Re David, Jusepe de Ribera
Dalla Rete 31 Lug 2024
Antony Esolen
“Beata la nazione il cui Dio è il Signore”, dice il Salmista (33:12). Cosa può significare questo versetto per noi negli Stati Uniti, o in qualsiasi nazione occidentale le cui leggi si basano sulla neutralità religiosa o sull’irreligione?
Non servirebbe dire al Salmista: “Ogni nazione ha i suoi dèi, proprio come tu hai i tuoi”. Lui lo sa già. Infatti, difficilmente potrebbe immaginare una nazione senza un dio. Sarebbe un errore, penso, attribuirlo al suo tempo e al suo luogo.
Ogni nazione avrà un dio o degli dei, ciò che la gente apprezza più di ogni altra cosa, ciò a cui in effetti si inchinano in adorazione. “Alcuni si vantano di carri, e alcuni di cavalli”, dice altrove il Salmista, “ma noi ci vantiamo del nome del Signore nostro Dio”. (Salmo 20:7)
Alcune persone confidano nei potenti politici, ma, dice Isaia, “la protezione del faraone [si trasformerà] in vergogna”. (Isaia 30:3) Ed Ezechiele vide le donne d’Israele, al tempio, “piangere per Tammuz”, l’Adone sumero, dio della fertilità, che moriva ogni anno per rinascere di nuovo. (Ezechiele 8:14)
Così anche gli uomini di Giuda seguirono il culto disumano della fertilità di Moloch, quando perfino il re Manasse “bruciò suo figlio come offerta” (2 Re 21:8), e quando istituirono prostitute sacre, sia donne che ragazzi, come parte del culto dei Baalim e dell’Asherah, divinità cananee della fertilità (vedere 2 Re 23 per la campagna del buon Giosia per distruggere i loro boschi e le loro case per banchetti).
Gli orpelli dell’adorazione dell’uomo possono cambiare, ma il suo cuore non cambia. Quando volta le spalle al Signore, torna agli stessi vecchi falsi dei, rivestiti di nuove vesti: forza militare, potere politico, ricchezza, sesso.
La gente adorerà. Si inchinerà in omaggio a una persona o a una cosa; forse a qualche idolo di se stessa. Ubbidirà, e sarà tanto più vilmente obbediente, tanto più adulatrice e adulatrice, quanto più falso e stolto sarà il suo dio.
L’uomo non è mai libero dall’obbedienza, prestando attenzione solo alla propria volontà; questo significa solo che l’uomo non crea se stesso. La questione è se adorerà Dio, il Creatore che lo ha creato libero come è libero un figlio obbediente, elevandosi con l’obbedienza a una maggiore responsabilità e a una maggiore capacità di azione; o un falso dio, uno che promette libertà ma gli mette le catene nella mente e nel cuore, e abbastanza spesso anche nelle mani.
“Forse”, dice qualcuno che pensa soprattutto alle scelte individuali, “ma dove c’entra la nazione?”
Ecco: non può esserci nazione senza culto comune, perché la nazionalità deve essere nutrita nel terreno della cultura, e la cultura senza religione è un’assurdità.
Le persone non possono essere unite dalle scelte che gli individui fanno come individui, per essere apprezzate perché sono gli individui a farle. Siamo resi uno da ciò a cui ci rivolgiamo con soggezione e gratitudine, accantonando, in quello spazio sacro, le innumerevoli cose che ci vorrebbero alla gola l’uno dell’altro.
Sono ben consapevole che gli uomini possono combattere per la religione, come combattono per ogni altra cosa. La questione non è se combattano, ma cosa può spingerli a deporre le armi e cantare insieme.
Il liberalismo può al massimo garantire una tregua, se una nazione è ricca e se esiste una comunanza di fatto nel culto religioso, nella pratica regolare della maggior parte delle persone nei piccoli luoghi in cui vivono.
Il liberalismo non può di per sé portare la pace, e non può costituire una nazione. E noi vogliamo nazioni, non agglomerati di individui, come vogliamo quartieri e città reali, non finzioni geopolitiche. Le vogliamo come vogliamo aria fresca, acqua pulita e buon cibo. Non possiamo prosperare senza di loro.
Una nazione in cui tutti sono dei Ciclopi liberali, che inseguono la “felicità” come se questa potesse essere ottenuta separatamente dal bene comune e dal divino, che solo può stabilire nei nostri cuori un amore per le persone che altrimenti e con molta autogiustificazione potremmo ignorare, disprezzare o odiare, non è affatto una nazione, indipendentemente dalle costituzioni, dai meccanismi elettorali, dagli enti governativi e dalle abitudini dell’uomo di massa, che consuma intrattenimento, politica, sport e popcorn.
“Beata la nazione il cui Dio è il Signore”. Ci crediamo? Se ci crediamo, non vedo come giustificare il fatto di fare dell’indifferenza religiosa la pietra angolare del nostro edificio nazionale. È la pietra che Dio ha rigettato, e “se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori”. (Salmo 127:1)
Una politica di neutralità governativa benigna, amica della fede in Dio, può essere di utilità pratica per un popolo che è già un popolo, che possiede una cultura fiorente e che riconosce l’auto-rivelazione di Dio nella Scrittura; includo il popolo ebraico nella mia considerazione qui. Ma può anche cessare di essere utile. Se viene trasformata in un principio fondamentale della vita, fa male.
Perché l’uomo è uno e non due. Non abbiamo qui l’uomo politico e là l’uomo religioso. Non puoi separare il mondo dal suo Creatore. Così non puoi separare l’uomo nei suoi doveri quotidiani dall’uomo creato da Dio per la vita eterna.
Ogni tentativo in tal senso gli troncherà l’anima o lo lascerà in un caos nervoso. Le sue arti appassiranno, le sue famiglie si sfileranno, i suoi vicini svaniranno dalla vista. Leggerà la Bibbia? Non leggerà nemmeno Emerson.
“Beata la nazione il cui Dio è il Signore”. Non credo che possiamo ridurre quel versetto a un vago sentimento di gentilezza e di disponibilità, con un pizzico di incenso, o a varie prescrizioni politiche condite con un piccolo versetto del Sermone sul Monte.
Come incarnare la sua verità nei costumi e nelle leggi di una nazione: questo è il problema attuale.
[The Caholic Thing]
(Foto: Jusepe de ribera, Re David, Wikipedia, Di Saiko)
Nessun commento:
Posta un commento