lunedì 26 ottobre 2015

Cardinale Burke: La 'Relatio finalis' manca di chiarezza sulla indissolubilità del matrimonio



Il cardinale Raymond Burke, cardinalis patronus dei Cavalieri di Malta ed ex prefetto della Segnatura Apostolica, ha condiviso con il New Catholic Register la sua reazione iniziale alla Relazione finale del Sinodo sulla Famiglia.


Su NCRegister la reazione del Cardinale Raymond Leo Burke.


Egli si concentra sui punti 84-86 sul divorzio e sul nuovo matrimonio, affermando che questa sezione è di «preoccupazione immediata a causa della sua mancanza di chiarezza su una questione fondamentale della fede: l'indissolubilità del vincolo matrimoniale, che sia la ragione che la fede, insegnano a tutti gli uomini». Egli dice anche che il modo in cui viene utilizzata la citazione di Familiaris consortio è «ingannevole».
Di seguito il commento del cardinale.
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L'intero documento richiede un attento studio, al fine di capire esattamente quali consigli si stanno offrendo al Romano Pontefice, in accordo con la natura del Sinodo dei Vescovi, «nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica» (can 342).


La sezione intitolata «Discernimento e integrazione» (paragrafi 84-86), tuttavia, è immediatamente fonte di preoccupazione, per la sua mancanza di chiarezza su una questione fondamentale della fede: l'indissolubilità del vincolo matrimoniale, che sia la ragione che la fede insegnano a tutti gli uomini.


In primo luogo, integrazione, è un termine mondano teologicamente ambiguo. Non vedo come possa essere «la chiave di accompagnamento pastorale di coloro che vivono unioni matrimoniali irregolari». La chiave interpretativa della loro cura pastorale deve essere la comunione fondata sulla verità del matrimonio in Cristo, che deve essere onorato e praticato, anche se una delle parti del matrimonio è stata abbandonata a causa del peccato dell'altra parte. La grazia del sacramento del santo matrimonio rafforza il coniuge abbandonato a vivere con fedeltà il vincolo matrimoniale, continuando a cercare la salvezza del partner che ha abbandonato l'unione matrimoniale. Ho conosciuto, fin dalla mia infanzia, e continuo a incontrare cattolici fedeli i cui matrimoni, in qualche modo, sono stati rotti, ma che, credendo nella grazia del Sacramento, continuano a vivere nella fedeltà al loro matrimonio. Essi guardano alla Chiesa per questo accompagnamento che li aiuta a rimanere fedeli alla verità di Cristo nella loro vita.


In secondo luogo, la citazione del no. 84 di Familiaris consortio è fuorviante. All'epoca del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia del 1980, come in tutta la storia della Chiesa, c'è sempre stata la pressione di ammettere il divorzio a causa delle situazioni dolorose di unioni irregolari, cioè coloro le cui vite non sono secondo la verità di Cristo sul matrimonio, come Egli chiaramente l'ha annunciata nei Vangeli (Mt 19, 3-12; Mc 10, 2-12). Mentre, nel n. 84, Papa San Giovanni Paolo II riconosce le diverse situazioni di coloro che vivono in una unione irregolare ed esorta i pastori e l'intera comunità ad aiutarli come veri fratelli e sorelle in Cristo in forza del Battesimo, e conclude: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati». Lui ricorda poi la ragione della prassi: «dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia». Egli nota giustamente che una prassi diversa indurrebbe i fedeli «in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio».


In terzo luogo, la citazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1735) per quanto riguarda l'imputabilità deve essere interpretata nei termini della libertà «che rende l'uomo responsabile dei suoi atti, nella misura in cui sono volontari» (CCC, n. 1734). L'esclusione dai Sacramenti di coloro che vivono unioni matrimoniali irregolari non costituisce un giudizio circa la loro responsabilità per la rottura del vincolo matrimoniale a cui sono legati. È piuttosto il riconoscimento oggettivo del legame. La dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 24 GIUGNO 2000, anch'essa citata, è in completo accordo con l'insegnamento costante e la prassi della Chiesa in materia, citando il no. 84 di Familiaris Consortio. Quella dichiarazione chiarisce anche la finalità della conversazione con un prete in foro interno, e cioè nelle parole di Papa san Giovanni Paolo II, «una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio» (Familiaris Consortio, n. 84). La disciplina della Chiesa già offre assistenza pastorale per coloro che vivono unioni irregolari che per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» in fedeltà alla verità di Cristo (Familiaris Consortio, n. 84).

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]




http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2015/10/


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