Don Stefano Carusi
Fra la nozione di matrimonio e quella di Chiesa intercorre un nesso profondo che la Scrittura sancisce a chiare lettere. Osservando quindi attentamente le tesi “kasperiane” si scopre che esse non hanno solo una dimensione di destrutturazione della morale, ma comportano un aspetto - ancora non sufficientemente messo in luce - che finisce per corrompere più o meno indirettamente la stessa nozione di Chiesa cattolica. Walter Kasper non per nulla è un ecclesiologo[1].
Il Matrimonio è anzitutto un istituto di diritto naturale, voluto espressamente dal Creatore “fin dal principio” e iscritto in perpetuo nel cuore degli uomini come tutta la legge naturale. Basterebbe questo per rendere sacra per sempre l’unione familiare tra un uomo e una donna in vista della procreazione. E tale “sacralità naturale” che deriva dall’onore dovuto alla legge eterna, è non solo comprensibile con la sola ragione, ma anche contenuta nel Decalogo, oltre ad essere il modello che San Paolo utilizza per parlarci della società soprannaturale voluta da Cristo.
L’importantissima battaglia per la famiglia e per il matrimonio, già in corso al Sinodo e i cui prolungamenti futuri sono ormai evidenti, comporta quindi la difesa del “diritto naturale” ed implica un altro aspetto strettamente ad essa connesso: la difesa del dogma della divina costituzione della Chiesa, eterno bersaglio dei modernisti.
Non a caso è di questi giorni la notizia di proposte sinodali di allargamento indiscriminato della comunione eucaristica non solo ai pubblici concubini, ma anche agli eretici e agli scismatici, in coerente logica con la liquefazione della stessa nozione di “Chiesa cattolica”.
Non esiste infatti una pastorale indipendente dalle verità rivelate, ancor meno una teologia morale avulsa dalla dogmatica. Tutte le verità sono connesse in quella che è scientia Dei, siano esse di carattere più propriamente rivolto alla contemplazione di Dio o siano esse maggiormente rivolte a descrivere la giusta via che a Dio conduce[2]. Sempre di Dio si tratta e un’unità profonda le pervade tutte, al punto che ogni mutamento sostanziale nel campo morale sottende un’altra teologia dogmatica: simul stabunt aut simul cadent.
L’impressione fondata è che ci troviamo davanti ad un unico grandioso progetto di Antichiesa di cui non si è reso visibile per ora che un solo aspetto, seppur importantissimo.
Analizzeremo in questo articolo come le cosiddette “tesi Kasper” (e il correlativo, anche se più sfuggente, “progetto Tagle”) comportino di fatto, non solo una contraddizione flagrante con la legge naturale e le parole di Cristo sul matrimonio, ma anche il germe di un attacco alla dottrina tradizionale sulla natura della Chiesa cattolica.
Matrimonio e Chiesa: una significativa connessione mistica
Per capire cos’è la Chiesa bisogna capire cos’è il matrimonio cristiano, per capire cos’è il matrimonio cristiano bisogna conoscere la Chiesa. Dice San Paolo agli Efesini (5, 22-28): “E voi o mariti amate le vostre mogli, così come Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei nel fine di santificarla, purificandola col lavacro dell’acqua mediante la parola di vita, per far comparire egli stesso davanti a sé gloriosa la Chiesa, affinché sia senza macchia, senza ruga o altra cosa siffatta, ma anzi santa e immacolata”. Ne scaturisce un parallelismo fra la santità, che deve avere il vero matrimonio cristiano, e la santità con cui il Verbo incarnato ha santificato e amato la Chiesa, che è “santa e immacolata” perché divina; così come a sua volta - analogicamente - deve essere santa l’unione di un uomo e una donna sotto lo sguardo di Cristo. E l’Apostolo continua poche righe dopo (5, 32-33): “Grande è questo sacramento ; io dico a riguardo di Cristo e della Chiesa. Pertanto anche ciascuno di voi ami la sua sposa come se stesso, la sposa poi abbia in riverenza il marito”. Per San Paolo il matrimonio è talmente importante per l’ecclesiologia da esserne un segno sacro, e ciò addirittura fin dai tempi dell’Antico Testamento in cui esso era già “annuncio” della Chiesa che Cristo avrebbe fondato.
Il Concilio di Trento riprende questo legame inscindibile fra la grazia che Cristo meritò nella Sua Passione, la grazia sponsale della Chiesa e l’indissolubile unità del matrimonio che la rappresenta[3]. Mons. Piolanti così sintetizza questa sublime verità: “si deve pertanto ritenere che nel Vecchio Testamento il Matrimonio fu un simbolo ordinato da Dio a significare la futura unione di Cristo con la Chiesa (signum prognosticum, senza alcuna efficacia santificatrice), e che nel Nuovo Testamento rimane, per volere divino, come segno di una realtà compiutasi sulla Croce, le mistiche nozze di Cristo con la Chiesa; è pertanto un signum rememorativum, che appartenendo alla Nuova Legge possiede la prerogativa di santificare interiormente (signum demonstrativum gratiae)”[4].
CNon solo quindi il matrimonio è elevato alla dignità di Sacramento dal Sacrificio di Cristo che effonde sugli sposi la grazia matrimoniale, ma il matrimonio rimane nei secoli come un “segno della realtà compiutasi sulla Croce”, come un segno perenne delle “mistiche nozze di risto con la Chiesa” e, così come per gli altri Sacramenti, dello stesso disegno dell’Incarnazione del Verbo. Ogni Sacramento infatti, nella sua natura come nel rito e negli obblighi che lo accompagnano, è un riflesso dell’Incarnazione del Verbo - dice San Tommaso - e a un tale mistero, in quanto causa universale di salvezza, necessariamente deve essere conforme[5]. Ecco il progetto divino che affonda le radici nel Vecchio Testamento e che vuol fare del matrimonio cristiano un’immagine della santità salvatrice dell’unica immacolata Sposa di Cristo, e un segno dello stesso mistero dell’Incarnazione. Ed ecco del pari schiudersi pian piano la gravità di quel disegno che, aggredendo il matrimonio cristiano, implica di fatto anche un’idea di Chiesa che non è quella voluta da Cristo.
Dal “divorzio cattolico” al divorzio della Chiesa da Cristo
Dall’approvazione del concubinaggio - ed anche peggio - come via che comporterebbe in sé aspetti positivi in merito all’eterna salvezza quindi alla grazia stessa (!), all’idea di una Chiesa senza confini visibili, senza regole irreformabili, indipendente dalle immutabili verità di Cristo e in fondo non più divina, il passo è breve. Anzi brevissimo. Senza contare che se il modello - e quindi il segno ecclesiale, come visto - può anche diventare quello del pubblico adulterio, vuol dire che ci si sta avviando verso la ricercata immagine di una chiesa non solo lontanissima dalla santità di Dio, non solo in continua instabile “evoluzione sponsale” a seconda dei tempi nuovi, ma anche interprete e quasi propagatrice del “culto dell’uomo” e persino dei peggiori vizi dell’umanità. Una Chiesa che, se si vuol restare conseguenti, permanendo nell’immagine biblica, potrebbe passare (ci scusi il lettore, ma l’errore va denunciato nella sua crudezza) da uno sposo all’altro, abbandonando il suo vero ed unico marito: Nostro Signore Gesù Cristo (la cui divinità i modernisti hanno sempre - di fatto, anche se non sempre in teoria - misconosciuto).
Quei “teologi” che imboccano la via dell’imbrattamento della santità matrimoniale, finiscono - volenti o nolenti - per teorizzare di fatto una certa possibilità (con risvolti persino connessi all’economia di salvezza!) del tradimento matrimoniale, e ciò anche quando lo Sposo tradito è Gesù Cristo. Se si prosegue il discorso con logica, dunque, è anche l’unicità salvifica di Gesù Cristo a farne le spese in ultima analisi, come del resto è già avvenuto. In un nostro articolo su “L’interessata riesumazionedel Père Dupuis, Prove generali del Vaticano III contro la Dominus Jesus” [6] cui rinviamo, facevamo notare che nel contesto del dibattito sinodale è anche in atto un tentativo, velato ma organizzato, di riabilitazione di quelle teorie - condannate - che sostenne anche il noto gesuita belga.
Tale tentativo, che si scaglia persino contro le definizioni della Dominus Jesus, viene da quegli stessi ambienti che sono i più convinti fautori anche della comunione ai concubini pubblici. E il dato non è casuale. Quanti non riconoscono infatti l’unicità salvifica di Cristo e forse - benché s’ammantino di vernice cristiana - nemmeno la Sua divinità, sono in coerente sintonia con i sovvertitori dell’indissolubilità matrimoniale. E ciò anche per quei descritti motivi, connessi ad una certa perversa coerenza del loro discorso “teologico”. Infatti, da un punto di vista speculativo, per così dire, se il “divorzio cattolico” diventa lecito è perché anche la Chiesa può in certo senso divorziare da Cristo o peggio vivere una sorta di concubinaggio salvifico per cui tutte le vie più o meno religiose ( e anche più o meno naturali…) sono buone per andare in Paradiso. Omosessualità compresa. Anzi, siamo già tutti più o meno in Paradiso fin da quaggiù, immersi in una sorta di pervadente panteismo che, dopo aver rinunciato alla sana metafisica e aver svuotato ogni verità d’ordine naturale (matrimonio compreso), ha falsificato il senso della stessa dottrina dell’Incarnazione del Verbo[7], snaturando al contempo la divina costituzione della Chiesa, che dell’Incarnazione è il prolungamento nella storia.
E quando si afferma ripetutamente che bisogna andare “oltre le parole di Gesù Cristo” - forse troppo chiare per certe orecchie - si sta spesso celando che il vero disegno soggiacente è quello di andare semplicemente “oltre Gesù Cristo” (che quasi diventa solo uomo) ed oltre la Sua Chiesa (che “coerentemente” diventa società solo umana).
Aggiungiamo che un tale “divorzio da Cristo” comporta anche il divorzio da quell’altra difficile verità: il sacrificio. Come le mistiche nozze fra Cristo e la Chiesa si consumarono sul Golgota, e da quell’acqua e quel sangue nacque quella società santa per la fede e i sacramenti ch’è la Chiesa, ebbene così anche il matrimonio cristiano si nutre certo della gioia della prole e del mutuo scambio d’amore, ma anche del pane del sacrificio. Sacrificio. Questa parola cui l’udito contemporaneo - compreso quello di certi “teologi” - è ormai allergico. Sacrificio soprannaturalmente fecondo “nella gioia e nel dolore”, “nella salute e nella malattia” e che è scaturigine di grazia anche nella società matrimoniale, ad immagine della vita di Cristo che si offre per la Sua Santa Chiesa. Ma per capire questo discorso bisogna accettare che esiste un ordine soprannaturale.
Il naturalismo contemporaneo invece, che si ben si sposa (“indissolubilmente” stavolta, oseremmo dire…) all’edonismo sfrenato, soffoca nell’antropocentrismo le nozioni di soprannaturalità, di sacrificio, di grazia meritata nella fedeltà al disegno di Dio. E ciò anche perché rifiuta la divinità della Chiesa, come ha già rifiutato la divinità di Cristo ed anche perché, in quell’accecamento dello spirito di cui parla la Bibbia (altro che “Chiesa dello Spirito”…), non riesce più a percepire non solo l’aspetto soprannaturale e l’inviolabilità di un Sacramento, ma nemmeno la semplice legge naturale.
Conclusioni
In dottrina cattolica c’è un’osmosi mistica e densa di significato che, dall’immagine della santità del matrimonio (addirittura di quello vetero-testamentario, non ancora sacramentale) va alla Chiesa; e questo stesso scambio va dall’intima natura della Chiesa al matrimonio cristiano, che è “immagine vivente” del mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa. Il matrimonio cristiano “non è soltanto un esemplare che rimane fuori, ai margini delle mistiche nozze di Cristo, ma una copia, una riproduzione germogliata da quell’unione, impregnata della medesima essenza, che non solo raffigura, ma riproduce, attivo efficiente dentro di sé, il mistero dei rapporti di Cristo con la Chiesa”[8].
Teologia della Chiesa e teologia del matrimonio - per così dire - s’abbracciano. E ciò vale per i pensatori cattolici, ma anche per gli eretici. O le verità stanno insieme in piedi o insieme crollano, simul stabunt aut simul cadent. Unità, indissolubilità e santità sono le irrinunciabili caratteristiche del matrimonio cristiano che dell’unità, indissolubilità e santità della Chiesa è “immagine vivente”. Non c’è una via di mezzo.
Ecco perché pressoché tutti gli eretici, che hanno attentato alla santità della Chiesa e alla sua indissolubile unità con il Suo Sposo, hanno contemporaneamente attentato alla santità matrimoniale. Vi è certo una squallido calcolo politico, volto a procacciarsi facili consensi allentando le redini della morale, ma c’è anche qualcosa di più profondamente dottrinale. Si vedano le contraddizioni di Lutero, l’incoerente sistema della grazia dei giansenisti, la piaggeria statalista dei gallicani e dei regalisti o il naturalismo massonico degli illuministi; tutti hanno tentato di scardinare il matrimonio cristiano e con esso la divina costituzione della Chiesa. Persino gli scismatici greci associano la loro distorta teologia della Chiesa alla facoltà di rompere l’unità matrimoniale in alcuni casi, seppur più limitatamente che tra i protestanti. In ultimo, e non per importanza, citiamo il pensiero dei modernisti di ieri e di oggi, sfuggente, anguillesco ma sempre - pur tra le sue ambiguità - nemico giurato della divina costituzione della Chiesa ed insieme del vero matrimonio cristiano. La ragione ce l’ha detta San Paolo.
Compreso quindi questo nesso necessario si comprende anche perché la battaglia per la verità in ambito ecclesiologico, anche se talvolta è apparsa ad occhi poco attenti una disputa tra specialisti, è di importanza primaria, al fianco di quella per il matrimonio. Dalla corretta “teologia della Chiesa” deriva un corretto pensiero anche su verità basilari come quelle della famiglia, e lo scambio è vicendevole. E’ l’unità della fede.
[1] Il dato è stato già messo in valore da Mons. Livi commentando le teorie eucaristiche del prelato tedesco, A. Livi, L’Eucarestia secondo Kasper, in Disputationes Theologicae (2015), 31 luglio 2015.
[2] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia Pars, q. 1, a.4.
[3] Denz. 1799.
[4] A. Piolanti, I Sacramenti, Roma 1990, p. 554.
[5] S. Tommaso d’Aquino, Contra Gentes, 4, 56.
[6] L’interessata riesumazione del Père Dupuis, in Disputationes Theologicae (2015), 29 gennaio 2015.
[7] Cfr. B. Gherardini, Il Diodi Gesù Cristo, in Disputationes Theologicae (2010), 29 gennaio 2010, in cui si analizzano le posizioni di Bruno Forte in merito alla teologia dell’Incarnazione. Sulla posizione di Walter Kasper in materia rimandiamo al riferimento di cui alla nota n.1 del presente scritto.
[8] A. Piolanti, cit., p. 555.
Pubblicato da Disputationes Theologicae 17 ottobre 2015
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