Di Silvio Brachetta, 17 giugno 2021
È partita la campagna – stupefacente – “Libera di abortire”, su iniziativa dei Radicali Italiani e di altre associazioni consimili. Stupefacente per il titolo, non per i contenuti, ripetuti alla noia: con l’ipocrisia farisaica che da sempre li caratterizza, stavolta i Radicali non parlano più di «interruzione volontaria della gravidanza» (IVG), così come hanno sempre fatto, ma di «aborto». Rinunciano così alla finzione, alla maschera teatrale tenuta sinora, per cui essi sono convinti di cambiare le cose cambiando il nome alle cose.
Per accennare ai contenuti, la campagna “Libera di abortire” ripete la sciocchezza secondo cui, in Italia, le donne avrebbero difficoltà ad abortire per via della diffusa obiezione di coscienza, da parte di medici e infermieri. Una tesi, questa, smentita dai fatti: ottantamila morti all’anno per aborto attestano che la donna è liberissima di abortire, nonostante l’obiezione di coscienza. Ogni giorno, cioè, le donne trovano duecentoventi strutture italiane pro-aborto che le accolgono, pagate dal contribuente.
Ma veniamo alla sostanza. Aborto (abortus) è – da quando esiste il latino e la ragione – il participio passato di aborior, che significa «perire, venir meno nel nascere» (Dizionario etimologico Pianigiani). Orior, infatti, è il nascere, da cui anche «oriente», il luogo in cui nasce il sole. Ab-orior, quindi, è il perire, il morire. Stesso significato si ritrova in Treccani, Olivetti e altri dizionari.
Abortire significa, alla lettera, «uccidere». E poiché non si uccide una cosa, abortire significa uccidere qualcuno, non qualcosa. Non si può avere un’idea della difficoltà di scrivere sull’ovvio, su ciò che appartiene alla logica elementare. È un’operazione che mortifica, perché bisogna fingere di parlare ai bambini.
Se i Radicali non fossero convinti dell’equivalenza abortire-uccidere, non si comprenderebbe la scelta storica e sistematica di sostituire «ivg» ad «aborto». In “Libera di abortire”, al contrario, «IVG» è sporadico e si parla espressamente di sostegno al «libero accesso all’aborto», in quanto «diritto». Si parla, quasi sempre, di aborto e di abortire. Qualcosa non torna.
E continuerà a non tornare, perché questo tipo d’ideologia non si esprime per argomenti (pochi e stereotipati), ma per slogan: «lotta a corpo libero»; «fate i bravi, disobbedite»; «ho abortito e sto benissimo»; «mi hanno respinto in tre ospedali»; «in Italia una donna non è libera di abortire» e cose analoghe.
Consultando “Libera di abortire” s’incorre in un altro lemma, abbastanza centrale in questa come in ogni altra campagna ideologica e totalitaria: la parola «obbligo». I Radicali & Compagni vogliono chiedere al ministro della salute Roberto Speranza di rendere «obbligatori percorsi di preparazione, aggiornamento e informazione del personale sanitario coinvolto nelle pratiche di IVG» e garantita un’«adeguata formazione nelle scuole di specializzazione di ginecologia ed ostetricia».
Si chiede inoltre a Speranza di provvedere d’autorità (e quindi obbligatoriamente) affinché: le Regioni assumano medici non obiettori, nelle scuole siano inseriti progetti continuativi d’informazione sessuale, sia completamente accessibile ogni informazione attorno all’aborto (elenco strutture, indicatori, telemedicina, tracciamento dell’aborto clandestino, ecc…).
Si vuole, insomma, pretendere la libertà abolendo la libertà medesima dell’obiettore, che rifiuta di partecipare al «delitto abominevole» dell’aborto, secondo l’espressione del Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 51).
I Radicali hanno fretta e fanno pressione sul governo e sul ministro «perché si attivino urgentemente» nel merito delle loro proposte. Devono togliere il prima possibile la libertà agli obiettori di agire secondo coscienza, dopo decenni di battaglie radicali a favore della libertà di coscienza. È questa una modalità schizofrenica di procedere, un rovesciamento del diritto.
Si richiedono obblighi, doveri, vincoli e costrizioni affinché «ogni persona in Italia sia davvero libera di accedere pienamente al suo diritto di scelta». Agli abortisti dev’essere garantita libertà di scelta, sul male della morte, mentre agli obiettori dev’essere negata, sul bene della vita. È una pretesa risibile e inaccettabile, innanzi tutto per una questione di logica elementare.
Molta della patristica insegna l’equivalenza concettuale di «aborto» e «uccisione». C’è un principio comune, ad esempio, in Tertulliano, Didaché, Diogneto, Barnaba: «Non uccidere il bimbo con l’aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita».
L’aborto, poi, non è solo un «delitto», ovvero l’infrazione della legge, ma è pure «abominevole», nel senso di un’azione da respingere con forza e detestare. L’abominio, nella Rivelazione, esprime tutta la lontananza tra il santo e l’empio, tra la salvezza e la dannazione. Rende conto della distanza infinita tra naturale e soprannaturale: distanza che è percepita dall’uomo come “innaturale”, soprattutto quando è colpevolmente voluta.
L’abominio è il toevah ebraico, l’impurità come distanza totale, la profanazione idolatrica del sacro, la volontà empia di superare la natura mediante la contro-natura. Il toevah è precisamente l’immersione nella contro-natura al posto della sopra-natura.
Silvio Brachetta
Per accennare ai contenuti, la campagna “Libera di abortire” ripete la sciocchezza secondo cui, in Italia, le donne avrebbero difficoltà ad abortire per via della diffusa obiezione di coscienza, da parte di medici e infermieri. Una tesi, questa, smentita dai fatti: ottantamila morti all’anno per aborto attestano che la donna è liberissima di abortire, nonostante l’obiezione di coscienza. Ogni giorno, cioè, le donne trovano duecentoventi strutture italiane pro-aborto che le accolgono, pagate dal contribuente.
Ma veniamo alla sostanza. Aborto (abortus) è – da quando esiste il latino e la ragione – il participio passato di aborior, che significa «perire, venir meno nel nascere» (Dizionario etimologico Pianigiani). Orior, infatti, è il nascere, da cui anche «oriente», il luogo in cui nasce il sole. Ab-orior, quindi, è il perire, il morire. Stesso significato si ritrova in Treccani, Olivetti e altri dizionari.
Abortire significa, alla lettera, «uccidere». E poiché non si uccide una cosa, abortire significa uccidere qualcuno, non qualcosa. Non si può avere un’idea della difficoltà di scrivere sull’ovvio, su ciò che appartiene alla logica elementare. È un’operazione che mortifica, perché bisogna fingere di parlare ai bambini.
Se i Radicali non fossero convinti dell’equivalenza abortire-uccidere, non si comprenderebbe la scelta storica e sistematica di sostituire «ivg» ad «aborto». In “Libera di abortire”, al contrario, «IVG» è sporadico e si parla espressamente di sostegno al «libero accesso all’aborto», in quanto «diritto». Si parla, quasi sempre, di aborto e di abortire. Qualcosa non torna.
E continuerà a non tornare, perché questo tipo d’ideologia non si esprime per argomenti (pochi e stereotipati), ma per slogan: «lotta a corpo libero»; «fate i bravi, disobbedite»; «ho abortito e sto benissimo»; «mi hanno respinto in tre ospedali»; «in Italia una donna non è libera di abortire» e cose analoghe.
Consultando “Libera di abortire” s’incorre in un altro lemma, abbastanza centrale in questa come in ogni altra campagna ideologica e totalitaria: la parola «obbligo». I Radicali & Compagni vogliono chiedere al ministro della salute Roberto Speranza di rendere «obbligatori percorsi di preparazione, aggiornamento e informazione del personale sanitario coinvolto nelle pratiche di IVG» e garantita un’«adeguata formazione nelle scuole di specializzazione di ginecologia ed ostetricia».
Si chiede inoltre a Speranza di provvedere d’autorità (e quindi obbligatoriamente) affinché: le Regioni assumano medici non obiettori, nelle scuole siano inseriti progetti continuativi d’informazione sessuale, sia completamente accessibile ogni informazione attorno all’aborto (elenco strutture, indicatori, telemedicina, tracciamento dell’aborto clandestino, ecc…).
Si vuole, insomma, pretendere la libertà abolendo la libertà medesima dell’obiettore, che rifiuta di partecipare al «delitto abominevole» dell’aborto, secondo l’espressione del Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 51).
I Radicali hanno fretta e fanno pressione sul governo e sul ministro «perché si attivino urgentemente» nel merito delle loro proposte. Devono togliere il prima possibile la libertà agli obiettori di agire secondo coscienza, dopo decenni di battaglie radicali a favore della libertà di coscienza. È questa una modalità schizofrenica di procedere, un rovesciamento del diritto.
Si richiedono obblighi, doveri, vincoli e costrizioni affinché «ogni persona in Italia sia davvero libera di accedere pienamente al suo diritto di scelta». Agli abortisti dev’essere garantita libertà di scelta, sul male della morte, mentre agli obiettori dev’essere negata, sul bene della vita. È una pretesa risibile e inaccettabile, innanzi tutto per una questione di logica elementare.
Molta della patristica insegna l’equivalenza concettuale di «aborto» e «uccisione». C’è un principio comune, ad esempio, in Tertulliano, Didaché, Diogneto, Barnaba: «Non uccidere il bimbo con l’aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita».
L’aborto, poi, non è solo un «delitto», ovvero l’infrazione della legge, ma è pure «abominevole», nel senso di un’azione da respingere con forza e detestare. L’abominio, nella Rivelazione, esprime tutta la lontananza tra il santo e l’empio, tra la salvezza e la dannazione. Rende conto della distanza infinita tra naturale e soprannaturale: distanza che è percepita dall’uomo come “innaturale”, soprattutto quando è colpevolmente voluta.
L’abominio è il toevah ebraico, l’impurità come distanza totale, la profanazione idolatrica del sacro, la volontà empia di superare la natura mediante la contro-natura. Il toevah è precisamente l’immersione nella contro-natura al posto della sopra-natura.
Silvio Brachetta
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