
27 lug 2025
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by Aldo Maria Valli
di Investigatore Biblico
Ringrazio sentitamente un lettore che mi ha inviato il video con la relativa trascrizione della parte importante, nella quale un sacerdote, don Luciano Locatelli della diocesi di Bergamo afferma (e soprattutto-cosa più grave- insegna) che la transustanziazione sarebbe una “teoria” e che, parole sue “Gesù è vero che offre ai suoi il suo Corpo e Sangue (il suo offrirsi come dono), ma in quella cena non è che hanno mangiato il Corpo di Gesù o bevuto il suo Sangue: pane e vino, dopo le parole di Gesù restano tali..”.
Il mio amico lettore ha fatto anche la trascrizione della parte che ci interessa, che vi ripropongo. Se volete ascoltare con le vostre orecchie, il video è questo Corpus Domini 2025 – YouTube e dovete andare dal minuto 11’.25’’ in poi. A seguire il mio commento.
Le parole di don Locatelli
“L’ultima provocazione la prendo dalla cosiddetta presenza reale. L’unicità, la particolarità dell’eucaristia è quella che ha fatto scivolare un po’ questa realtà dalla simbolica alla fisica, nel senso “questo è il mio Corpo questo è il mio Sangue” sono stati intesi in senso proprio, ammettendo e annettendo piena identità tra pane-corpo e vino-sangue; quindi nel corso dei secoli questo passaggio da un’identità pane all’altra identità corpo (così come per vino e sangue) è stato compreso e proposto in varie modalità, fino alla cosiddetta teoria della transustanziazione, dove la materia pane viene trasformata nella materia Corpo di Gesù. Ora, Gesù è vero che offre ai suoi il suo Corpo e Sangue (il suo offrirsi come dono), ma in quella cena non è che hanno mangiato il Corpo di Gesù o bevuto il suo Sangue: pane e vino, dopo le parole di Gesù restano tali, ma acquistano un significato nuovo che il pane e il vino comunemente non hanno. Acquistano un significato ulteriore e questo non per qualche virtù magica, ma in funzione del memoriale: è la vita di testimonianza di chi si accosta e accoglie quel pane a rendere presente e attuale la presenza di Gesù, non in senso fisico ma in quanto testimone odel messaggio che egli ha portato del suo stile di vita. Ecco perché partecipare all’eucarestia significa accettare di partecipare a costruire il vero Corpo di Gesù che è la comunità, la Chiesa. Quando ci rechiamo a condividere il pane (la cosiddetta Comunione) il sacerdote o chi per lui ci presenta l’ostia con le parole “il Corpo di Cristo” e noi gli rispondiamo “amen”. Ora, amen può essere tradotto “così è” o “così sia“: quando dico “amen” di fronte a quel pezzo di pane che mi viene presentato, dico “è così, ci credo che questo rappresenta la portata della vita e del messaggio di Gesù”, ma dico anche “così sia”, cioè non guardo solo quel pane davanti a me, ma mi rendo cosciente di chi sta dietro a me per ricevere quel pane, per costruire con lui o con lei il Corpo di Gesù dentro la storia attuale, dentro il mondo attuale attraverso, una comunità che vive e rende presente il messaggio di Gesù dentro la storia.”
Il commento dell’Investigatore Biblico
Ho letto e ascoltato con attenzione e rispetto le parole di don Luciano Locatelli a proposito dell’Eucaristia (a cui suggerirei di leggersi questi articoli “La Presenza Vera Reale e Sostanziale di Gesù Cristo nell’Eucaristia. Studio biblico sulla “Anamnesis” : dove sbaglia la teologia protestante” di IB – Investigatore Biblico, “Teologia Eucaristica: dall’Anamnesi Biblica alla Transustanziazione tomistica” – Investigatore Biblico), e in particolare la sua riflessione sulla cosiddetta “presenza reale”. È evidente il suo desiderio di proporre una visione accessibile e coinvolgente, che sottolinei la responsabilità comunitaria del celebrare, l’impegno di vita che deriva dal partecipare alla Messa, e l’importanza di tradurre il sacramento in uno stile concreto di testimonianza cristiana. Tutto questo è nobile e condivisibile.
Tuttavia, ciò che desta preoccupazione è la chiara negazione — più o meno diretta — della realtà della transustanziazione, che viene liquidata come “una teoria” tra le altre, come se fosse un’opzione tra molte, una formulazione teologica superata o discutibile. Questo non è accettabile. La transustanziazione non è una teoria tra le tante, ma un dogma della fede cattolica, solennemente definito dal Concilio di Trento nella XIII sessione del 1551, con queste parole:
Don Luciano afferma che “pane e vino restano tali” e che “acquistano un significato ulteriore”, ma queste parole non sono compatibili con la fede della Chiesa. Egli dimentica che la formula di Gesù riportata nei Vangeli e nella Prima Lettera ai Corinzi non lascia spazio a interpretazioni puramente simboliche. Gesù non dice “questo rappresenta” o “questo evoca”, ma “questo è il mio corpo” (Mt 26,26; Mc 14,22; Lc 22,19; 1Cor 11,24). Il testo greco utilizza il verbo ἐστίν (estin), che è il presente del verbo “essere” e ha valore identitario e non metaforico. Nella lingua greca del tempo, e nel contesto cultuale ebraico, quella dichiarazione non può essere intesa come un semplice segno. È un’affermazione reale, concreta, e performativa: la Parola di Gesù compie ciò che dice.
Negare questo significa porsi fuori dalla comunione con la fede cattolica. È una questione molto seria. Non si tratta di un’opinione personale che può essere messa in circolazione come un semplice spunto di riflessione, ma di una verità essenziale, da accogliere con obbedienza del cuore e della mente. Ogni sacerdote, al momento della sua ordinazione, ha promesso di custodire, insegnare e trasmettere fedelmente la dottrina della Chiesa. La transustanziazione è parte integrante di questa dottrina. Chi non crede in essa — e soprattutto chi insegna pubblicamente qualcosa di contrario — viene meno a quella fedeltà, e dovrebbe con coerenza interrogarsi se il ministero sacerdotale sia ancora per lui la strada giusta.
L’Eucaristia non è un semplice gesto simbolico, né un’occasione per ricordare insieme un messaggio di amore e fraternità. È il cuore vivo della fede della Chiesa. È la presenza reale, vera e sostanziale di Cristo tra noi. È il sacrificio di Cristo reso presente nei segni sacramentali, non come ricordo psicologico o comunitario, ma come atto di salvezza che ci raggiunge qui e ora. È la fonte da cui scaturisce tutta la vita cristiana e il vertice a cui tende ogni azione ecclesiale. Per questo, minimizzare o ridurre l’Eucaristia a “pane che assume un significato nuovo” non solo è teologicamente errato, ma pastoralmente pericoloso.
San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, ammonisce con forza: “Chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29). Non dice: “chi non riconosce il significato comunitario” o “il simbolo della condivisione”, ma il Corpo del Signore. È un linguaggio forte, ma necessario, perché è in gioco la verità stessa della nostra fede.
I Padri della Chiesa, già nei primi secoli, non ebbero dubbi nel parlare di presenza reale. Sant’Ignazio di Antiochia chiama eretici coloro che “non confessano che l’Eucaristia è la carne di Cristo”. Sant’Ireneo, Tertulliano, Ambrogio, Agostino, tutti affermano che ciò che si riceve è il Corpo di Cristo, non un simbolo, ma una realtà che salva. Questa è la fede della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Non una costruzione medievale, non una formula scolastica da archiviare, ma una verità viva, sorgente di speranza e di salvezza.
Dire “Amen” davanti all’Ostia non significa semplicemente “accetto che questo ha un significato bello”. Significa: “Io credo che qui è presente il Signore, il Risorto, il Figlio di Dio vivo”. È un atto di fede profonda, e insieme una chiamata alla conversione e alla comunione con tutta la Chiesa.
Se davvero vogliamo costruire la comunità come Corpo di Cristo, dobbiamo partire da Lui, realmente presente nel sacramento. È l’Eucaristia che edifica la Chiesa, non il contrario. È Cristo che ci unisce nel Suo Corpo, non la nostra capacità di essere solidali. La carità non nasce dal simbolo, ma dalla Presenza. Una Presenza che ci precede, ci plasma e ci invia nel mondo.
Chi ha ricevuto il dono e la responsabilità di predicare deve custodire con fedeltà questa verità. Non come un peso, ma come una grazia. Perché dove c’è l’Eucaristia c’è la Chiesa. Dove c’è il Corpo di Cristo, lì c’è la vita eterna.
In tutto questo: il Vescovo di Bergamo (diocesi di don Locatelli) non ha nulla da dire? Tutt’appost’?? Ci sono preti che sono stati relegati in “sgabuzzini” per molto meno. E don Locatelli può realmente continuare a predicare pubblicamente queste cose?
by Aldo Maria Valli
di Investigatore Biblico
Ringrazio sentitamente un lettore che mi ha inviato il video con la relativa trascrizione della parte importante, nella quale un sacerdote, don Luciano Locatelli della diocesi di Bergamo afferma (e soprattutto-cosa più grave- insegna) che la transustanziazione sarebbe una “teoria” e che, parole sue “Gesù è vero che offre ai suoi il suo Corpo e Sangue (il suo offrirsi come dono), ma in quella cena non è che hanno mangiato il Corpo di Gesù o bevuto il suo Sangue: pane e vino, dopo le parole di Gesù restano tali..”.
Il mio amico lettore ha fatto anche la trascrizione della parte che ci interessa, che vi ripropongo. Se volete ascoltare con le vostre orecchie, il video è questo Corpus Domini 2025 – YouTube e dovete andare dal minuto 11’.25’’ in poi. A seguire il mio commento.
Le parole di don Locatelli
“L’ultima provocazione la prendo dalla cosiddetta presenza reale. L’unicità, la particolarità dell’eucaristia è quella che ha fatto scivolare un po’ questa realtà dalla simbolica alla fisica, nel senso “questo è il mio Corpo questo è il mio Sangue” sono stati intesi in senso proprio, ammettendo e annettendo piena identità tra pane-corpo e vino-sangue; quindi nel corso dei secoli questo passaggio da un’identità pane all’altra identità corpo (così come per vino e sangue) è stato compreso e proposto in varie modalità, fino alla cosiddetta teoria della transustanziazione, dove la materia pane viene trasformata nella materia Corpo di Gesù. Ora, Gesù è vero che offre ai suoi il suo Corpo e Sangue (il suo offrirsi come dono), ma in quella cena non è che hanno mangiato il Corpo di Gesù o bevuto il suo Sangue: pane e vino, dopo le parole di Gesù restano tali, ma acquistano un significato nuovo che il pane e il vino comunemente non hanno. Acquistano un significato ulteriore e questo non per qualche virtù magica, ma in funzione del memoriale: è la vita di testimonianza di chi si accosta e accoglie quel pane a rendere presente e attuale la presenza di Gesù, non in senso fisico ma in quanto testimone odel messaggio che egli ha portato del suo stile di vita. Ecco perché partecipare all’eucarestia significa accettare di partecipare a costruire il vero Corpo di Gesù che è la comunità, la Chiesa. Quando ci rechiamo a condividere il pane (la cosiddetta Comunione) il sacerdote o chi per lui ci presenta l’ostia con le parole “il Corpo di Cristo” e noi gli rispondiamo “amen”. Ora, amen può essere tradotto “così è” o “così sia“: quando dico “amen” di fronte a quel pezzo di pane che mi viene presentato, dico “è così, ci credo che questo rappresenta la portata della vita e del messaggio di Gesù”, ma dico anche “così sia”, cioè non guardo solo quel pane davanti a me, ma mi rendo cosciente di chi sta dietro a me per ricevere quel pane, per costruire con lui o con lei il Corpo di Gesù dentro la storia attuale, dentro il mondo attuale attraverso, una comunità che vive e rende presente il messaggio di Gesù dentro la storia.”
Il commento dell’Investigatore Biblico
Ho letto e ascoltato con attenzione e rispetto le parole di don Luciano Locatelli a proposito dell’Eucaristia (a cui suggerirei di leggersi questi articoli “La Presenza Vera Reale e Sostanziale di Gesù Cristo nell’Eucaristia. Studio biblico sulla “Anamnesis” : dove sbaglia la teologia protestante” di IB – Investigatore Biblico, “Teologia Eucaristica: dall’Anamnesi Biblica alla Transustanziazione tomistica” – Investigatore Biblico), e in particolare la sua riflessione sulla cosiddetta “presenza reale”. È evidente il suo desiderio di proporre una visione accessibile e coinvolgente, che sottolinei la responsabilità comunitaria del celebrare, l’impegno di vita che deriva dal partecipare alla Messa, e l’importanza di tradurre il sacramento in uno stile concreto di testimonianza cristiana. Tutto questo è nobile e condivisibile.
Tuttavia, ciò che desta preoccupazione è la chiara negazione — più o meno diretta — della realtà della transustanziazione, che viene liquidata come “una teoria” tra le altre, come se fosse un’opzione tra molte, una formulazione teologica superata o discutibile. Questo non è accettabile. La transustanziazione non è una teoria tra le tante, ma un dogma della fede cattolica, solennemente definito dal Concilio di Trento nella XIII sessione del 1551, con queste parole:
“Per la consacrazione del pane e del vino si opera una conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo nostro Signore e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione la santa Chiesa cattolica ha convenientemente e appropriatamente chiamata transustanziazione.”Il concilio prosegue dicendo che chi nega questa verità “sia anatema”, cioè si pone fuori dalla comunione con la Chiesa. Non è una proposta accademica, né una scuola interpretativa. È una verità di fede: nel momento della consacrazione, per la potenza della Parola di Cristo e l’azione dello Spirito Santo, tutta la sostanza del pane si trasforma nella sostanza del Corpo di Cristo, e tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo Sangue. Le specie esteriori restano — il colore, il gusto, la consistenza — ma la realtà profonda, ciò che quel pane e quel vino sono, cambia ontologicamente. Questo è ciò che la Chiesa crede e professa da secoli.
Don Luciano afferma che “pane e vino restano tali” e che “acquistano un significato ulteriore”, ma queste parole non sono compatibili con la fede della Chiesa. Egli dimentica che la formula di Gesù riportata nei Vangeli e nella Prima Lettera ai Corinzi non lascia spazio a interpretazioni puramente simboliche. Gesù non dice “questo rappresenta” o “questo evoca”, ma “questo è il mio corpo” (Mt 26,26; Mc 14,22; Lc 22,19; 1Cor 11,24). Il testo greco utilizza il verbo ἐστίν (estin), che è il presente del verbo “essere” e ha valore identitario e non metaforico. Nella lingua greca del tempo, e nel contesto cultuale ebraico, quella dichiarazione non può essere intesa come un semplice segno. È un’affermazione reale, concreta, e performativa: la Parola di Gesù compie ciò che dice.
Negare questo significa porsi fuori dalla comunione con la fede cattolica. È una questione molto seria. Non si tratta di un’opinione personale che può essere messa in circolazione come un semplice spunto di riflessione, ma di una verità essenziale, da accogliere con obbedienza del cuore e della mente. Ogni sacerdote, al momento della sua ordinazione, ha promesso di custodire, insegnare e trasmettere fedelmente la dottrina della Chiesa. La transustanziazione è parte integrante di questa dottrina. Chi non crede in essa — e soprattutto chi insegna pubblicamente qualcosa di contrario — viene meno a quella fedeltà, e dovrebbe con coerenza interrogarsi se il ministero sacerdotale sia ancora per lui la strada giusta.
L’Eucaristia non è un semplice gesto simbolico, né un’occasione per ricordare insieme un messaggio di amore e fraternità. È il cuore vivo della fede della Chiesa. È la presenza reale, vera e sostanziale di Cristo tra noi. È il sacrificio di Cristo reso presente nei segni sacramentali, non come ricordo psicologico o comunitario, ma come atto di salvezza che ci raggiunge qui e ora. È la fonte da cui scaturisce tutta la vita cristiana e il vertice a cui tende ogni azione ecclesiale. Per questo, minimizzare o ridurre l’Eucaristia a “pane che assume un significato nuovo” non solo è teologicamente errato, ma pastoralmente pericoloso.
San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, ammonisce con forza: “Chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29). Non dice: “chi non riconosce il significato comunitario” o “il simbolo della condivisione”, ma il Corpo del Signore. È un linguaggio forte, ma necessario, perché è in gioco la verità stessa della nostra fede.
I Padri della Chiesa, già nei primi secoli, non ebbero dubbi nel parlare di presenza reale. Sant’Ignazio di Antiochia chiama eretici coloro che “non confessano che l’Eucaristia è la carne di Cristo”. Sant’Ireneo, Tertulliano, Ambrogio, Agostino, tutti affermano che ciò che si riceve è il Corpo di Cristo, non un simbolo, ma una realtà che salva. Questa è la fede della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Non una costruzione medievale, non una formula scolastica da archiviare, ma una verità viva, sorgente di speranza e di salvezza.
Dire “Amen” davanti all’Ostia non significa semplicemente “accetto che questo ha un significato bello”. Significa: “Io credo che qui è presente il Signore, il Risorto, il Figlio di Dio vivo”. È un atto di fede profonda, e insieme una chiamata alla conversione e alla comunione con tutta la Chiesa.
Se davvero vogliamo costruire la comunità come Corpo di Cristo, dobbiamo partire da Lui, realmente presente nel sacramento. È l’Eucaristia che edifica la Chiesa, non il contrario. È Cristo che ci unisce nel Suo Corpo, non la nostra capacità di essere solidali. La carità non nasce dal simbolo, ma dalla Presenza. Una Presenza che ci precede, ci plasma e ci invia nel mondo.
Chi ha ricevuto il dono e la responsabilità di predicare deve custodire con fedeltà questa verità. Non come un peso, ma come una grazia. Perché dove c’è l’Eucaristia c’è la Chiesa. Dove c’è il Corpo di Cristo, lì c’è la vita eterna.
In tutto questo: il Vescovo di Bergamo (diocesi di don Locatelli) non ha nulla da dire? Tutt’appost’?? Ci sono preti che sono stati relegati in “sgabuzzini” per molto meno. E don Locatelli può realmente continuare a predicare pubblicamente queste cose?
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