lunedì 22 luglio 2024

Quando il Giudizio Universale fu rimosso dalla liturgia cattolica



Nella traduzione a cura di Chiesa e post-concilio da Infovaticana l'ennesima testimonianza di uno dei tanti tagli e annacquamenti subiti dalla Sacra Liturgia per effetto del prevalere della gerarchia modernista in chiave conciliarista.




Conoscete Dies Irae ? Sul sito della RAE si legge che l'espressione latina “ dies irae” si traduce come “il giorno dell'ira”: sono le prime parole di una sequenza che veniva recitata nelle messe per i defunti. Sì, è stata recitata (e pregata), in modo che qualcuno di voi l'abbia ascoltata in qualche Messa funebre celebrata secondo il Messale di Paolo VI? L'ho sentita solo una volta, precisamente in una Messa da Requiem celebrata secondo il rito tradizionale, cantata in gregoriano qui a più voci dal coro tra il tratto e il Vangelo.
Vediamo cosa dice il testo di questa sequenza, della sua storia, quando è stata recitata e perché non viene più cantata dove si era soliti, e se in qualche modo è sopravvissuta alla riforma liturgica postconciliare.Vale la pena riprodurre il testo integrale, per la sua bellezza e forza:


Dies iræ, dies illa
solvet sæclum in favílla,
teste David cum Sibýlla.

Quantus tremor est futúrus,
quando iudex est ventúrus
cuncta stricte discussúrus!

Tuba mirum spargens sonum
per sepúlcra regiónum,
coget omnes ante thronum.

Mors stupébit et natúra,
cum resúrget creatúra
iudicánti responsúra.

Liber scriptus proferétur,
in quo totum continétur
unde mundus iudicétur.

Iudex ergo cum sedébit,
quicquid latet apparébit;
nil inúltum remanébit.

Quid sum miser tunc dictúrus,
quem patrónum rogatúrus,
cum vix iustus sit secúrus?

Rex treméndæ maiestátis,
qui salvándos salvas gratis,
salva me, fons pietátis.

Recordáre, Iesu pie,
quod sum causa tuæ viæ,
ne me perdas illa die.

Quærens me sedísti lassus,
redemísti crucem passus;
tantus labor non sit cassus.

Iuste iudex ultiónis,
donum fac remissiónis
ante diem ratiónis.

Ingemísco tamquam reus,
culpa rubet vultus meus;
supplicánti parce, Deus.

Qui Mariam absolvísti
et latrónem exaudísti,
mihi quoque spem dedísti.

Preces meæ non sunt dignæ,
sed tu, bonus, fac benígne
ne perénni cremer igne.

Inter oves locum præsta
et ab hædis me sequéstra,
státuens in parte dextra.

Confutátis maledíctis,
flammis ácribus addíctis,
voca me cum benedíctis.

Oro supplex et acclínis,
cor contrítum quasi cinis,
gere curam mei finis.

Lacrimósa dies illa,
qua resúrget ex favílla
iudicándus homo reus:
huic ergo parce, Deus.

Pie Iesu, Domine,
done eis requiem.
Amen. Giorno d'ira quel giorno,
il mondo diverrà cenere,
[come] testimone è Davide con la Sibilla.

Quanto spavento ci sarà,
quando verrà il Giudice
a discutere ogni cosa con rigore.

La tromba che diffonde un meraviglioso squillo
attraverso tutte le tombe
raccoglie tutti dinanzi al trono.

Si stupirà la Morte così anche la Natura
quando ogni uomo risorgerà
per presentarsi in giudizio dinanzi al Giudice.

Verrà presentato il libro
nel quale è contenuta ogni cosa
donde il mondo verrà giudicato.

Quando dunque il Giudice si assiderà
ogni cosa che è celata sarà svelata;
nulla rimarrà impunito.

In quel momento che dirò -- [me] misero-,
quale difensore inviterò [in mia difesa],
quando a stento è salvo il giusto?

O re di terribile maestà,
che per tuo dono salvi coloro che vanno salvati,
salva me, fonte d'amore.

O amorevole Gesù, ricorda
che sono la ragione della tua via [dolorosa],
fa' che in quel giorno non mi perda.

Stanco ti sei seduto per cercarmi,
mi hai salvato patendo la croce;
che una tale sofferenza non sia vana.

O Giudice giusto nel punire,
fammi dono del perdono,
prima del giorno del giudizio.

Tremo, come un imputato,
la colpa rende il mio viso rosso;
o Dio, perdona chi ti supplica.

Tu che hai perdonato Maria Maddalena
e hai esaudito il buon ladrone,
hai dato speranza anche a me.

Le mie preghiere non sono degne,
ma tu, buono, concedi benevolmente
che io non bruci nel fuoco eterno.

Assicurami un posto fra le pecore,
e separami dai capri,
ponendomi nella parte destra.

Condannati i maledetti,
destinati alle aspre fiamme,
chiama me con i benedetti.

Ti prego supplice e prostrato,
[il mio] cuore è contrito, quasi cenere,
prenditi cura della mia fine.

[Sarà giorno] di pianto quel giorno,
nel quale risorgerà dalla cenere
il peccatore per essere giudicato.
Perdonalo, dunque, o Dio.

O pietoso Signore Gesù,
dona a loro la pace.
Amen


Prima della riforma liturgica scaturita dal Concilio Vaticano II, la Messa per i defunti, detta anche Requiem (termine che in latino significa riposo, per la prima parola del suo introito: "Requiem aeternam dona eis Domine"), faceva parte della liturgia fin dai primi tempi. Esistono prove della sua celebrazione già nel II secolo, anche se potrebbe benissimo esserci già prima. I testi e le loro diverse parti potevano variare da una diocesi o anche da una chiesa all'altra. Al Concilio di Trento ne furono stabilite le parti e i testi: il messale di Papa Pio V prescriveva le sezioni ordinarie e proprie come segue: – Introito: Requiem aeternam – Kyrie: Proprio della messa per i defunti – Graduale: Requiem aeternam – Tratto: Assolvere Domine – Sequenza: Dies irae – Offertorio: Domine Iesu Christe – Sanctus: Proprio della messa per i defunti – Agnus Dei: Proprio della messa per i defunti – Comunione: Lux aeterna. In precedenza, almeno fino al IX secolo, vi era incluso l'Alleluia; la sequenza Dies irae, invece, non fece parte della messa fino al XIV secolo: la sua composizione è attribuita al frate minore della prima metà del XIII secolo, Tommaso da Celano, che fu anche uno dei primi biografi di San Francesco d'Assisi.

Ma la riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II ha eliminato la sequenza Dies irae e l'ha spostata alla fine dell'anno liturgico come inno della settimana precedente la prima domenica di Avvento. La riforma introdusse anche, ancora, l'Alleluia e sostituì, nell'Agnus Dei, la frase “dona eis requiem” con “miserere nobis” e “dona eis requiem sempiternam” con “dona nobis pacem”. Siamo (sorpresa!) di fronte a un nuovo caso di perdita di un elemento secolare della Messa con la riforma liturgica scaturita dal Concilio Vaticano II. Il famigerato Annibale Bugnini, segretario della commissione che lavorò alla riforma della liturgia dopo il Concilio Vaticano II e suo vero artefice, così spiegò il ragionamento dei riformatori nella sua opera “La Riforma della Liturgia”: «Essi si sbarazzarono dei testi che sapevano di una spiritualità negativa ereditata dal Medioevo. Eliminarono così testi familiari e perfino amati come Libera me, Domine, Dies irae e altri che enfatizzavano eccessivamente il giudizio, la paura e la disperazione. Li hanno sostituiti con testi che sollecitano la speranza cristiana e danno espressione più efficace alla fede nella risurrezione».


L’idea che i testi in questione “enfatizzino eccessivamente” la “disperazione” è una descrizione grossolana. I testi dell'antica Messa per i defunti parlano della misericordia di Dio e del dono della salvezza, nel contesto della colpa umana e della giustizia di Dio, effondendo il conforto e la speranza autenticamente cristiani. Lo possiamo leggere nel testo della sequenza stessa. Peter Kwasniewski, che nella seconda delle tre parti del documentario Mass of the Ages spiega perplesso come mai nella storia si sia assistito ad una revisione così esaustiva riga per riga dei riti liturgici al fine di eliminarli o “adattarli”, in un articolo sul portale del New Liturgical Movement si compiaceva che uno dei risultati del Summorum Pontificum, con la celebrazione delle Messe da Requiem vetus ordo, sia stato il riconoscimento sempre più diffuso che qualcosa è andato drasticamente storto nel modo in cui i cattolici affrontano la preghiera per i defunti.

Il Dies Irae, come il resto dei canti della Messa per i defunti tradizionale, comprende alcuni dei canti più antichi, solenni e commoventi della Chiesa. Essi esprimono la serietà e la gravità della morte e desiderano la misericordia di Dio per coloro che sono morti. Per molti è stato scioccante che il Dies Irae e altri canti siano stati eliminati dalla Messa per i defunti nella riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II. Tra questi, e come triste aneddoto (cito la fonte per chi pensa che si tratti di leggende metropolitane come quella della cerimonia di Paolo VI), il celebre vaticanista Sandro Magister spiega come il 3 giugno 1971, dopo la messa commemorativa della morte di Giovanni XXIII, il papa ha commentato: «Come è possibile che nella liturgia dei morti non si parli più di peccato e di espiazione? Manca totalmente l'implorazione della misericordia del Signore. Anche questa mattina, per la messa celebrata nelle Grotte, nonostante avessero dei testi molto belli, mancava il senso del peccato e il senso della misericordia. Ma di questo abbiamo bisogno! E quando arriverà la mia ultima ora, chiedi misericordia al Signore per me, perché ne ho bisogno! E nel 1975, dopo un'altra messa in memoria di Giovanni XXIII: "Certamente in questa liturgia mancano i grandi temi della morte, del giudizio..." . Magister precisa inoltre che, senza che il riferimento sia esplicito, «Paolo VI lamentava, tra l'altro, l'esclusione dalla liturgia dei defunti della grandiosa sequenza Dies irae che, infatti, non viene recitata né cantata in epoca moderna» nelle messe, ed è sopravvissuta solo nei concerti, con musiche di Mozart, Verdi e altri compositori.

La presenza del Dies Irae nella messa da requiem non è una questione del passato o del presente, ma in definitiva della dottrina cattolica. Non è nemmeno una questione di estetica, di magnificenza del canto polifonico o di stili musicali barocchi, classici o romantici. Restando fedeli al testo, non si può dire che manchi di richiami alla misericordia di Dio; Ma è verissimo che fa riferimento al giudizio finale, alla terribile maestà di Dio e alla responsabilità. Temi che brillano per la loro assenza nelle nuove messe funebri, ma che sono il momento opportuno per ricordare a chi partecipa a un funerale che ci sarà un giudizio; uno personale e uno finale, e che dovremo tutti rendere conto a Gesù Cristo. Ecco, ci sarà chi penserà che di questo si “parla” già in tutte le messe e solennità domenicali, quando si prega il Credo, quando si dice che Gesù Cristo verrà a giudicare i vivi e i morti. Ed è vero. Ma chissà perché, dico, la Chiesa ha stabilito che il Dies Irae venga cantato anche nelle messe da Requiem, ricordando che esiste per tutti un destino eterno, sia di salvezza che di dannazione.


È vero che non tutte le Messe funebri secondo il Messale di Paolo VI sono uguali (questo è uno dei grandi problemi di questo Messale); nella Messa Novus Ordo, il tono e la predicazione di ciascuna Messa funebre dipendono dal sacerdote e dai fedeli presenti. Il sacerdote può scegliere di mandare direttamente il defunto in cielo oppure parlare del purgatorio e della speranza cristiana nella vita eterna (come se fosse sempre beata); e i fedeli, se hanno una formazione cattolica conservatrice, possono ascoltare l’insegnamento cattolico sul purgatorio oppure possono, se si trovano in ambienti progressisti o rurali tipo quelli che tutti conosciamo, rifiutarlo e scandalizzarsi che si parli non solo sull'inferno, ma anche sul purgatorio. Siamo realisti: potete immaginare questo testo recitato o cantato nelle vostre parrocchie, con i fedeli che ne comprendono il significato? Cosa direbbero del “fuoco eterno” e delle “terribili fiamme”? Come penseranno di doversi inginocchiare “pentiti e con cuore contrito” davanti a Gesù Cristo Giudice, quando l’opinione personale dello stesso Santo Padre è che l’inferno è vuoto e quando la gerarchia cattolica parla solo della misericordia di Dio, ma non della sua Giustizia?

Per il dottor Kwasniewski il rito latino tradizionale e il rito secondo il Messale di Paolo VI rappresentano due offerte per i defunti radicalmente diverse: l'una, che prendeva la morte con mortale serietà, che si preoccupava della sorte dell'anima del defunto e l'altra ci permetteva di soffrire; l'altra, il novus ordo, che lasciava da parte la morte con banalità e promesse vuote. Il contrasto tra i paramenti neri del venerdì, il Dies irae e i suffragi sussurrati, e la casula bianca con tanto di stola del sabato e i sentimenti amplificati di buona volontà universale sembravano incarnare l'abisso che separa la fede dei santi dal modernismo prematuramente invecchiato. Notevole la riflessione finale di Kwasniewski sull'argomento qui: «Mi sono ritrovato a pensare: il più grande miracolo dei nostri tempi è che la fede cattolica è sopravvissuta alla riforma liturgica ». Al che aggiungerei che è anche un miracolo che la liturgia tradizionale sia sopravvissuta a tanti tentativi di proibirla, di distruggerla.




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