La lettera di sostegno del Papa a padre James Martin, impegnato sostenitore dei diritti LGBT, pone tra l'altro un problema di metodo, ovvero la contraddizione vissuta come regola del proprio ministero. Così pochi giorni dopo la Nota della Segreteria di Stato che contesta il ddl Zan, arriva un gesto di segno opposto.
I problemi posti dalla lettera di papa Francesco a padre James Martin, impegnato sostenitore dei diritti LGBT, sono di diverso tipo. Tra tutti, però, uno si impone come principale e ci chiede di considerare a fondo una situazione inedita della Chiesa: in essa la contraddizione è considerata la regola del proprio lavoro. Vediamo prima di tutto come il tema della contraddizione emerga dalla lettera a padre Martin per poi analizzare la portata di questo fatto.
Come si sa, padre Martin è un gesuita che non solo si occupa della pastorale delle persone LGBT, ma che sostiene il riconoscimento dei loro diritti da parte della pubblica autorità. Egli sarebbe quindi a favore di leggi come la Cirinnà e come il ddl Zan. Come altrettanto bene si sa, gli insegnamenti della Chiesa negano questa possibilità. Fatta questa premessa vediamo la contraddizione. Qualche giorno fa, la Segreteria di Stato ha consegnato allo Stato italiano una Nota in cui si paventa l’infrazione del Concordato in quanto il ddl Zan, se approvato, limiterebbe la libertà della Chiesa di esporre in pubblico la propria dottrina sull’omosessualità, compreso il divieto del suo riconoscimento giuridico da parte della pubblica autorità.
Solo qualche giorno dopo, la lettera di papa Francesco a padre Martin contraddice l’intervento della Segreteria di Stato nei confronti dell’Italia, invitando con calore padre Martin a continuare con il suo impegno pastorale che, come si diceva, comprende il riconoscimento dei diritti LGBT. In cosa consiste la contraddizione? In questo: da un lato la Chiesa pretende di poter dire pubblicamente che secondo la propria dottrina le “nuove” relazioni sessuali non possono essere giuridicamente e politicamente riconosciute; dall’altro dice che intende continuare ad impegnarsi perché questo riconoscimento diventi possibile e reale.
Contraddizioni di questo genere sono diventate abituali in questo pontificato e lo stanno caratterizzando in modo molto evidente. Se l’ideologia gender è uno “sbaglio della mente umana”, perché invitare padre Martin a continuare a lavorare per i diritti LGBT? Se la Congregazione per la Dottrina della Fede ha posto precisi paletti al sinodo tedesco sulla benedizione delle coppie gay, perché papa Francesco invita il presidente dei vescovi della Germania a proseguire nel cammino sinodale? Altra contraddizione: le conferenze episcopali hanno o non hanno competenza dottrinale? E come mai quando vengono poste a Santa Marta o al Sant’Uffizio alcune contraddizioni da dirimere definitivamente la risposta è di discuterne?
L’introduzione della contraddizione come prassi della Chiesa è una delle principali novità dirompenti di questo pontificato ed anche una semplice lettera ad un Padre gesuita la mettono in evidenza. La questione potrebbe essere risolta con la teoria della lotta interna tra dicasteri pontifici e tra questi e il papa. Ci sarebbero delle contese, dei “bracci di ferro” legati a questioni di potere per cui alla fine escono posizioni diverse e spesso contrapposte. La Chiesa sarebbe incapace di parlare con una voce sola per intoppi nelle relazioni interne. Questa spiegazione sarebbe però una scappatoia. Queste eventuali contese sono evidentemente la conseguenza di modi diversi di pensare, di teologie in contraddizione tra loro. È qui allora che bisogna risalire.
L’uso da parte di papa Francesco del metodo “stop and go”, conosciuto anche volgarmente come il metodo di un colpo al cerchio e uno alla botte, riconosce alla contraddizione una funzione positiva di apertura verso nuovi processi guidati (secondo lui) dallo Spirito. La “rigidità” – lo ha dichiarato molte volte – sarebbe una patologia della fede, la quale invece vivrebbe di dubbio e di contraddizione. Tra dottrina e pastorale oppure tra Chiesa universale e Chiesa locale c’è contraddizione e bisogna, secondo lui, tenere aperto il rapporto con tutti e due i poli della contraddizione stessa. Non è quindi contraddittorio tenere aperta la contraddizione e vedere dove ci porta. I termini della contraddizione sono contraddittori ma la contraddizione no. La vita della Chiesa è contraddittoria.
Alcuni interpreti del pensiero di papa Francesco e delle sue fonti, sostengono che in questo egli si rifà alla “Contrapposizione polare” di Romano Guardini, il pensiero del quale Bergoglio poté avvicinare durante il suo soggiorno giovanile in Germania. Egli intenderebbe quindi la contraddizione come contrapposizione tra due elementi ugualmente positivi, anche se in tensione tra loro. Ma qui sta il punto. Come scriveva Joseph Ratzinger – che quanto a conoscere Guardini non era secondo a nessuno - tra il vero e il falso o tra il bene e il male non può esserci contrapposizione ma solo contraddizione. In questi casi bisogna essere “rigidi” e scegliere per la verità e il bene.
L’assunzione nella vita e nella prassi della Chiesa della contraddizione vista come una negatività positiva sembra avere il proprio padre in Hegel più che in Guardini. Per essa ogni situazione di vita che si presenta nell’esistenza storica è sia positiva che negativa, perché in essa si scontrano due polarità contraddittorie. Lo scontro non deve essere evitato ma bisogna passarci in mezzo affinché si possa arrivare ad una composizione superiore. Un qualsiasi professore di liceo spiegherebbe così la dialettica hegeliana.
Come si sa, padre Martin è un gesuita che non solo si occupa della pastorale delle persone LGBT, ma che sostiene il riconoscimento dei loro diritti da parte della pubblica autorità. Egli sarebbe quindi a favore di leggi come la Cirinnà e come il ddl Zan. Come altrettanto bene si sa, gli insegnamenti della Chiesa negano questa possibilità. Fatta questa premessa vediamo la contraddizione. Qualche giorno fa, la Segreteria di Stato ha consegnato allo Stato italiano una Nota in cui si paventa l’infrazione del Concordato in quanto il ddl Zan, se approvato, limiterebbe la libertà della Chiesa di esporre in pubblico la propria dottrina sull’omosessualità, compreso il divieto del suo riconoscimento giuridico da parte della pubblica autorità.
Solo qualche giorno dopo, la lettera di papa Francesco a padre Martin contraddice l’intervento della Segreteria di Stato nei confronti dell’Italia, invitando con calore padre Martin a continuare con il suo impegno pastorale che, come si diceva, comprende il riconoscimento dei diritti LGBT. In cosa consiste la contraddizione? In questo: da un lato la Chiesa pretende di poter dire pubblicamente che secondo la propria dottrina le “nuove” relazioni sessuali non possono essere giuridicamente e politicamente riconosciute; dall’altro dice che intende continuare ad impegnarsi perché questo riconoscimento diventi possibile e reale.
Contraddizioni di questo genere sono diventate abituali in questo pontificato e lo stanno caratterizzando in modo molto evidente. Se l’ideologia gender è uno “sbaglio della mente umana”, perché invitare padre Martin a continuare a lavorare per i diritti LGBT? Se la Congregazione per la Dottrina della Fede ha posto precisi paletti al sinodo tedesco sulla benedizione delle coppie gay, perché papa Francesco invita il presidente dei vescovi della Germania a proseguire nel cammino sinodale? Altra contraddizione: le conferenze episcopali hanno o non hanno competenza dottrinale? E come mai quando vengono poste a Santa Marta o al Sant’Uffizio alcune contraddizioni da dirimere definitivamente la risposta è di discuterne?
L’introduzione della contraddizione come prassi della Chiesa è una delle principali novità dirompenti di questo pontificato ed anche una semplice lettera ad un Padre gesuita la mettono in evidenza. La questione potrebbe essere risolta con la teoria della lotta interna tra dicasteri pontifici e tra questi e il papa. Ci sarebbero delle contese, dei “bracci di ferro” legati a questioni di potere per cui alla fine escono posizioni diverse e spesso contrapposte. La Chiesa sarebbe incapace di parlare con una voce sola per intoppi nelle relazioni interne. Questa spiegazione sarebbe però una scappatoia. Queste eventuali contese sono evidentemente la conseguenza di modi diversi di pensare, di teologie in contraddizione tra loro. È qui allora che bisogna risalire.
L’uso da parte di papa Francesco del metodo “stop and go”, conosciuto anche volgarmente come il metodo di un colpo al cerchio e uno alla botte, riconosce alla contraddizione una funzione positiva di apertura verso nuovi processi guidati (secondo lui) dallo Spirito. La “rigidità” – lo ha dichiarato molte volte – sarebbe una patologia della fede, la quale invece vivrebbe di dubbio e di contraddizione. Tra dottrina e pastorale oppure tra Chiesa universale e Chiesa locale c’è contraddizione e bisogna, secondo lui, tenere aperto il rapporto con tutti e due i poli della contraddizione stessa. Non è quindi contraddittorio tenere aperta la contraddizione e vedere dove ci porta. I termini della contraddizione sono contraddittori ma la contraddizione no. La vita della Chiesa è contraddittoria.
Alcuni interpreti del pensiero di papa Francesco e delle sue fonti, sostengono che in questo egli si rifà alla “Contrapposizione polare” di Romano Guardini, il pensiero del quale Bergoglio poté avvicinare durante il suo soggiorno giovanile in Germania. Egli intenderebbe quindi la contraddizione come contrapposizione tra due elementi ugualmente positivi, anche se in tensione tra loro. Ma qui sta il punto. Come scriveva Joseph Ratzinger – che quanto a conoscere Guardini non era secondo a nessuno - tra il vero e il falso o tra il bene e il male non può esserci contrapposizione ma solo contraddizione. In questi casi bisogna essere “rigidi” e scegliere per la verità e il bene.
L’assunzione nella vita e nella prassi della Chiesa della contraddizione vista come una negatività positiva sembra avere il proprio padre in Hegel più che in Guardini. Per essa ogni situazione di vita che si presenta nell’esistenza storica è sia positiva che negativa, perché in essa si scontrano due polarità contraddittorie. Lo scontro non deve essere evitato ma bisogna passarci in mezzo affinché si possa arrivare ad una composizione superiore. Un qualsiasi professore di liceo spiegherebbe così la dialettica hegeliana.
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