Lorenzo Bertocchi
Il racconto del bambino che ha spezzato l’ostia per darla al padre che, in quanto divorziato risposato, non avrebbe potuto riceverla, ha sollevato fiumi di inchiostro. E di buoni sentimenti.
Il racconto l’ha offerto ai padri sinodali il parroco di Trieste, don Roberto Rosa, direttamente nominato dal Papa per partecipare al Sinodo. L’invito papale era arrivato inaspettato dopo che il Santo Padre aveva letto uno scritto di don Roberto proprio sul tema dell’Eucaristia ai divorziati risposati, uno scritto, ca va sans dire, possibilista rispetto al rinnovamento della prassi attualmente in vigore. Una prassi, urge ricordarlo, che è disciplina direttamente connessa alla legge divina su due sacramenti, matrimonio ed eucaristia.
La vicenda del bambino è uscita al briefing di ieri, inserita nei resoconti che vengono forniti ai cronisti rispetto al dibattito in aula. Resoconti che sono rigorosamente senza il riferimento al padre sinodale che li ha pronunciati e, molte volte, vengono riporati dai collaboratori di P. Lombardi preannunciandoli con un imparziale: “quello che mi ha colpito”. Curiosamente nel sinodo che “non si deve appiattire sul tema dei divorziati risposati”, ieri è sembrato che in aula non si sia parlato d’altro.
Con l’aneddotto del bambino che spezza l’ostia per il padre divorziato risposato, il briefing ha rasentato lo storytelling. Infatti, i commenti a seguire si sono buttati tutti sull’aspetto più sentimentale della vicenda. Molti hanno parlato di “commossa partecipazione” dei padri in aula, altri hanno sottolineato questa sofferenza dei figli per genitori divorziati risposati che non possono accedere alla Santa Eucaristia.
Al netto della buona fede del bambino, e del rispetto dovuto ai suoi nobili sentimenti, rimane il fatto che quanto raccontato da don Rosa è un abuso liturgico, tecnicamente una profanazione rispetto al Corpo e al Sangue del Signore realmente presente. Viene da chiedersi quale catechesi abbia ricevuto il bambino rispetto all’eucaristia e anche al dono del timor di Dio. Quest’ultimo, che è dono dello Spirito, “è il sentimento sincero e trepido che l’uomo prova di fronte alla «tremenda maiestas» di Dio (Giovanni Paolo II, Angelus 11/6/1989). Un dono che permette di far crescere il senso del mistero di Dio presente tra noi specialmente nell’eucaristia, qualcosa che precede qualsiasi altra considerazione. Anche al Sinodo a volte sembrano, invece, prevalere considereazioni di carattere sociologico-pastorale, che poi finiscono per sbattere rovinosamente di fronte alla presenza sacramentale di Cristo nell’Eucaristia e nel matrimonio.
Ma è inutile provare ad entrare nel merito, perchè ormai anche il sinodo, volente o nolente, cede a certo emozionalismo. Lo scrittore cattolico John Waters lo ricordava recentemente in una bella intervista concessa al settimanale Tempi. Parlando della sua battaglia condotta in Irlanda per la verità del matrimonio in occasione del referendum sulle unioni omosessuali, Waters ha rilevato un problema importante.
“Abbiamo capito”, ha dichiarato Waters, “che nei dibattiti i fatti reali e gli argomenti di ragione non contano nulla: contano solo le emozioni e i fatti inesistenti che la propaganda fa credere alla gente. Noi uscivamo dai primi dibattiti dicendoci “è andata bene, li abbiamo messi alle strette coi nostri argomenti”, ma non era così. Quando credi di aver vinto un confronto coi tuoi argomenti di ragione, hai sicuramente perso, perché oggi il mondo vive esclusivamente in una dimensione emozionale.”
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