È in atto uno scontro tra l'ideologia dell'ambientalismo apocalittico e la grande sollevazione degli agricoltori. In palio c'è la totale alienazione dalla realtà che tiene insieme tutte le politiche “euro-green”, la sua distanza incolmabile da ogni razionalità pratica e le implicazioni dispotiche e distopiche di una loro applicazione.
Eugenio Capozzi, 06-02-2024
Il segno distintivo inequivocabile di qualsiasi ideologia è la sua contrapposizione frontale con la realtà concreta, la sua costruzione di un mondo immaginario, astratto, alienato in cui la società viene completamente smontata e riedificata secondo il lucido delirio pseudoreligioso e scientista che punta a costruire l'”uomo nuovo”, immune da difetti e conflitti, “costretto” alla felicità. Una realtà artificiale e alternativa che inevitabilmente, quando i sostenitori di quell'ideologia conquistano il potere totale e cercano di realizzarla, si configura come distopia: non paradiso ma inferno sulla terra, prigione, manicomio e luogo di tortura per le società sfortunate condannate a subirla.
Per quanto riguarda l'ideologia dell'ambientalismo apocalittico oggi dominante tra le élites intellettuali e politiche occidentali, e soprattutto europee, la sua contrapposizione con la realtà concreta sta balzando ai nostri occhi plasticamente proprio in questi giorni con la grande sollevazione degli agricoltori contro le folli, rovinose politiche imposte da anni dall'Ue ai suoi popoli a partire dallo spauracchio di una presunta emergenza climatica e, più in generale, ecologica.
Da un lato, la presunzione fatale di ridisegnare completamente l'economia, la produzione, i consumi, la vita quotidiana di centinaia di milioni di persone in ossequio alla dogmatica idea che, se non si fa questo, una catastrofe cosmica incombe sull'intera civiltà umana, e se invece i cittadini europei obbediranno tale catastrofe sarà scongiurata. Dall'altro, la reazione delle società concrete del continente, dettata dall'istinto di sopravvivenza e dalla fondata paura che quelle politiche genereranno danni irreparabili al loro benessere, alla loro autonomia, alla loro convivenza.
Per ora tale reazione, che sfata di colpo la messa in scena ideologica con cui si è dipinto il rischio dell'apocalisse ambientale come priorità assoluta, viene dai ceti produttivi dell'agroalimentare, che sono stati più duramente colpiti dalle misure pseudo-ambientaliste delle classi dirigenti euriste, guidate da figuri inquietanti come l'ex vice-presidente della Commissione Frans Timmermans. Ma altri settori della produzione sono già in via di mobilitazione (come gli operai e gli imprenditori in Germania e in alcuni altri paesi), e soprattutto la stragrande maggioranza dei cittadini europei sta già amaramente sperimentando sulla propria pelle, in una forma o in un'altra, le gravissime conseguenze di quelle misure per i propri interessi vitali: dalla totalità delle imprese sottoposte a costi insostenibili a causa di ottusi criteri di “sostenibilità” ai proprietari di case su cui incombe l'incubo di ristrutturazioni obbligatorie inutili, dannose ed economicamente improbe, ai possessori di veicoli a motore costretti a una riconversione onerosissima e impossibile all'elettrico, fino a tutti i consumatori che stanno già amaramente constatando come la ricaduta di ogni provvedimento “ecologista” dell'Ue sia l'impennata dei prezzi di ogni genere essenziale, e l'abbattimento della loro qualità: di cui la pressione per imporre la “carne” artificiale, spinta dagli interessi di grandi multinazionali extraeuropee, è il più sintomatico e quasi beffardo compendio.
Le prossime elezioni per il Parlamento europeo ci diranno quanto la frustrazione e la rabbia delle società davanti a questa deriva cambieranno gli equilibri politici continentali. Ma, al di là di esse, la battaglia tra realtà e delirio ideologico sembra destinata a protrarsi a lungo: almeno fino a quando quell'ideologia non si troverà a contrastare una cultura alternativa sufficientemente forte da demolirne l'egemonia nel dibattito pubblico.
D'altra parte il carattere di totale alienazione dalla realtà che tiene insieme tutte le politiche “euro-green”, la sua distanza incolmabile da ogni razionalità pratica, le implicazioni dispotiche e distopiche di una loro applicazione sono già evidenti a chiunque non sia accecato dalla narrazione dei pifferai magici di Bruxelles che stanno conducendo i loro popoli nel burrone.
Tutte quelle misure convergono infatti in uno tra i più radicali progetti di “uomo nuovo” che si siano mai manifestati nella storia delle ideologie, prefigurando esiti catastrofici almeno quanto quelli a cui esse nel Novecento sono già approdati. Proviamo a “collegare i puntini” dell'ideale di “sostenibilità” a cui esse sostengono di rifarsi, e vediamo qual è il profilo dello Homo Europaeus che esse ambiscono a creare.
La popolazione della futura (anzi imminente) “Europa sostenibile” a “impatto zero” sulle tanto temute “emissioni”, voluta dalle attuali classi dirigenti dell'Unione, vivrà in territori in cui la produzione agricola e l'allevamento, in omaggio alla “sostenibilità” e al “ripristino della natura”, saranno sempre più scarsi, con prezzi sempre più alti e una crescente dipendenza dalla produzione di altri continenti per il suo sostentamento; per giunta consumando beni la cui filiera produttiva è molto meno controllabile.
Vivrà utilizzando solo energie rinnovabili, per diffondere le quali il territorio e il paesaggio verranno completamente snaturati (altro che “ripristino della natura!”): energie che senza idrocarburi né centrali nucleari potranno comunque coprire solo una percentuale minoritaria del fabbisogno di società industrializzate. E dunque o tornerà a uno stadio di civiltà più primitiva o sarà totalmente dipendente dall'energia prodotta altrove, anche qui con costi enormemente maggiorati.
Perderà quasi interamente l'industria manifatturiera, impossibilitata a sopravvivere in queste condizioni, sprofondando in una disoccupazione cronica di massa. Non avrà possibilità di spostarsi per i costi altissimi della mobilità elettrica privata a cui è costretta, e del trasporto pubblico.
Insomma vivrà in una “bolla” quasi irreale in cui solo una ristretta élite potrà mantenere un tenore di vita soddisfacente (i ceti dirigenti dell'imprenditoria digitale e della ricerca scientifica d'avanguardia, e quelli legati al carro della politica) mentre il resto della società sarà ridotta a una massa informe di poveri in cerca di sussidi, o emigrerà altrove, con conseguente accentuazione ulteriore del calo demografico e/o spopolamento. Mentre il resto del mondo, libero da vincoli così soffocanti, continuerà a crescere, fino a che “colonizzerà” ciò che resta del Vecchio Continente.
L'utopia “verde” si rivelerà, si sta già rivelando, la distopia di uno spicchio di mondo, fino a poco tempo fa forza trainante dello sviluppo, che si suicida. Un esito ancora evitabile soltanto se le società sottoposte a questo giogo smetteranno immediatamente di seguire, ipnotizzate, i loro pifferai.
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