lunedì 26 febbraio 2024

Ufficio del Vescovo è ammonire i peccatori




Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Michael Pakaluk e pubblicato su The Catholic Thing. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione curata dal lettore Occhi Aperti! (pseudonimo)


Di Redazione Blog di Sabino Paciolla, 26 Febbraio 2024



Michael Pakaluk*

“Questo piccolo lavoro è la chiave della vita di Gregorio”, dice l’Enciclopedia Cattolica, riferendosi a La regola pastorale di Papa Gregorio Magno. “Per il fatto che ciò che egli predicò, praticò… esso rimase per secoli il libro di testo dell’episcopato cattolico, così che è grazie alla sua influenza se l’ideale del grande papa ha contribuito a plasmare la costituzione della Chiesa, diffondendo la sua spiritualità per ogni dove”.

Il titolo che ho scelto per l’articolo enfatizza la trattazione di San Gregorio Magno, ma solo un po’. Dei quattro libri che compongono quest’opera, il Libro III è dedicato esclusivamente a come un vescovo debba ammonire varie categorie di persone, ciascuna in modo diverso: gli uomini dalle donne, i poveri dai ricchi, quelli sinceri da quelli falsi, gli sposati da quelli che non lo sono (come ci si aspetterebbe, del resto). Ma anche, cosa interessante, contiene capitoli dedicati a come differentemente correggere “coloro che hanno avuto esperienza dei peccati della carne” da “quelli che non l’hanno” e “quelli che peccano per impulso” da “coloro che peccano deliberatamente”.

Avevo detto di aver enfatizzato appena la trattazione di San Gregorio perché il Libro III, sul come correggere, in effetti è quasi tre volte più lungo dei libri I, II e IV messi insieme. Dunque il suo libro, in fondo, potremmo definirlo un libro di ammonimenti.

La nostra parola “ammonire” ha connotazioni più dure rispetto al latino, admonere, che rivela sfumature di benevolenza, in quanto si vuole ciò che è meglio per l’altro, e non si intende umiliare o imbarazzare. San Giovanni Bosco, che ieri festeggiavamo, era un esperto in questo tipo di ammonimenti. “Una parola al saggio è sufficiente” – come dire, è semplicemente indicando al saggio ciò che va fatto o ciò che va evitato che ciò costituisce già un sufficiente “ammonimento”.

Eppure, innegabilmente, un ammonimento è una correzione, e non senza al contempo incentivare al timore di Dio.

Allora, in base alle indicazioni suggerite da San Gregorio, potrebbe un Vescovo accogliere soltanto, soltanto accompagnare o soltanto benedire, trascurando, ad ogni piè sospinto, di dare i necessari ammonimenti?

No, egli dice, con forza. Proprio perché un Vescovo dovrebbe essere zelante per rettitudine, egli conseguentemente deve essere vigile, coscienzioso, solerte, persino rigido (in latino erectus, che sta dritto), inflessibile contro ogni sorta di trasgressione. (II.6) In effetti, egli dice, nella misura in cui le pecore del suo gregge agiscono in modo pacifico e retto, un vescovo non deve governarle come se egli fosse diverso da loro. In tutta umiltà, egli deve sapersi riconoscere semplicemente come fosse un alleato di coloro che vivono operando il bene. Ma l’ufficio che ricopre, per cui gode di una sorta di disparità rispetto agli altri – dovuta proprio al suo compito di governare – è divinamente ordinato soprattutto per correggere il vizio.

San Gregorio Magno ha parole severe per quei vescovi che comandano sugli altri “a scopo di dominio” e mette in guardia su una loro prossima punizione divina (Mt 24, 48 e seguenti). Ma, egli dice, è commessa una “ben più terribile mancanza” quando “tra i malvagi, si custodisce più l’eguaglianza che la disciplina”.

Egli intende per “eguaglianza” l’accompagnarsi a coloro che peccano, da pari, come se essi vivessero operando il bene, e quindi senza intervenire con la dovuta correzione. Egli trae un esempio biblico dalla figura di Eli che, “vinto da una falsa pietà, non volle punire i figli peccatori”. Ma nessuno può farsi beffe di Dio, e così Eli “colpì sé stesso insieme ai figli con una condanna crudele presso il severo Giudice” (1Sam 4,17-18).

Sì, naturalmente, un Pastore non deve solo mostrare zelo verso il peccato, ma anche compassione: non solo giustizia ma anche misericordia. Eppure, l’impegno per la giustizia e la correzione deve necessariamente venire prima di tutto e, solo secondariamente, ci si adoperi al fine di mitigare e rasserenare. Citando testualmente: “Non avete fasciato ciò che si era fratturato, non avete ricondotto ciò che era rigettato” (Ez 34,4). Non riuscire a correggere un peccato significa non riuscire a curare una frattura. E non riuscire a farlo con amorevole premura significa gettare via ciò che era stato riportato indietro.

“Bisogna cioè aver cura che la pietà faccia apparire ai sudditi madre colui che li guida (rector, in latino), e la disciplina glielo mostri padre… Sia la disciplina che la misericordia vengono meno se si esercita l’una senza l’altra…”.

E così, San Gregorio Magno ci dà una sorprendente interpretazione della misericordia, mostrata nella parabola del Buon Samaritano:

“Ed è perciò che nell’insegnamento della Verità quell’uomo semivivo viene condotto all’albergo dalla sollecitudine del Samaritano (Lc10,34), e gli vengono somministrati vino e olio nelle sue ferite, chiaramente perché, per esse, egli sperimenti la pungente disinfezione (mordeantur, in latino) del vino e il conforto dell’olio che lenisce. E’ assolutamente necessario che chi ha l’ufficio di curare le ferite somministri attraverso il vino il morso pungente del dolore e attraverso l’olio la tenerezza della pietà, giacchè col vino si purifica il putridume e con l’olio si nutre e si ristora per la guarigione. Così, bisogna mescolare la dolcezza con la severità; bisogna fare come un giusto contemperamento dell’una e dell’altra affinchè i sudditi non restino esasperati da troppa asprezza e neppure infiacchiti da una eccessiva benevolenza”.

Se, attraverso l’insegnamento o la predicazione di un Pastore, le ferite (cioè i peccati) non sanguinassero – se non si avvertisse il loro morso e non si avesse come la sensazione che venissero incise, se non avvertissimo come un tormento interiore e una certa afflizione – vorrebbe semplicemente dire che il Pastore ha fallito la sua missione. Egli non sarebbe neppure a metà dell’opera, perché anche i suoi tentativi di lenire e mitigare non darebbero alcun buon risultato. “Perciò Davide dice: <<La tua verga e il tuo bastone mi hanno consolato>> (Salmo 23,4), perché la verga ci colpisce e il bastone ci sostiene…”.

Nella Santa Messa, la Scrittura e l’omelia dovrebbero svolgere maggiormente il compito di rimproverare e correggere mentre tenerezza e consolazione sono insite nell’Eucaristia. Ed è questo che intende San Gregorio Magno quando dice: “ciò è ben rappresentato dall’arca del Tabernacolo, nella quale si trovano insieme alle tavole la verga e la manna (Eb 9,4); cioè, se nell’anima della buona guida spirituale, insieme alla scienza della Sacra Scrittura c’è la verga della correzione, ci sia anche la manna della dolcezza”.

Nessuno si inganni, dice Gregorio: è solo nel governo supremo di Dio che Giustizia e Misericordia sono perfettamente amalgamate, tanto che la Sua Misericordia è semplicemente la Sua Giustizia. Le autorità subordinate come, i Vescovi, devono attingere a ciascuna separatamente per riuscire davvero ad armonizzarle.





*Michael Pakaluk, studioso di Aristotele e Ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino è professore presso la Busch School of Business presso la Catholic University of America. Vive a Hyattsville, MD con sua moglie Catherine, anche professore alla scuola di Busch e ai loro otto figli. Il suo acclamato libro sul Vangelo di Marco è Le memorie di San Pietro. Il suo ultimo libro, Mary’s Voice in the Gospel of John: A New Translation with Commentary, è ora disponibile. Il suo nuovo libro, Be Good Bankers: The Divine Economy nel Vangelo di Matteo, è in arrivo da Regnery Gateway in primavera. Il prof. Pakaluk è stato nominato alla Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino da Papa Benedetto XVI.




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