatto carne in Cristo è possibile solo se la loro missione divina continua dopo la morte degli Apostoli e se la loro autorità continua a essere esercitata nel nome di Cristo. Nella lettera della Chiesa romana ai Cristiani di Corinto, che prende il nome da Clemente, terzo Vescovo sulla Cattedra romana di Pietro, troviamo la testimonianza della successione apostolica dei Vescovi. La loro autorità di insegnanti e pastori è esercitata dai governanti della Chiesa, che sono stati ordinati da Dio stesso come ministri di Cristo nella potenza dello Spirito Santo attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera degli apostoli e dei loro successori (At 20, 28). I nuovi ministeri dei Vescovi e dei presbiteri, già menzionati nella Chiesa primitiva accanto agli Apostoli (At 15, 6.22; At 20, 17.28; Tt 1, 6-9), che sono assistiti dai diaconi (At 6, 2-6; Fil 1, 1; 1Tim 3, 1-13; 5, 17-22), costituiscono i tre livelli dell’unico sacramento dell’ordinazione, come chiaramente attestato dalla Traditio apostolica dell’antipapa Ippolito di Roma intorno alla fine del III secolo cristiano.
Sant’Ignazio, vescovo di Antiochia, dove operarono i Santi Pietro e Paolo (Gal 2, 11) e dove i discepoli furono chiamati cristiani per la prima volta (At 11, 26), aveva già riconosciuto il dispiegarsi irreversibile dell’unico sacramento all’inizio del II secolo. All’inizio del II secolo, il Vescovo testimoniava lo sviluppo irreversibile dell’unico ministero ordinato nelle tre fasi nel modo seguente: «Seguite il Vescovo come Gesù Cristo il Padre, e il Presbiterio come gli Apostoli; ma rispettate i Diaconi come comandamento di Dio… Dove c’è il Vescovo, là deve esserci la Chiesa, come dove c’è Cristo Gesù, là c’è la Chiesa cattolica» (Lettera agli Smirnei 8, 1-2).
Seguendo l’esempio degli Apostoli, i Vescovi, come loro successori, compiono la missione di Cristo nella Chiesa fino al suo ritorno per essere maestri della fede, dispensatori di grazia nei santi sacramenti e pastori secondo il cuore di Gesù (1 Lettera di Clemente 42-44).
I Vescovi, i presbiteri e i diaconi sono interiormente riempiti della grazia di Dio dallo Spirito Santo «in modo da essere ministri adatti di Cristo» (Concilio di Firenze, Decreto per gli Armeni, DH 13 26). E questa grazia di consacrazione è conferita in un segno visibile ed efficace. San Paolo esorta il suo discepolo, collaboratore e successore nel ministero apostolico: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani» (2 Tim 1, 6; cfr. 1 Tim 4,14). Per eliminare ogni dubbio sulla materia e sulla forma del sacramento dell’Ordine, il venerabile Papa Pio XII stabilì con «suprema autorità apostolica» che «la sola materia dell’Ordine sacro del diaconato, del presbiterato e dell’episcopato consiste nell’imposizione delle mani, ma la forma è la preghiera di consacrazione, che determina questa materia, mediante la quale si producono gli effetti sacramentali, cioè la forza della consacrazione e la grazia dello Spirito Santo» (costituzione apostolica Sacramentum ordinis sui sacri ordini del diaconato, del presbiterato e dell’episcopato, DH 3859).
Il venerabile Papa Pio XII aggiunge espressamente che questo vale per tutti i riti della Chiesa universale, quindi naturalmente anche per il rito latino occidentale nelle sue fasi di sviluppo prima e dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II.
Questo mi spinge a raccontarvi della mia conversazione con un alto rappresentante del Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti. Ero ancora commosso dalla fedeltà dei ventimila giovani con cui ho potuto celebrare la Santa Messa nella Cathédrale Notre-Dame di Chartres il lunedì di Pentecoste, quando ha sollevato l’obiezione che non era affatto un motivo per rallegrarsi perché questa Santa Messa era celebrata con il rito tradizionale. Credeva che le chiese vuote fossero meglio delle Sante Messe tradizionali. Alcuni, infatti, vedono nel rito tradizionale della Santa Messa un pericolo maggiore per l’unità della Chiesa rispetto alla reinterpretazione del Credo o addirittura all’assenza totale della Santa Messa. Essi interpretano la preferenza per il rito tradizionale come espressione di un tradizionalismo sterile, più interessato alla teatralità della liturgia che alla comunione viva con Dio che essa trasmette. Risposi che, come vecchio professore di dogmatica, il contenuto dei sacramenti, la res sacramenti, era per me più importante della forma rituale, che era di secondaria importanza al confronto, o più precisamente delle cerimonie interpretative che circondano il segno visibile (nella forma e nella materia). Infatti, la dottrina di fede rivelata e la sostanza dei sacramenti sono inalienabili e immutabili per la Chiesa, mentre esiste una legittima diversità di scuole teologiche e di riti liturgici. Quelli che amano invocare il Concilio Vaticano II per accusare gli altri di avere una mentalità preconciliare dovrebbero prima di tutto prendere a cuore gli ammonimenti del Concilio Vaticano II, che nel decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio dice: «Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione teologica della verità rivelata, pur custodendo l’unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa poi pratichino la carità. Poiché agendo così manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e insieme l’apostolicità della Chiesa» (decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, 4).
In questo momento in cui cinque giovani vengono ordinati diaconi e due diaconi vengono ordinati sacerdoti, riflettiamo sull’essenziale.
Cari candidati all’ordinazione!
Guardiamo a Gesù stesso, il predicatore del regno di Dio che viene a noi, il sommo sacerdote della nuova alleanza, il buon pastore che dà la vita per le sue pecore. Solo l’eccelso Signore può fare di voi dei suoi rappresentanti nella potenza del suo Spirito Santo, in modo che voi – a seconda del vostro livello di consacrazione – possiate servire la salvezza dei fedeli con la sua autorità nella parola e nel sacramento.
Considerate le limitate possibilità della natura umana e i deficit nella formazione del nostro carattere, ogni persona che è chiamata personalmente e specificamente da Cristo a questo alto ministero dovrebbe disperare o fuggire vigliaccamente.
San Paolo, la cui memoria celebriamo fedelmente insieme a San Pietro, ha lottato contro le sue debolezze umane e ha chiesto più volte al Signore di togliergli questa spina dalla carne. Ricevette solo la risposta: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9) Ed è per questo che vogliamo allinearci al suo esempio apostolico quando preghiamo con lui ogni giorno: «Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12, 10).
Le persone nella Chiesa, dai laici ai religiosi, dai sacerdoti ai Vescovi, possono deluderci finché sono ancora nel pellegrinaggio della loro vita. E viceversa, nonostante le nostre migliori intenzioni, anche noi stessi possiamo deludere gli altri e diventare un fastidio per loro attraverso i nostri peccati e la nostra negligenza. L’apparente superiorità del male nel mondo, l’arrogante gesto di superiorità dell’incredulità moderna, l’indifferenza di molti verso l’umile amore di Gesù, potrebbero privarci del vigore giovanile con cui ci avviciniamo all’altare di Dio e diciamo il nostro Adsum.
Senza chiedere il dono della perseveranza, su cui Sant’Agostino ha scritto un intero libro contro i Semipelagi, la nostra devozione e il nostro sacrificio potrebbero trasformarsi in amarezza e cinismo.
Nel bel mezzo della persecuzione neroniana, che lo storico romano Publio Cornelio Tacito ci racconta con raccapriccianti dettagli, San Pietro scriveva da Roma alle chiese perseguitate dell’Asia. Come loro confratello nel ministero apostolico, si rivolge in particolare ai loro presbiteri: «Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce» (1 Pietro 5, 2-4).
E a tutti i credenti che sono tornati come pecorelle smarrite a Cristo, «pastore e guardiano delle vostre anime» (1 Pietro 2, 25), San Pietro, su cui il Signore costruisce continuamente la sua Chiesa affinché non venga sopraffatta dalle porte dell’inferno, dice: «Gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli. Amen!» (1 Pietro 5, 7-11).
Il card. Müller afferma: «La dottrina rivelata della fede e la sostanza dei sacramenti sono inalienabili e immutabili per la Chiesa, mentre esiste una legittima diversità di scuole teologiche e di riti liturgici».
Ed al sito Kath.net ha poi spiegato: «Ho accolto la richiesta di conferire queste ordinazioni per il sacramento dell’ordinazione in sé, non per la forma del rito tradizionale, perché le due varianti rituali del rito latino sono di secondaria importanza per la sostanza del sacramento istituito da Cristo ed efficace nello Spirito Santo».
L.V.
Card. Gerhard Ludwig Müller
Oggi la Chiesa cattolica celebra con grande gioia la solennità dei Santi apostoli Pietro e Paolo. Il Signore stesso costruisce la sua Chiesa sulla roccia nella persona di San Pietro, che unisce tutti i Cristiani nella confessione di Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente. Questa confessione salvifica del Verbo di Dio fatto carne in Cristo è possibile solo se la loro missione divina continua dopo la morte degli Apostoli e se la loro autorità continua a essere esercitata nel nome di Cristo. Nella lettera della Chiesa romana ai Cristiani di Corinto, che prende il nome da Clemente, terzo Vescovo sulla Cattedra romana di Pietro, troviamo la testimonianza della successione apostolica dei Vescovi. La loro autorità di insegnanti e pastori è esercitata dai governanti della Chiesa, che sono stati ordinati da Dio stesso come ministri di Cristo nella potenza dello Spirito Santo attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera degli apostoli e dei loro successori (At 20, 28). I nuovi ministeri dei Vescovi e dei presbiteri, già menzionati nella Chiesa primitiva accanto agli Apostoli (At 15, 6.22; At 20, 17.28; Tt 1, 6-9), che sono assistiti dai diaconi (At 6, 2-6; Fil 1, 1; 1Tim 3, 1-13; 5, 17-22), costituiscono i tre livelli dell’unico sacramento dell’ordinazione, come chiaramente attestato dalla Traditio apostolica dell’antipapa Ippolito di Roma intorno alla fine del III secolo cristiano.
Sant’Ignazio, vescovo di Antiochia, dove operarono i Santi Pietro e Paolo (Gal 2, 11) e dove i discepoli furono chiamati cristiani per la prima volta (At 11, 26), aveva già riconosciuto il dispiegarsi irreversibile dell’unico sacramento all’inizio del II secolo. All’inizio del II secolo, il Vescovo testimoniava lo sviluppo irreversibile dell’unico ministero ordinato nelle tre fasi nel modo seguente: «Seguite il Vescovo come Gesù Cristo il Padre, e il Presbiterio come gli Apostoli; ma rispettate i Diaconi come comandamento di Dio… Dove c’è il Vescovo, là deve esserci la Chiesa, come dove c’è Cristo Gesù, là c’è la Chiesa cattolica» (Lettera agli Smirnei 8, 1-2).
Seguendo l’esempio degli Apostoli, i Vescovi, come loro successori, compiono la missione di Cristo nella Chiesa fino al suo ritorno per essere maestri della fede, dispensatori di grazia nei santi sacramenti e pastori secondo il cuore di Gesù (1 Lettera di Clemente 42-44).
I Vescovi, i presbiteri e i diaconi sono interiormente riempiti della grazia di Dio dallo Spirito Santo «in modo da essere ministri adatti di Cristo» (Concilio di Firenze, Decreto per gli Armeni, DH 13 26). E questa grazia di consacrazione è conferita in un segno visibile ed efficace. San Paolo esorta il suo discepolo, collaboratore e successore nel ministero apostolico: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani» (2 Tim 1, 6; cfr. 1 Tim 4,14). Per eliminare ogni dubbio sulla materia e sulla forma del sacramento dell’Ordine, il venerabile Papa Pio XII stabilì con «suprema autorità apostolica» che «la sola materia dell’Ordine sacro del diaconato, del presbiterato e dell’episcopato consiste nell’imposizione delle mani, ma la forma è la preghiera di consacrazione, che determina questa materia, mediante la quale si producono gli effetti sacramentali, cioè la forza della consacrazione e la grazia dello Spirito Santo» (costituzione apostolica Sacramentum ordinis sui sacri ordini del diaconato, del presbiterato e dell’episcopato, DH 3859).
Il venerabile Papa Pio XII aggiunge espressamente che questo vale per tutti i riti della Chiesa universale, quindi naturalmente anche per il rito latino occidentale nelle sue fasi di sviluppo prima e dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II.
Questo mi spinge a raccontarvi della mia conversazione con un alto rappresentante del Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti. Ero ancora commosso dalla fedeltà dei ventimila giovani con cui ho potuto celebrare la Santa Messa nella Cathédrale Notre-Dame di Chartres il lunedì di Pentecoste, quando ha sollevato l’obiezione che non era affatto un motivo per rallegrarsi perché questa Santa Messa era celebrata con il rito tradizionale. Credeva che le chiese vuote fossero meglio delle Sante Messe tradizionali. Alcuni, infatti, vedono nel rito tradizionale della Santa Messa un pericolo maggiore per l’unità della Chiesa rispetto alla reinterpretazione del Credo o addirittura all’assenza totale della Santa Messa. Essi interpretano la preferenza per il rito tradizionale come espressione di un tradizionalismo sterile, più interessato alla teatralità della liturgia che alla comunione viva con Dio che essa trasmette. Risposi che, come vecchio professore di dogmatica, il contenuto dei sacramenti, la res sacramenti, era per me più importante della forma rituale, che era di secondaria importanza al confronto, o più precisamente delle cerimonie interpretative che circondano il segno visibile (nella forma e nella materia). Infatti, la dottrina di fede rivelata e la sostanza dei sacramenti sono inalienabili e immutabili per la Chiesa, mentre esiste una legittima diversità di scuole teologiche e di riti liturgici. Quelli che amano invocare il Concilio Vaticano II per accusare gli altri di avere una mentalità preconciliare dovrebbero prima di tutto prendere a cuore gli ammonimenti del Concilio Vaticano II, che nel decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio dice: «Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione teologica della verità rivelata, pur custodendo l’unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa poi pratichino la carità. Poiché agendo così manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e insieme l’apostolicità della Chiesa» (decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, 4).
In questo momento in cui cinque giovani vengono ordinati diaconi e due diaconi vengono ordinati sacerdoti, riflettiamo sull’essenziale.
Cari candidati all’ordinazione!
Guardiamo a Gesù stesso, il predicatore del regno di Dio che viene a noi, il sommo sacerdote della nuova alleanza, il buon pastore che dà la vita per le sue pecore. Solo l’eccelso Signore può fare di voi dei suoi rappresentanti nella potenza del suo Spirito Santo, in modo che voi – a seconda del vostro livello di consacrazione – possiate servire la salvezza dei fedeli con la sua autorità nella parola e nel sacramento.
Considerate le limitate possibilità della natura umana e i deficit nella formazione del nostro carattere, ogni persona che è chiamata personalmente e specificamente da Cristo a questo alto ministero dovrebbe disperare o fuggire vigliaccamente.
San Paolo, la cui memoria celebriamo fedelmente insieme a San Pietro, ha lottato contro le sue debolezze umane e ha chiesto più volte al Signore di togliergli questa spina dalla carne. Ricevette solo la risposta: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9) Ed è per questo che vogliamo allinearci al suo esempio apostolico quando preghiamo con lui ogni giorno: «Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12, 10).
Le persone nella Chiesa, dai laici ai religiosi, dai sacerdoti ai Vescovi, possono deluderci finché sono ancora nel pellegrinaggio della loro vita. E viceversa, nonostante le nostre migliori intenzioni, anche noi stessi possiamo deludere gli altri e diventare un fastidio per loro attraverso i nostri peccati e la nostra negligenza. L’apparente superiorità del male nel mondo, l’arrogante gesto di superiorità dell’incredulità moderna, l’indifferenza di molti verso l’umile amore di Gesù, potrebbero privarci del vigore giovanile con cui ci avviciniamo all’altare di Dio e diciamo il nostro Adsum.
Senza chiedere il dono della perseveranza, su cui Sant’Agostino ha scritto un intero libro contro i Semipelagi, la nostra devozione e il nostro sacrificio potrebbero trasformarsi in amarezza e cinismo.
Nel bel mezzo della persecuzione neroniana, che lo storico romano Publio Cornelio Tacito ci racconta con raccapriccianti dettagli, San Pietro scriveva da Roma alle chiese perseguitate dell’Asia. Come loro confratello nel ministero apostolico, si rivolge in particolare ai loro presbiteri: «Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce» (1 Pietro 5, 2-4).
E a tutti i credenti che sono tornati come pecorelle smarrite a Cristo, «pastore e guardiano delle vostre anime» (1 Pietro 2, 25), San Pietro, su cui il Signore costruisce continuamente la sua Chiesa affinché non venga sopraffatta dalle porte dell’inferno, dice: «Gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli. Amen!» (1 Pietro 5, 7-11).
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