giovedì 12 giugno 2025

La Toscana ha fretta di far morire i suoi malati



A sinistra, Daniele Pieroni, il primo a ricorrere al suicidio assistito in Toscana
 dopo l'entrata in vigore della legge regionale. A destra, il governatore Eugenio Giani (foto Ansa)

Mentre il governo prova a costruire una legge nazionale sul fine vita, la Regione di Giani forza la mano, non aspetta la Consulta ed eroga il primo suicidio assistito. Una morte “serena” con la regia dei radicali che nasconde i ritardi sulle cure palliative


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Di Caterina Giojelli, 12 Giugno 2025

Alle 16:47 del 17 maggio Daniele Pieroni, 64 anni, malato di Parkinson, ha attivato un dispositivo a doppia pompa infusiva. Tre minuti dopo ha smesso di respirare. Era tutto pronto: l’Asl, il farmaco, i comunicati. L’Associazione Coscioni ha documentato ogni passaggio con toni da bollettino clinico e retorica pubblicitaria: «Serenità», «umanità», «tempi rispettati». Serenamente, sì. Ma anche senza legge dello Stato.

Il punto non è solo che la legge regionale toscana sul suicidio assistito è stata impugnata dal governo e si trova oggi sotto il vaglio della Corte costituzionale. Il punto è che la si è voluta applicare comunque, giocando d’anticipo e senza l’ok della Consulta. Di più: si è scelto di offrire alla scena pubblica un “caso”, un precedente, un’immagine plastica della nuova normalità. Si può morire legalmente, anche senza legge nazionale. Bastano una giunta regionale a trazione Pd, un protocollo sanitario e i “missionari” dell’Associazione Coscioni.

Perché la Toscana ha tanta fretta?

È una strategia, non una distrazione. E produce due effetti gravi. Primo: l’introduzione surrettizia di un diritto alla morte in assenza di una cornice normativa nazionale. Secondo: la disapplicazione concreta del principio di leale collaborazione tra istituzioni. La legge toscana è sotto ricorso proprio per violazione di competenza: le Regioni non possono legiferare in materia penale né stabilire in autonomia i livelli essenziali di assistenza. Perché allora tanta fretta? Perché tanto zelo?

Il presidente Eugenio Giani rivendica l’operazione: «Abbiamo colmato un vuoto», dando seguito alle sentenze della Corte Costituzionale, sostiene. Mente. La Consulta non ha affermato nessun diritto al suicidio assistito. E nessun dovere da parte delle Regioni di disciplinare la materia o del Servizio sanitario nazionale di erogare “la prestazione”. Al contrario: ha sollecitato il Parlamento a legiferare con una cornice nazionale, proprio per evitare che si producesse una deregolazione locale, incoerente, ideologica.

La normalizzazione della “morte serena”


E ideologico è il modo con cui il caso Pieroni è stato accompagnato. Fin dal lessico dei comunicati – «grande umanità», «professionalità», «personale esemplare», «tempi rispettati» -, la morte viene trattata come una buona pratica clinica. La normalizzazione non passa solo da leggi e medicina, ma dal racconto emotivo, orchestrato con cura.

Intanto il governo lavora a un testo nazionale. La premier Meloni ha convocato un tavolo con Tajani, Salvini, Nordio, Roccella, Schillaci, Lupi e Mantovano. Obiettivo: una proposta unitaria che tenga insieme i limiti della Consulta e i principi della maggioranza. Con una novità, scrivono i giornali: l’introduzione delle cure palliative come “quinto paletto” da affiancare ai quattro già indicati dalla Corte. E con un comitato etico nazionale, individuato con Dpcm, al posto di quelli regionali.

Le gravi carenze della Toscana nelle cure palliative

Il dibattito approderà in Senato il 17 luglio. Ma nel frattempo, la Toscana ha voluto forzare la mano. Ancora: perché tanta fretta, perché tanto zelo? Non per urgenze cliniche, ma per agenda politica. Perché mentre Giani racconta una sanità capace di «rispondere a un’esigenza concreta», la Regione registra ritardi gravi proprio sulle cure palliative. Solo il 59 per cento dei posti hospice è attivo, solo 26 unità domiciliari su 36 sono operative, manca un’assistenza continuativa h24, 7 giorni su 7. Esiste un solo letto hospice pediatrico in tutta la regione. È la fotografia di un sistema che investe meno nella cura e più nella possibilità di rinunciarvi.

I vescovi toscani, in una nota, hanno ricordato che la sanità pubblica regionale era un tempo un modello nella presa in carico delle fragilità. Oggi sembra orientarsi altrove: non si rafforza l’alternativa alla sofferenza, si legittima la rinuncia.

Il colpo di mano di Bonaccini e Bertolaso


Non è un’eccezione. In Lombardia, l’assessore Bertolaso ha aperto alla morte assistita nonostante una pregiudiziale costituzionale del Consiglio. In Emilia-Romagna c’è voluto il Tar per sospendere una delibera di Bonaccini che autorizzava il suicidio assistito senza passaggio in aula. Al governo l’ingrato compito di rimettere le cose a posto. A spingerle giù dal piano inclinato ci penseranno gli alfieri del diritto alla dipartita “serena” per tutti.




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