lunedì 28 giugno 2021

Si giudica l’errore, ma non l’errante? No. Va giudicato anche l’errante







di Corrado Gnerre, 15-06-2021

Spesso si dice che non bisogna giudicare il prossimo. Ma cosa veramente significa e cosa davvero comporta una simile affermazione?

Gesù dice di non giudicare (Matteo 7,1), ma giudicare (in senso evangelico) non vuol dire “giudicare” in quanto “esprimere un giudizio”, bensì non condannare definitivamente.

Facciamo un esempio: se Mario Rossi vive una vita di peccato non debbo condannarlo definitivamente, pensando che non possa più redimersi. Anzi, devo pregare per lui, e far di tutto affinché possa emendarsi. E forse -chissà- potrà anche divenire un grande santo. Di esempi a riguardo -grazie a Dio- se ne potrebbero fare tanti.

Ma -continuando nell’esempio- ciò non significa che Mario Rossi non debba essere giudicato nel momento in cui è peccatore e si comporta come tale. Qui, infatti, c’è un’ambiguità che va chiarita. Spesso si dice che vada giudicato l’errore ma non l’errante. No: va giudicato l’errore ed anche l’errante, nel senso che bisogna riconoscere che l’errante sta errando, e in tal senso (come impongono le opere di misericordia spirituale) l’errante deve essere ammonito. Se non si giudica l’errante come errante, non lo si può aiutare. Se il medico non riconosce che il malato è ammalato, non si attiverà a curarlo con la speranza di guarirlo.

Una piccola riflessione, questa, ma utile, per evitare certi stereotipi che possono condurci verso convinzioni che non sono affatto cattoliche, ma che invece possono aprire la strada ad un subdolo relativismo.

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