domenica 4 febbraio 2024

Il Green Deal europeo uccide l'agricoltura e minaccia l'ambiente

 Taglio drastico dei fitofarmaci, estensione del biologico, riduzione dei terreni coltivati sono misure che puntano a una "decrescita" che minaccia l'intera società. È necessario che Bruxelles riapra un dialogo con il mondo agricolo.




di Flavio Barozzi e Luigi Mariani

Fra i cittadini europei è oggi più che mai diffusa l’idea secondo cui solo un ‘agricoltura “naturale” e non intensiva sia l’unica davvero sostenibile sul piano ambientale. Al contrario, i dati scientifici in nostro possesso indicano con chiarezza che l’ambiente si tutela proprio intensificando l’agricoltura con l’ausilio di tecnologie a base scientifica (genetica animale e vegetale, tecniche colturali e di allevamento, ecc.) innovative e “low impact”, mentre i sistemi agricoli a bassa efficienza produttiva generano impatti ambientali per unità di prodotto molto più elevati e generalmente insostenibili.

Basti riflettere ad esempio sul fatto che per ottenere la stessa quantità di beni con un’agricoltura estensiva che per unità di superficie produce la metà rispetto a una intensiva occorre il doppio della terra, reperibile oggi solo abbattendo boschi e dissodando praterie naturali con danni enormi alla biodiversità. Oppure si rifletta sul fatto che per produrre un litro di latte e farlo giungere fino alla tavola del consumatore si emettono oggi 1,3 kg di CO2 equivalente se tale latte deriva da zootecnia intensiva in grandi stalle aperte, mentre si sale a 3,7 kg di CO2 se lo stesso latte è prodotto da bestiame al pascolo. Scriviamo questo non tanto per demonizzare l’allevamento al pascolo (il pastore errante per l’Asia non è un “poco di buono” e il malgaro della montagna alpina e appenninica è una risorsa per la tutela del territorio!) quanto per stigmatizzare l’insensata demonizzazione dell’allevamento intensivo da tempo in atto.

Purtroppo affermare presso l’opinione pubblica i meriti dell’agricoltura intensiva basata sulla ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica è sempre più difficile: da anni prevalgono infatti visioni grottesche e pseudoscientifiche che attraverso i media influenzano le idee dell’opinione pubblica e della politica a livello nazionale ed europeo. Anche da queste visioni fuorvianti deriva l’impostazione generale UE del “green deal” che in agricoltura si declina nelle strategie “farm to fork”, “biodiversità” e “rinaturalizzazione” Da tali strategie stanno prendendo corpo provvedimenti sconcertanti fra i quali ricordiamo:

1. Il proposito di ridurre del 50-60% il quantitativo di fitofarmaci ammessi all’impiego, basato su un rigido “algoritmo” che non considerando alcun aspetto razionale mette a rischio tutta la protezione fitosanitaria delle coltivazioni: se non si tutelano le colture da insetti, funghi patogeni, batteri, malerbe e altri nemici i prodotti ricavati saranno in molti casi meno salubri (molti funghi patogeni e batteri sono in grado di produrre tossine con effetti negativi sulla salute) ed in molti casi tanto scarsi da rendere antieconomica la loro raccolta. Giova ricordare che l’impatto di un simile approccio “proibizionista” si presenta particolarmente pericoloso per le agricolture dei Paesi mediterranei (Italia, Spagna, Grecia e Portogallo), fondate su colture (fruttiferi, vite e colture orticole) che hanno necessità rilevanti in termini di difesa fitosanitaria.

2. Il proposito di espandere l’agricoltura biologica portandola dal 9% al 30% della superficie agricola utile. Tale scelta determinerà cali di resa del 20-70% a seconda delle colture, con conseguente esplosione delle importazioni proprio in un momento in cui a livello globale la sicurezza degli approvvigionamenti di cibo e energia è una priorità assoluta per gli Stati che vogliano mantenere la propria sovranità. Possibile che la guerra russo – ucraina non ci abbia insegnato nulla?

3. La decisione di “rinaturalizzare” vasti territori in cui l’attività agricola si svolge da migliaia di anni, senza domandarsi cosa potrà derivarne in termini di difesa dalle inondazioni o in termini di difesa dell’attività agricola dalle specie selvatiche invasive.

Tutto questo si sviluppa in un contesto europeo improntato ad una persistente diffidenza verso le tecnologie innovative di miglioramento genetico (OGM, NBT), il cui rifiuto preconcetto pone gli agricoltori europei in condizioni di inferiorità quanti-qualitativa rispetto ai competitor di altre aree agricole del mondo.

In definitiva il cahier de doléances degli agricoltori è davvero pieno, tanto sul versante dei meriti non riconosciuti quanto su quello di politiche di “decrescita”, pericolose non solo per il settore agricolo ma per l’intera società.

Ma sarà davvero utile questa protesta?

La protesta degli agricoltori sarà utile solo se aiuterà a comprendere una realtà che va ben oltre le “lamentazioni” del momento ma investe l’intera politica europea. Perché il "malinteso ambientalismo" che sembra condizionare le Istituzioni comunitarie (ma pure governi nazionali piuttosto intorpiditi) rischia di fare danni all’economia, alla società e paradossalmente pure all’ambiente. In specie la politica agricola comunitaria sembra orientata ad un rigido dirigismo che appare sempre più come una surrettizia “kolkosizzazione” dell’agricoltura europea, per cui una “classe dirigente” avulsa dalla realtà ma saldamente insediata nei “palazzi” di Bruxelles, dei Ministeri o delle Regioni vorrebbe imporre ai produttori un assistenzialismo soffocante, fatto di sovvenzioni simili ad elemosine a fronte di impraticabili ed assurde regole operative da applicare "in campo".

Per accompagnare la protesta alla proposta sarebbe oggi necessario intavolare quel "dialogo strategico" sull'agricoltura cui la Presidente von der Leyen si è detta finalmente disponibile. Ancor più sarebbe utile rifondare su nuove basi quella "alleanza" tra agricoltura e società su cui si fonda una sicurezza alimentare oggi esposta a rischi concreti. Perché ciò accada è tuttavia indispensabile una base culturale rispetto alla quale tanto il mondo agricolo quanto il decisore politico forse oggi sono carenti, e su cui le Istituzioni accademiche dovranno impegnarsi sempre più a fondo nell’interesse generale.



da La Bussola quotidiana 31-01-2024


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