uropa bandiera europea
di Miguel Cuartero Samperi, 14 aprile 2024
Dopo la mossa (suicida) di Macron ora è l’Europa a chiedere «che l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue sia modificato, affermando che “ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo”».
Una decisione che lascia sgomenti. A chiederlo è la civilissima Europa, baluardo dei valori occidentali, esempio di “primo mondo”, evoluto, saggio, maturo. A chiederlo è un continente che ha subito per due volte in un secolo (recentissimo) due conflitti mondiali e che oggi stesso assiste (e alimenta) altre due guerre nel proprio territorio.
Da parte dei cattolici questa notizia merita senz’altro attenzione e riflessione. Una società che dimentica la sacralità della vita e che toglie dignità alla vita nascente, a esseri umani innocenti, non è un luogo sicuro dove vivere e far crescere la propria famiglia.
Al di là delle stupidaggini e delle battute idiote sentite e risentite in questi anni, per cui la Chiesa sarebbe un posto pericoloso per i bambini, c’è da osservare, con amarezza, che la Chiesa è al momento l’unico luogo sicuro, in cui la vita è difesa dal “momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale”.
Lo ha ribadito in questi giorni con la Dichiarazione Dignitas infinita che, al di là delle critiche ricevute per la debole impostazione teorica, ribadisce con parole durissime che l’aborto è un delitto che “grida vendetta al cospetto di Dio”.
Di fronte a una così grave situazione, occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione di autoinganno. A tale proposito risuona categorico il rimprovero del Profeta: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Is 5, 20)
Anche Francesco ha parlato diverse volte contro l’aborto con termini molto duri, troppo duri secondo alcuni osservatori («è come assoldare un sicario»). Ma è necessario chiedersi se la Chiesa ha fatto abbastanza per impedire una deriva che oggi definisce pericolosissima.
Per dieci anni la Chiesa ha predicato l’amicizia sociale, la fraternità universale, il pacifismo globale e l’ecologia integrale. Per tutta risposta l’Europa fa il gesto dell’ombrello e chiede più aborto. Qualcosa è andato storto ed è urgente raddrizzarlo.
Si è investito tanto nel stringere legami di amicizia col mondo, nel costruire ponti, nell’offrire un’immagine della Chiesa amica anziché madre, complice anziché maestra, moderna e attenta alle novità. In una parola “simpatica”. Ma tutto ciò ha lasciato la Chiesa e i cattolici senza più quella parola di autorità che viene da Dio, che a volte brucia ma aiuta a crescere e a guarire.
Va infatti osservato che in questi anni si è combattuto, anche all’interno della Chiesa stessa, contro concetti cardine come i “principi non negoziabili” e le “radici cristiane dell’Europa”. Quelli che erano principi e punti fermi e irremovibili, che Benedetto XVI ha più volte ribadito e sottolineato, sono oggi considerati secondari, residui di una battaglia culturale, non persa, ma inutile e dannosa.
Eloquente che proprio in questo giorni sia uscito un libro intitolato “Il mito delle radici cristiane dell’Europa” (Einaudi). L’autore, Sante Lesti, considera le radici cristiane dell’Europa «un mito storico-identitario», caro a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI e a chi «pretende di dirci non soltanto da dove veniamo, ma anche chi siamo e, soprattutto, non possiamo non essere». Il Corriere, entusiasta, gli dedica due pagine e inserisce nel titolo papa Francesco (il picconatore). «Il tramonto di un mito. La visione di papa Francesco sulle “radici cristiane”» titola con orgoglio Paolo Mieli.
Intervistato da Il Manifesto, l’autore ha affermato qualcosa che suona allarmante.
È in corso un ripensamento. Senza dubbio, sono cambiate le priorità e la battaglia per i principi non negoziabili non è più la stella polare. Trovano invece molto più spazio nei discorsi del papa sull’Europa l’accoglienza dei migranti, la solidarietà sociale e la difesa dell’ambiente.
Allarmante per due motivi: il primo è perché così oggi viene percepita la Chiesa e l’attuale pontificato, in senso di rottura con un passato identitario e intollerante e in un nuovo atteggiamento di apertura e di ascolto, se non di accettazione, delle istanze, delle scelte, delle priorità e delle mode della società contemporanea.
Secondo motivo per cui queste parole sono allarmanti è perché non sono lontane dalla verità. Nella Chiesa “sono cambiate le proprietà”. Lo dimostrano le dichiarazioni dei vescovi, le (non) prese di posizioni del Vaticano, ma anche i silenzi e il lassaire faire con cui si vuole dimostrare un volto più umano, più amabile e x-friendly. Lo dimostra la revisione voluta alla bozza di Dignitas infinita che ha ripristinato l’ordine e la varietà delle priorità (cfr. DI, Presentazione).
Tornano oggi di estrema attualità le parole di Sant’Agostino citate da Benedetto XVI al Parlamento Federale tedesco nel 2011: «Togli il diritto e allora che cosa distingue lo stato da una grossa banda di briganti?» (De Civitate Dei).
Scriveva Ratzinger nel lontano 1987: «Il riconoscimento della sacralità della vita umana e della sua inviolabilità senza eccezioni non è dunque un piccolo problema o una questione che possa essere considerata relativa, in ordine al pluralismo delle opinioni presente nella società moderna».
La rivendicazione di tanti diritti a detrimento della vita di un essere umano innocente rende «ciechi di fronte al diritto alla vita di un altro», pertanto «ogni legalizzazione dell’aborto implica perciò l’idea che è la forza che fonda il diritto». Così «vengono minate le basi stesse di un’autentica democrazia fondata sull’ordine della giustizia». In realtà, prosegue Ratzinger, «la morale vive sempre in scritta in un più ampio orizzonte religioso (…) fuori da questo ambito essa diventa asfittica e formale, si indebolisce e muore». Per questo un’Europa che ha rinnegato le radici cristiane è un’Europa senza radici e senza futuro.
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