giovedì 29 ottobre 2015

L’impeccabile intervista di Deodato che spiega come si può essere giudici e cattolici



 


ottobre 28, 2015 Redazione


Attaccato per le sue opinioni personali, l’estensore della sentenza sulle trascrizioni delle nozze gay risponde difendendosi dalle accuse.
 
Oggi sui maggiori quotidiani italiani si parla della sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciate le trascrizioni delle nozze omosessuali contratte all’estero. Come vi abbiamo raccontato ieri, subito è esplosa l’assurda polemica intorno alle convinzioni personali dell’estensore della sentenza, il giudice Carlo Deodato. L’accusa è di essere cattolico e di aver condiviso sul proprio profilo twitter alcuni articoli, tra cui tempi.it, la Nuova Bussola quotidiana, il Foglio (a guardar bene ve ne sono anche dell’Huffington Post e de Linkiesta, ma – chissà come mai – loro non fanno parte della “lobby antigender”).
Intervistato oggi da Repubblica, Deodato risponde alle domande della giornalista Liana Milella perché sebbene, da buon giudice, vorrebbe lasciare la parola al testo scritto, tuttavia ha deciso di esporsi per «chiarire il ruolo e la funzione del giudice», augurandosi che «questa conversazione contribuisca a rasserenare il clima generale».

DECISIONE CORRETTA. Dopo la diffusione della notizia e le polemiche, quella di ieri è stata per Deodato una giornata difficile. «Non posso nascondere – spiega – una certa amarezza per i violenti attacchi personali che mi sono stati rivolti. Ma resto comunque sereno perché ritengo di aver fatto il mio dovere». Il giudice difende quanto scritto: «Ritengo che la decisione assunta sia tecnicamente e giuridicamente corretta, senza alcun inquinamento ideologico. Le accuse che mi sono state indirizzate sono tutte riferite a un mio presunto pregiudizio ideologico, ma non al merito della decisione, che invito tutti a leggere con animo sereno e distaccato». Il Consiglio di Stato, prosegue, non ha fatto altro che «confermare quanto aveva già stabilito il Tar del Lazio, nei confronti del quale non mi ricordo che siano state formulate le medesime critiche…».

RISPETTARE LA LEGGE. Già, il problema di Deodato, però, è che è «cattolico». La risposta all’accusa è cristallina: «Le opinioni personali e la formazione culturale che appartengono a ogni giudice, e che possono essere espresse in diverse forme, non incidono in alcun modo sull’esercizio della funzione giurisdizionale. Un buon giudice è quello che applica la legge assumendo decisioni coerenti con essa, senza farsi in alcun modo condizionare dai propri convincimenti di ordine politico, morale, o religioso».
Per questo, è la risposta ovvia di Deodato, il suo compito è limitato a «identificare la norma di legge che disciplina la fattispecie in questione e provvedere alla sua rigorosa applicazione. Con questo modus procedendi non esiste il rischio che le convinzioni personali possano inquinare la correttezza del giudizio. Aggiungo che le decisioni del Consiglio di Stato sono assunte da un collegio di 5 magistrati, in modo da limitare al massimo il rischio che eventuali condizionamenti personali possano inficiare la correttezza della decisione».

«LA RISCRIVEREI». I giornali fanno notare che anche il presidente del collegio, Giuseppe Romeo, è dell’Opus Dei. Ma, anche su questo, la risposta di Deodato è ferma: «Premesso che al di fuori del presidente ignoro le convinzioni religiose degli altri componenti del collegio, ritengo che la decisione assunta fosse l’unica possibile in quanto l’unica rispettosa dell’ordinamento giuridico in vigore in Italia».
Quindi, riscriverebbe così la sentenza? «Mi sta chiedendo se sono disposto a cambiare idea per il solo fatto che la sentenza non è piaciuta ad alcune persone? Allora sì che non sarei un buon giudice. La riscriverei esattamente così. Mi resta però una profonda amarezza per gli attacchi personali molto violenti che non penso di meritare, ma mi auguro che questa conversazione contribuisca a rasserenare il clima generale e soprattutto a chiarire che la soluzione alla questione della disciplina delle unioni omosessuali non deve essere chiesta al giudice, ma alla politica».





Tempi.it 28 ottobre 2015



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