giovedì 25 luglio 2024

La vera filosofia cristiana non può accettare l’esistenzialismo. Ecco perché





di Corrado Gnerre

Il secolo XX si aprì con un grande ottimismo. I grandi miglioramenti nella vita quotidiana del secolo XIX avevano ubriacato di un grande ottimismo: forse, chissà, un giorno si sarebbe riusciti anche a sconfiggere la morte. Poi la catastrofe della Grande Guerra, la quale, proprio utilizzando i grandi progressi tecnologici, fece morti su morti. E allora la disillusione e l’avvilimento pessimista. Fu in questo contesto che nacque l’esistenzialismo come segno di un’angoscia diffusa.

I maggiori rappresentanti furono i tedeschi Heidegger e Jaspers e i francesi Sartre, Camus, Marleau-Ponty.

L’esistenzialismo può essere sintetizzato in questi punti fondamentali:

Il metodo fenomenologico che vuol dire capire la vita non alla luce di princìpi metafisici (verità, Dio, vita eterna…) ma attraverso l’esperienza della vita stessa.

Il punto di vista antropologico. Lo studio deve partire dall’uomo e deve concentrarsi solo sull’uomo.

I valori sono frutto del divenire del tempo e della storia. Non esistono valori eterni e assoluti, ma questi sarebbero l’esito di ciò che accade nella vita singola e generale degli uomini.

Già questi tre punti basterebbero a capire quanto sia inconciliabile l’esistenzialismo con una visione cristiana della vita. C’è però un quarto punto che è più difficile da capire, ma che ancora di più dimostra questa inconciliabilità. Vediamolo.

La subordinazione dell’essenza all’esistenza. Esiste solo l’esistenza e non l’essenza. La vita non può essere limitata dalla natura che definisce ogni realtà singola.

Il buon san Tommaso d’Aquino affermava che tutto ciò che esiste è ente, cioè realtà che esiste. Ma egli faceva un ulteriore precisazione: mentre Dio è l’essere in cui l’esistenza coincide con l’essenza, la realtà creata ha sì l’essere ma in essa esistenza ed essenza non coincidono. 

Più semplicemente. L’essenza di una cosa è la sua natura, é ciò che fa sì che una cosa sia quello che é, é ciò che fa sì che un cane sia un cane o una sedia una sedia. Ma l’essenza da sola non basta a formare l’essere di un ente, questo ha bisogno di esistere (dell’atto di essere). L’essenza di una sedia, senza l’esistenza, è solo una sedia astratta che non esiste. Per esistere ha bisogno che all’essenza si accompagni l’esistenza. L’atto di essere necessario é solo di Dio. Mentre la sedia, il cane…possono non esistere, Dio non può non esistere.

Questa premessa per dire che cosa? Che l’esistenzialismo deve essere capito proprio nella prospettiva di rifiuto alle convinzioni tomiste. Per l’esistenzialismo esiste solo il singolo ente e non l’essenza e questo comporta che ogni cosa, proprio perché non limitata alla sua natura (essenza), può divenire “possibilità infinita”, tutto e il contrario di tutto. La natura (l’essenza) è un orizzonte definito delle scelte che l’uomo può compiere nella sua vita.

L’essenza fa capire che la libertà dell’uomo non è fare quello che si vuole ma scegliere ciò che realizza davvero la sua natura e quindi liberarsi da tutto ciò che compromette il suo essere. Ma quando non si è più consapevoli della propria natura (essenza) ma solo del proprio essere, allora la vita diventa la possibilità di realizzare ogni cosa, di passare dal bene al male, dal giusto all’ingiusto, dalla verità all’errore. Anzi, gli stessi concetti di bene e di male, di giusto e d’ingiusto, di verità e di errore vengono meno.

Da qui l’idolatria della libertà che contraddistingue l’esistenzialismo. Ma da qui anche l’esito fallimentare. La vita di per sé definisce e riconduce l’uomo al suo limite, e allora, per chi ha scelto la libertà come fine, essa diventa insopportabile, diventa quella “marmellata appiccicaticcia e insopportabile” di cui Sartre stesso parlò.








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