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by Aldo Maria Valli
Cari amici di Duc in altum, vi propongo un’acuta riflessione che, prendendo spunto dalla mania della privacy (che l’autore argutamente scrive praivasi, come la pronunciamo), sottolinea come le paladine, fino al ridicolo, della protezione dei dati siano le stesse entità che ci controllano in tutto e per tutto. Un gioco dell’apparenza che domina lo scenario attuale, anche nella politica.
***
di Claudio Gazzoli
Una volta, quando non c’erano ancora tutte queste menate introdotte gradualmente, come è ovvio, dagli incappucciati col grembiulino – mi riferisco in particolare alla praivasi – alla fine dell’anno scolastico eravamo in ansia per l’uscita dei quadri dopo gli scrutini. Ovvio che non guardavamo solo il nostro voto ma anche i voti degli altri, con i promossi, i rimandati e i bocciati. Non ce ne siamo mai fatto un problema, e questa trasparenza ovvia non ci ha mai procurato affanni, inquietudini o isterie. Tutt’al più qualche irritazione per un confronto non imparziale, ma finiva lì. Oggi invece, sotto il regno del delirio per la praivasi, non si conosce nulla di nessun’altro e questa, senza alcuna verifica da parte dei diretti interessati, non è una garanzia di obiettività.
C’era anche un elemento giocoso, se vogliamo. Di orgoglio per i più meritevoli, di stimolo per gli altri. C’era il dramma della diversità naturale, unico motore della crescita dell’individuo, mentre oggi si pretende di imporre la farsa dell’uguaglianza artificiale attraverso la crescita programmata nei tunnel cupi e senza ritorno della società delle api operaie.
Ovvio: la praivasi è stata introdotta per limitare la possibilità di conoscenza dei dati personali da parte dei soggetti privati e invece favorirne l’uso, a fini commerciali, da parte delle grandi società e, a fini di assoggettamento, da parte dello Stato. Tutto rientra nel progetto, velocizzato negli ultimi settant’anni. Come la droga, la musica da sballo, le discoteche, il terrorismo, la rivolta studentesca, la riforma della scuola, il femminismo, lo scioglimento dell’esercito, i tatuaggi, i social, la pornografia, l’uguaglianza sostanziale ma pure formale tra i sessi, la delegittimazione della famiglia naturale, la dissoluzione della religione, le onlus, le multinazionali, feisbuc, uozzap.
Come la “democrazia”, è una delle tante illusioni date in pasto ai cosiddetti cittadini, i quali subiscono ogni giorno intromissioni moleste nella loro sfera più privata, di competenza esclusiva dell’individuo, mentre sono lasciati soli, in situazioni di spettanza esclusiva dello Stato, in un contesto in cui ormai conta solo la realtà virtuale contraffatta e la “loro” verità. È l’illusione ingannevole dell’interessamento dello Stato alla tutela dell’individuo, mentre si corre a grandi falcate verso la collettivizzazione delle menti e la massificazione delle coscienze, nella caldera del pensiero unico di radice luciferina.
Hanno già i nostri dati, tutti. Le nostre inclinazioni, le nostre aspirazioni, i nostri capricci.
Non avranno le nostre anime.
by Aldo Maria Valli
Cari amici di Duc in altum, vi propongo un’acuta riflessione che, prendendo spunto dalla mania della privacy (che l’autore argutamente scrive praivasi, come la pronunciamo), sottolinea come le paladine, fino al ridicolo, della protezione dei dati siano le stesse entità che ci controllano in tutto e per tutto. Un gioco dell’apparenza che domina lo scenario attuale, anche nella politica.
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di Claudio Gazzoli
Una volta, quando non c’erano ancora tutte queste menate introdotte gradualmente, come è ovvio, dagli incappucciati col grembiulino – mi riferisco in particolare alla praivasi – alla fine dell’anno scolastico eravamo in ansia per l’uscita dei quadri dopo gli scrutini. Ovvio che non guardavamo solo il nostro voto ma anche i voti degli altri, con i promossi, i rimandati e i bocciati. Non ce ne siamo mai fatto un problema, e questa trasparenza ovvia non ci ha mai procurato affanni, inquietudini o isterie. Tutt’al più qualche irritazione per un confronto non imparziale, ma finiva lì. Oggi invece, sotto il regno del delirio per la praivasi, non si conosce nulla di nessun’altro e questa, senza alcuna verifica da parte dei diretti interessati, non è una garanzia di obiettività.
C’era anche un elemento giocoso, se vogliamo. Di orgoglio per i più meritevoli, di stimolo per gli altri. C’era il dramma della diversità naturale, unico motore della crescita dell’individuo, mentre oggi si pretende di imporre la farsa dell’uguaglianza artificiale attraverso la crescita programmata nei tunnel cupi e senza ritorno della società delle api operaie.
Ovvio: la praivasi è stata introdotta per limitare la possibilità di conoscenza dei dati personali da parte dei soggetti privati e invece favorirne l’uso, a fini commerciali, da parte delle grandi società e, a fini di assoggettamento, da parte dello Stato. Tutto rientra nel progetto, velocizzato negli ultimi settant’anni. Come la droga, la musica da sballo, le discoteche, il terrorismo, la rivolta studentesca, la riforma della scuola, il femminismo, lo scioglimento dell’esercito, i tatuaggi, i social, la pornografia, l’uguaglianza sostanziale ma pure formale tra i sessi, la delegittimazione della famiglia naturale, la dissoluzione della religione, le onlus, le multinazionali, feisbuc, uozzap.
Come la “democrazia”, è una delle tante illusioni date in pasto ai cosiddetti cittadini, i quali subiscono ogni giorno intromissioni moleste nella loro sfera più privata, di competenza esclusiva dell’individuo, mentre sono lasciati soli, in situazioni di spettanza esclusiva dello Stato, in un contesto in cui ormai conta solo la realtà virtuale contraffatta e la “loro” verità. È l’illusione ingannevole dell’interessamento dello Stato alla tutela dell’individuo, mentre si corre a grandi falcate verso la collettivizzazione delle menti e la massificazione delle coscienze, nella caldera del pensiero unico di radice luciferina.
Hanno già i nostri dati, tutti. Le nostre inclinazioni, le nostre aspirazioni, i nostri capricci.
Non avranno le nostre anime.
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