A 28 anni Zoraya ha programmato di farla finita a maggio. Il motivo? Troppo depressa, anche per il suo psichiatra. Da ultima risorsa il suicidio diventa un'opzione normale, purché a norma di protocollo.
ESCALATION
Una scelta triste nata da una vita triste. L’olandese Zoraya ter Beek, 28 anni, ha deciso che morirà a maggio. Non ha un tumore allo stadio terminale, non soffre di patologie neurodegenerative come la Sla, ma è depressa, triste fino alla morte. Una depressione che va a braccetto con tratti di autismo e con un disturbo borderline di personalità. Innamorata del suo ragazzo, una bella casa, due gatti, ma niente di tutto questo le è bastato per riempire un vuoto che è talmente vuoto da non avere nome.
Ne ha parlato con The Free Press. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? Quando il suo psichiatra le disse: «non c'è più niente che possiamo fare per te. Non migliorerà mai». L’eutanasia della speranza clinica, del codice deontologico ed anche della ricerca scientifica che guarda al futuro. Una medicina arrendevole. Zoraya ha tatuato un albero della vita capovolto: «Sta perdendo le foglie, sta morendo – ha detto – Non vedo [la mia morte] come la partenza della mia anima, ma più come la liberazione di me stessa dalla vita». Il corpo come carcere dell’anima.
Morirà a casa sua: «Nella maggior parte dei casi c’è prima una tazza di caffè a calmare i nervi e a creare un'atmosfera soft. Poi [la dottoressa] mi chiederà se sono pronta. Prenderò posto sul divano. Mi chiederà ancora una volta se sono sicura, avvierà la procedura e mi augurerà buon viaggio. O, nel mio caso, un bel pisolino». Notare la narrazione suadente per occultare la tragedia e la gravità della scelta: la dottoressa che come una mamma canta una ninna nanna per un sonno eterno dandole la medicina che spegnerà ogni suo dolore perché spegnerà la sua vita; l’ambientazione soft quasi che la ragazza fosse sdraiata sul divano per un massaggio; la casa come luogo degli affetti – morirà infatti con accanto il suo ragazzo e i gatti. Nulla fa pensare ad un omicidio. Ma in realtà è proprio un omicidio.
La ragazza ha aggiunto: «Ho un po' paura di morire, perché è l'ultima incognita. Non sappiamo davvero cosa accadrà dopo, oppure non c'è niente? Questa è la parte che mi spaventa». Pensate, esistono psicologi cattolici che anche con i pazienti non credenti fortemente tentati dal suicidio, come ultima carta, si giocano la seguente: “E se la Chiesa avesse ragione sui suicidi quando dice che togliersi la vita può essere peccato mortale che porta all’inferno? In questo caso tu ti uccideresti per non soffrire più, ma potresti ottenere l’effetto opposto. Infatti potresti passere da un inferno ad uno ben peggiore e che non avrà mai fine”. Per qualcuno questo discorsetto si è rivelato un buon deterrente.
Una volta morta, un Comitato di revisione valuterà che il decesso della ragazza sia avvenuto rispettando il protocollo in vigore nei Paesi Bassi. Le condizioni fondamentali per l’accesso all’eutanasia sono che la scelta di morire sia libera e che la sofferenza della persona sia insopportabile e senza prospettive di miglioramento. Sofferenze anche solo psicologiche, come nel caso di Zoraya. L’unico criterio morale rimasto nell’eutanasia è la burocrazia.
L’omicidio legale di una persona depressa è l’esito di alcune premesse di carattere ideologico-culturale. La prima: l’idea che la qualità della vita prevalga sulla dignità della persona. Se la prima può peggiorare, la seconda conserva la sua preziosità sempre, al di là di patologie, infermità e sofferenze. La seconda premessa: l’idea che la libertà personale è il riferimento ultimo nelle scelte morali. Un’idea che in questo caso mostra tutta la sua vacuità: una persona depressa, con tratti autistici e con personalità borderline quanto è libera? Ha scelto Zoraya o la sua depressione? Sotto tortura del dolore e del male di vivere non si è liberi. Terza premessa: il piano inclinato. Theo Boer, professore di etica sanitaria presso l'Università teologica protestante di Groningen, ha fatto parte per un decennio di un comitato di revisione dell'eutanasia nei Paesi Bassi. «In quegli anni – ha dichiarato – ho visto la pratica olandese dell’eutanasia evolversi da morte come ultima risorsa a morte come opzione predefinita». Alla fine ha lasciato l’incarico. La morte cessa di essere un male da evitare, eccetto in casi eccezionali. L’eccezione, come si dice, diventa regola e così rimanere in vita o darsi la morte sono entrambe scelte buone.
Preghiamo perché quell’albero capovolto tatuato sul braccio di Zoraya possa comunque, seppur all’ultimo momento, rifiorire.
Ne ha parlato con The Free Press. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? Quando il suo psichiatra le disse: «non c'è più niente che possiamo fare per te. Non migliorerà mai». L’eutanasia della speranza clinica, del codice deontologico ed anche della ricerca scientifica che guarda al futuro. Una medicina arrendevole. Zoraya ha tatuato un albero della vita capovolto: «Sta perdendo le foglie, sta morendo – ha detto – Non vedo [la mia morte] come la partenza della mia anima, ma più come la liberazione di me stessa dalla vita». Il corpo come carcere dell’anima.
Morirà a casa sua: «Nella maggior parte dei casi c’è prima una tazza di caffè a calmare i nervi e a creare un'atmosfera soft. Poi [la dottoressa] mi chiederà se sono pronta. Prenderò posto sul divano. Mi chiederà ancora una volta se sono sicura, avvierà la procedura e mi augurerà buon viaggio. O, nel mio caso, un bel pisolino». Notare la narrazione suadente per occultare la tragedia e la gravità della scelta: la dottoressa che come una mamma canta una ninna nanna per un sonno eterno dandole la medicina che spegnerà ogni suo dolore perché spegnerà la sua vita; l’ambientazione soft quasi che la ragazza fosse sdraiata sul divano per un massaggio; la casa come luogo degli affetti – morirà infatti con accanto il suo ragazzo e i gatti. Nulla fa pensare ad un omicidio. Ma in realtà è proprio un omicidio.
La ragazza ha aggiunto: «Ho un po' paura di morire, perché è l'ultima incognita. Non sappiamo davvero cosa accadrà dopo, oppure non c'è niente? Questa è la parte che mi spaventa». Pensate, esistono psicologi cattolici che anche con i pazienti non credenti fortemente tentati dal suicidio, come ultima carta, si giocano la seguente: “E se la Chiesa avesse ragione sui suicidi quando dice che togliersi la vita può essere peccato mortale che porta all’inferno? In questo caso tu ti uccideresti per non soffrire più, ma potresti ottenere l’effetto opposto. Infatti potresti passere da un inferno ad uno ben peggiore e che non avrà mai fine”. Per qualcuno questo discorsetto si è rivelato un buon deterrente.
Una volta morta, un Comitato di revisione valuterà che il decesso della ragazza sia avvenuto rispettando il protocollo in vigore nei Paesi Bassi. Le condizioni fondamentali per l’accesso all’eutanasia sono che la scelta di morire sia libera e che la sofferenza della persona sia insopportabile e senza prospettive di miglioramento. Sofferenze anche solo psicologiche, come nel caso di Zoraya. L’unico criterio morale rimasto nell’eutanasia è la burocrazia.
L’omicidio legale di una persona depressa è l’esito di alcune premesse di carattere ideologico-culturale. La prima: l’idea che la qualità della vita prevalga sulla dignità della persona. Se la prima può peggiorare, la seconda conserva la sua preziosità sempre, al di là di patologie, infermità e sofferenze. La seconda premessa: l’idea che la libertà personale è il riferimento ultimo nelle scelte morali. Un’idea che in questo caso mostra tutta la sua vacuità: una persona depressa, con tratti autistici e con personalità borderline quanto è libera? Ha scelto Zoraya o la sua depressione? Sotto tortura del dolore e del male di vivere non si è liberi. Terza premessa: il piano inclinato. Theo Boer, professore di etica sanitaria presso l'Università teologica protestante di Groningen, ha fatto parte per un decennio di un comitato di revisione dell'eutanasia nei Paesi Bassi. «In quegli anni – ha dichiarato – ho visto la pratica olandese dell’eutanasia evolversi da morte come ultima risorsa a morte come opzione predefinita». Alla fine ha lasciato l’incarico. La morte cessa di essere un male da evitare, eccetto in casi eccezionali. L’eccezione, come si dice, diventa regola e così rimanere in vita o darsi la morte sono entrambe scelte buone.
Preghiamo perché quell’albero capovolto tatuato sul braccio di Zoraya possa comunque, seppur all’ultimo momento, rifiorire.
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