La dichiarazione sulle benedizioni alle coppie gay manifesta il metodo dell'intero pontificato: non serve chiarire sul piano dottrinale, purché si inizi a "fare" ciò che la dottrina non permetterebbe.
Stefano Fontana, 12-02-2024
Quanto è successo con Fiducia supplicans e dopo Fiducia supplicans richiede di essere interpretato in via sintetica, per non perdersi nei dettagli. Questo criterio sintetico può essere rappresentato dalla categoria della “prassi”. L’obiettivo della Dichiarazione, la sua stesura testuale, le conseguenze da essa di fatto prodotte, le stesse risposte alle contestazioni sono guidate da uno stesso criterio, quello della centralità della prassi. La cosa può essere estesa all’intero pontificato in corso, ma qui soffermiamoci solo su Fiducia supplicans.
Questo documento ha permesso di “fare” qualcosa, appunto benedire le coppie omosessuali. Il suo scopo era quindi rivolto alla prassi. Non ha voluto nemmeno lontanamente motivare dottrinalmente la cosa, al massimo si è rifatto a motivazioni pastorali, che riguardano anch’esse sempre la prassi. Le indicazioni su cosa fare e come fare sono quindi centrali e superano le indicazioni sul perché farlo. Inoltre, sono state fornite a tappe, man mano che le critiche si esprimevano, ancora una volta quindi con una attenzione a quanto accadeva, ossia alla prassi in atto. La precisazione sui 10 secondi di durata del nuovo tipo di benedizione, poi la precisazione che si benedicono i singoli anche se si presentano in coppia, le difformità di queste precisazioni rispetto al testo della dichiarazione e così via … evidenziano un aggiustamento progressivo del tiro ma mano che la prassi lo richiede, e con lo scopo di arrivare comunque alla prassi, ossia che qualcuno queste benedizioni le conceda di fatto. Lì bisogna arrivare ad ogni costo, non importa come.
Anche di fronte alle contestazioni di ampia portata che sono emerse, le osservazioni dello stesso Francesco sono sempre state caratterizzate dal criterio della prassi. Di recente [QUI], per esempio, egli è tornato a dire di non capire perché si possa benedire un imprenditore che sfrutta gli operai e non una persona che conduce una relazione omosessuale. E lo ha detto dopo che innumerevoli voci hanno chiarito che l’opposizione a Fiducia supplicans riguarda la benedizione delle “coppie” omosessuali e non delle singole persone. Qualcuno avrà pensato che il Papa si prenda gioco di noi e che per ingannarci cambiasse le carte in tavola fingendo di non sapere che le critiche riguardavano altro. In realtà la cosa è spiegabile forse in modo più esauriente, pensando che egli sia interessato primariamente a che le benedizioni delle coppie si facciano comunque e ad ogni costo, arrivando anche a stravolgere il senso delle critiche. Anche la sua grave affermazione sull’”amore” dei due omosessuali in coppia deriva dall’accoglimento di una prassi che va assunta solo perché avviene e secondo i criteri per cui avviene.
Anche la risposta agli episcopati africani rientra nella stessa casistica. Francesco ha detto di aver concesso loro una dispensa perché la loro cultura considera l’omosessualità un male. Non ha dato loro chiarimenti teologici o dottrinali, ma si è riferito alla loro prassi non ritenendola capace di confutare la nuova prassi richiesta da Fiducia supplicans. Diamo una dispensa per questa prassi e intanto facciamone decollare un’altra. Sarà poi la storia (delle due prassi) a decidere la migliore. Le questioni si risolvono non nella dottrina ma nella prassi.
Le conseguenze di Fiducia supplicans sono tante e diverse. Una però era certamente nelle intenzioni di chi ha voluto questa nuova prassi, ossia che essa si diffondesse e che nascesse un processo (di prassi) dopo aver gettato il sasso nello stagno (immagine questa frequentemente usata da Francesco). Anche nella confusione? Certamente! Anzi proprio nella confusione, quella stessa confusione movimentista che provoca un sasso nello stagno. Ecco allora che il rettore del seminario della diocesi di Monaco chiede di poter ammettere seminaristi omosessuali, che movimenti di omosessualismo cristiano come il progetto Gionata ritrovano slancio e vigore, che Padre Martin tiene conferenze ai vescovi irlandesi su come fare, che la “vescova” anglicana parli in Vaticano al Gruppo dei 9 cardinali coadiutori del Papa istruendoli sul gender, che il vescovo Felix Genn, della diocesi di Münster, chiami “famiglia” una coppia omosessuale perché secondo lui il concetto di famiglia è cambiato e si è allargato. Sono prassi, che solo per il fatto di avvenire, allargano progressivamente le onde generate dal sasso nello stagno. E proprio questo era lo scopo della Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede.
Del resto, se torniamo alla inusitata lettera personale inviata da Francesco al cardinale Fernandez dopo la sua nomina a Prefetto del Dicastero per la Dottrina delle fede, constatiamo che il mandato a lui affidato era proprio questo. Poiché in passato il Sant’Uffizio perseguitava gli eretici e adoperava metodi immorali – si legge nella lettera-, il nuovo dicastero avrebbe dovuto evitare di condannare e di comportarsi da nemico e promuovere invece la ricerca teologica, in modo da custodire in positivo l’insegnamento che scaturisce dalla fede. Ora, il modo migliore per stimolare la ricerca teologica è proprio di metterla davanti a nuovi atteggiamenti, a prassi inedite che producano a loro volta nuove prassi ad onde concentriche fino a che questo movimentismo non produca cambiamenti nella teologia, che saranno comunque sempre vecchi e inadeguati rispetto alle nuove prassi che nel frattempo si saranno messe in campo. Il cristianesimo è una prassi: questo sembra il criterio sintetico per valutare quanto è successo con Fiducia supplicans e dopo Fiducia supplicans.
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