Di Silvio Brachetta, 5 LUG 2024
Speciale 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio 2024).
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tenta di definire l’«anima» della «democrazia», nel suo discorso di apertura della Settimana sociale dei cattolici in Italia [qui]. Mattarella fonda il suo intervento su alcuni assunti – o meglio, preconcetti – che lui ritiene assoluti: l’unione quasi connaturata tra libertà e democrazia, la bontà intrinseca della Costituzione italiana, la sovranità come potere popolare, l’obiettivo di un bene comune terreno, la necessità di un approdo politico liberale.
Cita anche diversi autori liberali, tra cui Norberto Bobbio, molto esigente in fatto di democrazia, della quale stila un elenco di «condizioni minime». Mattarella però non dice che Bobbio era assai poco ottimista circa l’effettivo realizzarsi di uno Stato democratico.
Ne Il futuro della democrazia (Einaudi, 1984), Bobbio non è affatto persuaso che la pratica della democrazia nella storia abbia rispettato i presupposti teorici che lui stesso aveva contribuito ad elaborare. Bobbio scrive, in particolare (anche in altre opere), di «promesse non mantenute». La prima vittima della democrazia reale è proprio la libertà individuale: la stessa libertà nell’esercizio del voto è vanificata dal fatto che egli delega la propria volontà a quella di gruppi di potere, i quali non raggiungono mai una sintesi della volontà popolare e, per via dei contrasti, la vanificano. C’è quindi il pericolo fattuale dello scadere della democrazia in «oligarchia».
Bobbio indica altri ostacoli alla democrazia: impossibilità di raggiungere una eguaglianza effettiva, impossibilità di distruggere il «potere invisibile» in favore del «potere trasparente», lentezza della macchina burocratica, impossibilità di una visione globale dei problemi (da parte del cittadino) a causa della vastità degli Stati moderni. Da sincero liberale, Bobbio non scade mai in un entusiasmo a prescindere.
Sotto questa luce, è un po’ ingenuo lamentare il «rischio di una democrazia della maggioranza», causata sia dai gruppi di potere, sia dalla bassa partecipazione dei cittadini alla vita politica. Insieme a Mattarella se ne lamentava anche Bobbio, ma il problema non si può eliminare. La pretesa di un coinvolgimento entusiasta del popolo alla res publica contemporanea, deteriorata com’è da corruzioni di ogni tipo, è un’utopia.
Eppure Mattarella continua a celebrare le glorie della democrazia e della «libertà di tradizione liberale». E cita Giuseppe Dossetti, che pose il problema del «vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale», con la definizione di «democrazia sostanziale». Non a caso, con la presenza di Dossetti nella Costituente, l’articolo 1 della Costituzione italiana recita, tra l’altro: «La sovranità appartiene al popolo».
Si tratta di un’affermazione contraria alla Dottrina sociale della Chiesa e non solo in quanto il potere viene da Dio, dall’alto e non dal basso. La «sovranità», come scrive Stefano Fontana in un suo articolo [qui], «è il potere che si investe da solo di autorità e che non riconosce al di sopra di sé alcun altro potere né alcun’altra autorità», men che meno quella di Dio. In altre parole, non ci si può investire di autorità da se medesimi, se non esprimendo un potere assoluto e illegittimo.
Nella prolusione, il Presidente cerca di collegare, senza però argomentare a sufficienza, liberalismo e Dottrina sociale, cattolicesimo e democrazia. Il discorso si fa, dunque, incoerente, ad esempio quando dichiara «un fermo no all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice». Ma, come abbiamo visto, il «popolo sovrano» – di cui alla Carta costituzionale – è assolutista per definizione e, di fatto, le democrazie liberali sono state porte di accesso storiche ai totalitarismi o a sistemi corrotti.
Sembra, al contrario, che Mattarella veda il pericolo solo nella crisi della partecipazione, nella demagogia e nel populismo, pur essendo elementi presenti nella vita odierna degli Stati.
In particolare, Mattarella (sostenendo il pensiero del card. Zuppi), al di là delle differenze tra i cittadini vede, come «collante» della comunità, «la condivisione intorno a valori supremi di libertà e democrazia». Libertà e democrazia possono essere certamente motivo di condivisione, riferimenti di valore e idealità positive, ma non «valori supremi» dell’uomo. Lo sarebbero, se l’uomo fosse solo materia. Per questo motivo la politica, secondo la Dottrina sociale, non può poggiare solo su valori condivisi, che escludano l’essenza spirituale e meta-storica delle persone.
Non ci si può nemmeno accontentare – come invece si accontenta Mattarella, sul pensiero di mons. Adriano Bernareggi (1884-1953) – di una comunità civile che non ha «più un’unica “base spirituale” [il cattolicesimo, ndr] bensì un bene comune terreno, che doveva fondarsi proprio sull’intangibile “dignità della persona umana”». Qua è presente – come in tutto il cattolicesimo democratico – una definizione ambigua di «bene comune», che non tiene conto dell’ambito ultraterreno. La dignità, infatti, non è tale se non fondata su qualcosa di assai superiore al bene comune terreno.
Mattarella invita poi ad essere «alfabeti nella società», nel senso in cui lo intendeva don Milani, per prevenire l’analfabetismo politico. Gli «analfabeti», secondo questo schema, sono coloro che evidenziano le utopie e le ambiguità del cattolicesimo democratista. Il Presidente sostiene che «ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”», che altro non è se non l’«inveramento della vita della democrazia».
E perché alfabetizzare il popolo? Perché, dice, occorre «battersi affinché non vi possano essere “analfabeti di democrazia”». C’è però una distanza minuscola tra l’alfabetizzare e l’indottrinare o il rieducare qualcuno. Ecco, come la storia dimostra, tutto quello che esclude la Dottrina cattolica è spesso indottrinamento e rieducazione forzata.
Silvio Brachetta
(Foto: Screenshot youtube)
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