Diane Montagna
Il figliol prodigo è andato via di casa per dire “Sono indipendente, sono autonomo da mio padre”, e suo padre vuole perdonarlo. Ma se non torna a casa non può essere perdonato. E tornare a casa significa lasciarsi il peccato alle spalle.
È solo uno dei pensieri condivisi dal cardinale Robert Sarah, che ha parlato in esclusiva con Aleteia all’Incontro Mondiale delle Famiglie svoltosi a Philadelphia la scorsa settimana.
Nominato prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nel 2014, è stato uno dei primi sacerdoti ad essere ordinati in Guinea, nell’Africa occidentale, e attribuisce la propria fede alla generosità dei missionari spiritani, giunti nel suo villaggio nel 1912.
Il cardinale Sarah è stato uno degli oratori di spicco all’Incontro di Philadelphia, pronunciando un discorso intitolato The Light of the Family in a Dark World (La luce della famiglia in un mondo oscuro), che è stato accolto con grande favore.
In questa intervista, il porporato parla del suo nuovo libro Dio o Niente, della portata dell’autorità papale e del perché l’autentica misericordia dipende da un allontanamento dal male e dal pentimento per i peccati.
Sua Eminenza, il suo nuovo libro si intitola Dio o Niente. Perché ha scelto questo titolo, e qual è il cuore del suo messaggio?
Come sa, da prima del Concilio Vaticano II ad oggi Dio è scomparso sempre di più; [per molti] non esiste più. Nessuno è interessato a Lui, soprattutto in Occidente. Già al Concilio, si voleva aiutare il mondo a riscoprire Dio.
L’idea principale del mio libro è come dare a Dio il primo posto nei nostri pensieri, nelle nostre azioni quotidiane e nel nostro essere, di modo che Dio torni veramente ad essere nostro Padre.
L’economia è importante, la politica è importante, molte cose sono importanti, ma se perdiamo Dio siamo come un albero senza radici: muore. E quindi il cuore del libro è mettere Dio al primo posto nella mia mente, nelle mie azioni quotidiane e nel mio essere. In questo modo, l’uomo non perderà le sue radici.
Nella cultura Occidentale si dice già “Non abbiamo radici cristiane”. È illogico. La cultura, l’architettura, l’arte: è tutto cristiano. Negare ciò che è ovvio è un suicidio.
Io ho conosciuto Dio attraverso i missionari. Molti di loro sono morti dopo un anno di missione, o due, o tre. Non sono mai sopravvissuti per più di tre anni. Morivano di malaria o di qualche altra malattia. Si sono sacrificati tanto per proclamare Dio. E così ho pensato: se tanti di loro sono morti, e se oggi ci sono ancora tanti martiri, significa che Dio è importante nella vita.
Il cuore del mio libro è quindi questo: come troviamo Dio in ciò che siamo, in ciò che facciamo e in quello che pensiamo?
Ma affronto anche molte questioni e molti problemi del mondo odierno: questioni e problemi nella Chiesa, relativi al matrimonio, relativi al sacerdozio. Tutte le questioni attuali che interessano la vita della Chiesa: la missione, il papa…
Il papa? In che senso?
Esamino il ruolo del papa. C’è un capitolo in cui parlo di papa Pio XII arrivando fino a Francesco. Il ruolo del papa dev’essere l’unico al quale il Signore ha affidato le chiavi e la Chiesa. “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.
Il papa dev’essere quindi “Cristo in terra” e deve difendere la fede dei cristiani. Deve aiutare a preservare la fede, a salvaguardare e a preservare ciò che la Chiesa ha sempre vissuto, dall’inizio fino ad oggi. Egli è la roccia. Se la roccia non è solida, può essere difficile per i cristiani perché non hanno alcuna protezione. Fino ad oggi, tutti i papi hanno cercato di custodire e salvaguardare la fede dei cristiani.
Papa Francesco parla spesso di economia, ambiente, immigrazione… Come dovrebbero comprendere correttamente i fedeli le dichiarazioni di un papa su questi argomenti?
Se il papa parla di economia o di politica, non è il suo settore di competenza. Può offrire il suo punto di vista o la sua opinione, ma non è un dogma. Può sbagliare. Ma ciò che dice su Cristo, sui sacramenti, sulla fede, dev’essere ritenuto sicuro.
Se parla di ambiente, di clima, di economia, di immigrati, eccetera, si sta basando su informazioni che possono essere corrette o meno, ma [in questi casi] parla come parla Obama, o un altro Presidente. Non significa che ciò che dice sull’economia sia un dogma, qualcosa che dobbiamo seguire. È un’opinione.
Ma se ciò che dice è illustrato e illuminato dal Vangelo, allora lo dobbiamo tenere in seria considerazione. “Dio vuole questo; è ciò che dice la Bibbia”. O “Dio vuole questo; è ciò che dice il Vangelo”. Allora la politica viene illuminata, l’economia viene illuminata dal Vangelo. Anche questo ha qualche grado di sicurezza, perché non deriva solo dal suo pensiero. È il pensiero della Bibbia, la mente di Dio.
Per me è chiaro che il papa non può non parlare di questi argomenti, ma quando lo fa dice quello che può dire qualsiasi Capo di Stato senza che debba essere Parola di Dio. Bisogna distinguere.
Qui all’Incontro Mondiale delle Famiglie, lei ha pronunciato un discorso importante dal titolo La luce della famiglia in un mondo oscuro. Ha parlato delle minacce che affronta la famiglia, sia fuori che dentro la Chiesa. A quest’ultimo riguardo ha detto: “Anche i membri della Chiesa possono essere tentati di ammorbidire l’insegnamento di Cristo sul matrimonio e la famiglia, e a gradi vari e curiosi l’idea che consisterebbe nel mettere il Magistero in una bella scatola e separarlo dalla pratica pastorale, il che potrebbe implicare, in base alle circostanze, mode e impulsi è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica”. Può chiarire cosa intende?
Ad esempio, sul matrimonio alcuni vescovi dicono che quando due persone si sono separate dobbiamo vedere se possiamo dare loro la Santa Comunione anche se hanno contratto un secondo matrimonio. Questo non è possibile, perché Dio ha detto che ci può essere solo un matrimonio. Se sono separate, non possono contrarre un nuovo matrimonio. Se lo fanno, non possono ricevere la Comunione.
Ma ora alcuni stanno dicendo che potrebbe essere fatto “per assisterli a livello pastorale, per guarirli”, ma non possiamo guarire qualcuno senza curarlo davvero, senza riconciliarlo con Dio.
Se qualcuno ha già contratto un nuovo matrimonio, è difficile curarlo. Non possiamo abbandonarlo; possiamo certamente accompagnarlo, dicendo “Dovresti continuare a pregare e ad andare a Messa. Devi formare i tuoi figli nella fede cristiana. Puoi partecipare alle attività parrocchiali e al servizio caritatevole. Ma non puoi ricevere la Comunione”.
È per questo che dico che non possiamo separare la dottrina dalla pratica pastorale, affermando che portiamo la guarigione, perché non si può essere guariti in questo modo.
Alcuni presuli affermano che permettere ai cattolici divorziati e risposati di ricevere la Santa Comunione sarebbe un atto di misericordia. Perché a suo avviso non lo sarebbe?
Perché la misericordia richiede il pentimento. Se ho fatto qualcosa di male, mi pento. Se ho fatto qualcosa di male, per pentirmi devo rompere con il male che ho commesso. Questa è misericordia.
Prendiamo il figliol prodigo. È andato via di casa per dire “Sono indipendente, sono autonomo da mio padre”. Suo padre vuole perdonarlo, ma se il figliol prodigo non torna a casa non può essere perdonato. Per essere perdonato, deve rinunciare alla sua vita e tornare a casa. Questa è misericordia. Se resta lontano da casa, non può ricevere la misericordia. Per ricevere la misericordia bisogna quindi rompere con il peccato.
E perché non può essere il padre ad andare dal figlio e a stare là dove si trova?
Perché la casa è questa, non un posto lì fuori. Il figlio deve tornare a casa. Se torna a casa, abbandona la sua indipendenza, il suo peccato. Nel Vangelo, il figlio ritorna a casa dicendo: “Sono tuo figlio, non ne sono degno, prendimi come servo”. Questo è pentimento. Se non c’è pentimento, non c’è misericordia.
Lo stesso vale quando Gesù va a casa di Zaccheo. Era un esattore per i romani. Gesù va a casa sua, perché lui era lì e voleva vedere Gesù, e si era umiliato salendo su un albero. Gesù lo vede. Vede che Zaccheo cerca qualcosa, non solo il denaro. E gli dice: “Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”.
La gente dice: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”, ma Zaccheo risponde: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. È pentito. Non ruberà più, e non solo: restituisce ciò che aveva rubato. Questa è misericordia. Lo stesso vale per la samaritana.
Gesù è entrato in casa di Zaccheo perché sapeva che si era pentito, e in questo modo ha confermato il suo pentimento. Quello che ha fatto Zaccheo non è stato insignificante. Solo i bambini salgono sugli alberi. Lui si è umiliato salendo sull’albero.
Se vogliamo analizzare più a fondo questo fatto, è salito sull’albero della Croce, ovvero l’albero che distrugge il peccato.
Zaccheo è salito sull’albero della Croce?
Sì, è salito sulla Croce, perché stava cercando un Salvatore. Non aveva bisogno di salire sull’albero per vedere Gesù. Si dice che era piccolo di statura, ma a livello simbolico questo punto è molto significativo. È salito sull’albero della salvezza, e Gesù è andato a casa sua per confermare questo.
Zaccheo si è pentito. Poi Gesù è entrato a casa sua. Possiamo allora dire anche noi, in modo simile, che prima di ricevere la Santa Comunione dobbiamo pentirci, e poi il Signore entra dentro di noi?
Sì. Se non ci lasciamo alle spalle il nostro peccato, come possiamo ricevere la Comunione? Dio e il peccato non possono coesistere. Non è rigidità. È per portare una vera guarigione. Dobbiamo aiutare davvero le persone. Se qualcuno è ferito, non basta mettere un balsamo sulla sua mano. Va curato.
San Paolo dice che mangia la propria condanna. Se lo fa coscientemente, e lo fa di sua spontanea volontà, mangia la propria condanna.
Siamo tutti peccatori, ma andiamo a confessarci e non vogliamo rimanere nel peccato. Un matrimonio è qualcosa di istituito in modo saldo. Se ho contratto un secondo matrimonio per la vita, è un peccato istituito in modo saldo, non posso poi affermare di poter ricevere la Santa Comunione.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]
Aleteia
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