L.V. [MiL]
27-06-2021
Ora è necessaria una contro-riforma liturgica
In questi giorni il tema di una riforma dell’attuale status della sacra liturgia – così come scaturito da «libere interpretazioni» dei dettami del Concilio Ecumenico Vaticano II – si presenta più che mai necessario ed indifferibile.
I recenti spunti «innovativi», provenienti, direttamente o indirettamente, dal Magistero ecclesiale, quali: la modifica del cerimoniale liturgico delle investiture dei Cavalieri del Santo Sepolcro (cerimoniale avente storia millenaria), l’introduzione delle figure femminili nel servizio di accolitato nella Santa Messa nonché la propensione, da parte di taluni Sinodi vescovili, volta ad autorizzare cerimonie liturgiche, o benedizioni di sorta, in presenza di coppie omosessuali ecc., inducono a credere che si sia veramente toccato il fondo.
Per fortuna c’è ancora qualche voce, sempre meno solitaria, che grida nel deserto e si batte affinché la Chiesa fornisca, finalmente, un tangibile segnale di cambio di passo in campo liturgico, al fine di restituire la giusta sacralità e spiritualità che spetta alla liturgia, la quale rimane oggi ostaggio di quella riforma conciliare che, dopo ben cinquant’anni, ha mostrato tutte le sue falle ed i suoi limiti.
Il card. Robert Sarah, Prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, a proposito della vigente liturgia, ha avuto modo di scrivere che «in questo momento critico della vita della Chiesa dobbiamo riflettere attentamente su tutto ciò con cui dobbiamo confrontarci ed è necessario discernere ciò che è vero, buono e bello, da ciò che è cattivo». Parole giuste e sacrosante che, in ogni caso, dovrebbero essere tradotte in azioni concrete da parte di coloro che sono preposti alla tutela della fede e del culto divino.
Essendo in effetti venuto meno, con la decentralizzazione, un uniforme indirizzo su importanti tematiche religiose, ivi compresa la liturgia, la responsabilità cade quindi principalmente sui vescovi delle singole nazioni, raccolti oggi in sinodi sparsi per il mondo che, istituiti come tematici e temporanei, sono ormai divenuti generali e permanenti.
Mons. Athanasius Schneider O.R.C., Vescovo ausiliare di Maria Santissima in Astana, nel suo libro Christus vincit - Il trionfo di Cristo, a proposito di sacra liturgia e più specificamente con riferimento alla santa Messa, scrive: «Credo che nel futuro il nuovo rito della Messa dovrà essere riformato in modo da assomigliare, più da vicino, alla forma costante o più antica del rito romano della Messa, attualmente detta “straordinaria”. In questo modo, rifletterà più fedelmente il senso perenne dello spirito liturgico della Chiesa, che era la vera intenzione dei Padri del Concilio Vaticano II».
Invocare una controriforma della riforma liturgica oggi in vigore (la quale racchiude in sé problemi e difetti che non possono più passare inosservati) vuol dire verificare, nei minimi dettagli, come dovrebbero essere celebrati i sacri riti, chi possa rivestire i ruoli propri dei ministranti ed ancora chi vi possa accedere e chi no. Ed ancora: declarare specificamente quali sono le forme inderogabili, necessarie per accostarsi al sacramento della Santissima Eucaristia.
Occorre tener presente che tutte le celebrazioni liturgiche tendono al soprannaturale, perdendo il senso del quale si giunge, inevitabilmente, ad un volgersi dell’uomo verso se stesso; insomma ad un concentrarsi solo su di sé. Tutto ciò risulta essere il fulcro del naturalismo.
La sacra liturgia – così come oggi viene celebrata – si rivolge essenzialmente all’uomo e porta inevitabilmente la Chiesa verso l’antropocentrismo. È quindi necessario che un’auspicata quanto solerte controriforma liturgica riporti oggi l’uomo a rivolgersi, di nuovo, verso il Signore. Così come viene testualmente riportato nel versetto del Salmo (84, 7) che si recitava all’inizio della Messa vetus ordo: «Deus, tu convérsus vivificábis nos» (o Dio rivolgiti verso di noi e Tu ci vivificherai) «Et plebs tua lætábitur in te» (ed il Tuo popolo si rallegrerà in Te).
A questo punto sorge spontanea la domanda: può una nuova riforma liturgica essere davvero efficace senza tener conto di quanto contemplato nel rito della Santa Messa tridentina, detta anche di san Pio V? Stentiamo a crederlo.
Guarda caso, però, proprio in questi giorni si dibatte sul tema di una eventuale restrizione del motu proprio «Summorum Pontificum» di S.S. Benedetto XVI.
Si vorrebbe, in buona sostanza, passare dall’attuale disposizione «certificativa» dello svolgimento del rito liturgico della Santa Messa, cosiddetta «in latino», ad una disposizione «autorizzativa» del medesimo. Se questa impostazione passasse, non basterebbe più l’esistenza di un congruo numero di fedeli richiedenti al Vescovo diocesano (ordinario) la dovuta approvazione dello svolgimento nella forma oggi definita «straordinaria» (che il medesimo oggi deve concedere), bensì qualsiasi rito vetus ordo dovrebbe – nelle intenzioni dei riformatori – essere autorizzato, a priori, dall’Ordinario, a suo insindacabile giudizio.
Risulta ovvio una simile proposta finirebbe per impedire – di fatto – quell’agognata controriforma liturgica, tendente veramente al sacro, oggi più che mai necessaria ed indifferibile.
Angelo Pellicioli
Angelo Pellicioli
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