La decisione dei vescovi americani sull'ammissione alla Comunione ha importanti ripercussioni anche per la Dottrina sociale, perché rimette in campo la dottrina dei princìpi non negoziabili che questo pontificato aveva abbandonato e negato.
Stefano Fontana, 22-06-2021
La decisione dei vescovi americani circa la non ammissione alla Comunione eucaristica dei sostenitori pubblici dell’aborto (vedi qui e qui) ha delle conseguenze positive anche nel campo della Dottrina sociale della Chiesa e non solo in quello della dottrina e della vita sacramentale. Infatti la decisione presa dalla maggioranza dei vescovi americani, ossia di continuare a non ammettere alla comunione gli abortisti dichiarati e di iniziare il percorso verso la redazione di un documento magisteriale sull’argomento, rimette in campo la dottrina dei principi non negoziabili. Questa dottrina è stata completamente abbandonata e negata durante questo pontificato, in netto contrasto con il precedente. I loro sostenitori auspicavano che fosse ripresa a partire dai problemi della presenza dei cattolici nella società, invece viene ora imprevedibilmente ripresa dall’interno di una questione sacramentaria.
Durante la discussione preliminare al voto dei vescovi, numerosi interventi avevano tirato in ballo la politica. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica e strenuo sostenitore dell’ammissione del presidente Biden (e di chi come lui) alla Comunione, aveva detto che con il divieto si corre il rischio di usare l’Eucarestia a scopi politici. Ossia – sembra di capire – per etichettare l’uno o l’altro politico in senso cattolico. Durante il dibattito in Conferenza episcopale, il vescovo di San Diego ha affermato che in questo modo si rischia di mettere in secondo piano altri problemi politici, come la povertà e l’ambiente, facendo della questione aborto l’unico tema politico veramente degno di nota. Questo argomento era stato sostenuto anche da altri vescovi progressisti.
Simili affermazioni indicano che la decisione sull’ammissione alla Santa Comunione aveva ed ha anche delle ripercussioni nella visione della politica. Se fosse stata bloccata la prassi della non ammissibilità alla comunione degli abortisti, allora si sarebbe verificata una separazione tra vita politica pubblica e vita sacramentale; e l’Eucarestia – vale a dire il cuore della vita della Chiesa – sarebbe stata indifferente alla collocazione dei cattolici nella società. Questo, in fondo, voleva padre Spadaro. In secondo luogo il tema della vita avrebbe perso la sua preminenza in quanto primo e fondamentale tra i principi non negoziabili e tutti i temi dell’agenda politica sarebbero stati messi sullo stesso piano: la vita umana come la biodiversità, la famiglia e la procreazione come la lotta alla povertà, e così via. In questo modo si sarebbe perso l’ordine tra i vari temi sociali, che sarebbero stati oggetto di preferenza politica soggettiva da parte di ognuno. Nessun principio avrebbe più potuto fare da luce per gli altri.
I vescovi americani, con la loro decisione di mantenere il divieto e garantire la “coerenza eucaristica” hanno avuto il grande merito – indiretto, ma sempre merito è – di riaffermare che ci sono atti pubblici oggettivamente e gravemente ingiusti che non possono mai essere approvati, non solo dalla Chiesa ma da chiunque. Nei loro confronti non vale nessun discernimento delle coscienze perché quegli atti sono appunto oggettivi e pubblici ed è su questa loro oggettività e pubblicità che si esercita il giudizio morale e religioso. Hanno quindi ribadito che esistono atti sempre intrinsecamente cattivi (intrinsece mala) non solo sul piano religioso ma anche della morale naturale. Hanno ristabilito la continuità tra la legge naturale e la logica eucaristica, sicché quest’ultima – impedendo l’accesso degli abortisti al Sacramento – riconferma, nel mentre eleva, la prima.
Ribadendo infine la “non negoziabilità” dell’ammissione all’Eucarestia di chi promuove l’aborto, hanno riconfermato lo stesso principio – la non negoziabilità – nel campo della morale pubblica e del diritto naturale. Se è possibile parlare di non negoziabilità nella disciplina dell’accesso all’Eucarestia, e se l’accesso all’Eucarestia non è scollegato dai Comandamenti che regolano anche la morale pubblica perché la legge nuova non elimina la legge antica ma la conferma e la purifica, allora deve diventare di nuovo possibile parlare di principi non negoziabili nella vita pubblica, sociale e politica.
I vescovi americani hanno implicitamente insegnato che non è possibile accedere all’Eucarestia se nella propria vita politica si contraddice la legge naturale contenuta nel Decalogo. Non si può accedere a Cristo salvatore se si nega Cristo creatore, perché si introdurrebbe una frattura in Cristo stesso. Il Legislatore dei Comandamenti e il Legislatore delle Beatitudini è lo stesso Dio. Padre Cornelio Fabro scriveva: “Una religiosità senza serio impegno morale è una canzonatura di Dio che ormai è stata consumata dal Protestantesimo”. I vescovi americani hanno ribadito l’essenza del Sacramento eucaristico, che è una “nuova creazione” la quale non può contraddire la verità della creazione, e con ciò hanno confermato la continuità tra ragione e fede, tra morale naturale e morale religiosa, evitando la frattura tra le due dimensioni di origine protestante. Cosa si perde dimenticando la dottrina dei principi non negoziabili ora è più chiaro.
Durante la discussione preliminare al voto dei vescovi, numerosi interventi avevano tirato in ballo la politica. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica e strenuo sostenitore dell’ammissione del presidente Biden (e di chi come lui) alla Comunione, aveva detto che con il divieto si corre il rischio di usare l’Eucarestia a scopi politici. Ossia – sembra di capire – per etichettare l’uno o l’altro politico in senso cattolico. Durante il dibattito in Conferenza episcopale, il vescovo di San Diego ha affermato che in questo modo si rischia di mettere in secondo piano altri problemi politici, come la povertà e l’ambiente, facendo della questione aborto l’unico tema politico veramente degno di nota. Questo argomento era stato sostenuto anche da altri vescovi progressisti.
Simili affermazioni indicano che la decisione sull’ammissione alla Santa Comunione aveva ed ha anche delle ripercussioni nella visione della politica. Se fosse stata bloccata la prassi della non ammissibilità alla comunione degli abortisti, allora si sarebbe verificata una separazione tra vita politica pubblica e vita sacramentale; e l’Eucarestia – vale a dire il cuore della vita della Chiesa – sarebbe stata indifferente alla collocazione dei cattolici nella società. Questo, in fondo, voleva padre Spadaro. In secondo luogo il tema della vita avrebbe perso la sua preminenza in quanto primo e fondamentale tra i principi non negoziabili e tutti i temi dell’agenda politica sarebbero stati messi sullo stesso piano: la vita umana come la biodiversità, la famiglia e la procreazione come la lotta alla povertà, e così via. In questo modo si sarebbe perso l’ordine tra i vari temi sociali, che sarebbero stati oggetto di preferenza politica soggettiva da parte di ognuno. Nessun principio avrebbe più potuto fare da luce per gli altri.
I vescovi americani, con la loro decisione di mantenere il divieto e garantire la “coerenza eucaristica” hanno avuto il grande merito – indiretto, ma sempre merito è – di riaffermare che ci sono atti pubblici oggettivamente e gravemente ingiusti che non possono mai essere approvati, non solo dalla Chiesa ma da chiunque. Nei loro confronti non vale nessun discernimento delle coscienze perché quegli atti sono appunto oggettivi e pubblici ed è su questa loro oggettività e pubblicità che si esercita il giudizio morale e religioso. Hanno quindi ribadito che esistono atti sempre intrinsecamente cattivi (intrinsece mala) non solo sul piano religioso ma anche della morale naturale. Hanno ristabilito la continuità tra la legge naturale e la logica eucaristica, sicché quest’ultima – impedendo l’accesso degli abortisti al Sacramento – riconferma, nel mentre eleva, la prima.
Ribadendo infine la “non negoziabilità” dell’ammissione all’Eucarestia di chi promuove l’aborto, hanno riconfermato lo stesso principio – la non negoziabilità – nel campo della morale pubblica e del diritto naturale. Se è possibile parlare di non negoziabilità nella disciplina dell’accesso all’Eucarestia, e se l’accesso all’Eucarestia non è scollegato dai Comandamenti che regolano anche la morale pubblica perché la legge nuova non elimina la legge antica ma la conferma e la purifica, allora deve diventare di nuovo possibile parlare di principi non negoziabili nella vita pubblica, sociale e politica.
I vescovi americani hanno implicitamente insegnato che non è possibile accedere all’Eucarestia se nella propria vita politica si contraddice la legge naturale contenuta nel Decalogo. Non si può accedere a Cristo salvatore se si nega Cristo creatore, perché si introdurrebbe una frattura in Cristo stesso. Il Legislatore dei Comandamenti e il Legislatore delle Beatitudini è lo stesso Dio. Padre Cornelio Fabro scriveva: “Una religiosità senza serio impegno morale è una canzonatura di Dio che ormai è stata consumata dal Protestantesimo”. I vescovi americani hanno ribadito l’essenza del Sacramento eucaristico, che è una “nuova creazione” la quale non può contraddire la verità della creazione, e con ciò hanno confermato la continuità tra ragione e fede, tra morale naturale e morale religiosa, evitando la frattura tra le due dimensioni di origine protestante. Cosa si perde dimenticando la dottrina dei principi non negoziabili ora è più chiaro.
fonte: EDITORIALI lnbq
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