martedì 6 agosto 2024

Gratta gratta, la Pav ritiene leciti eutanasia e suicidio assistito



La Pav di Paglia dà alle stampe il "Piccolo lessico del fine-vita" da cui emerge la sua linea di favore verso l’eutanasia e il suicidio assistito. Come? Legittimando le Dat e qualificando come giuridicamente legittima una condotta legata al suicidio assistito.

Una pubblicazione choc

Vita e bioetica 




La Pontificia Accademia per la Vita (Pav), presieduta da Mons. Vincenzo Paglia, ha di recente dato alle stampe un libretto dal titolo Piccolo lessico del fine-vita per i tipi della Libreria Editrice Vaticana. Si tratta di un selezionato glossario di termini attinenti al tema del fine vita. Si scorge qualche luce in questo libretto, ma le zone di oscurità sono assai più ampie. Non possiamo qui analizzare tutti gli snodi critici presenti nella pubblicazione della Pav e quindi ci soffermeremo solo su un punto, il punto più critico, che è il seguente: la Pav è a favore dell’eutanasia mascherandola da rifiuto di accanimento terapeutico (o rifiuto di ostinazione irragionevole nel curare) ed è a favore del suicidio assistito.

Partiamo dal primo corno del problema. Innanzitutto rileviamo che nel volumetto la denuncia dell’eutanasia è residuale, nonostante sia ormai un fenomeno sociale, invece l’insistenza sul tema dell’accanimento terapeutico è assolutamente preponderante. Ma entriamo nel merito. Si ritiene lecito rifiutare terapie salvavita appellandosi ad un principio oggettivo ed uno soggettivo. Il criterio oggettivo fa riferimento alla possibilità che i trattamenti di sostegno vitale possano configurare accanimento terapeutico. La Pav esplicita questa possibilità quando tratta delle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Il libretto indica sì alcune fragilità strutturali (ma non tutte) delle Dat – inattualità, incompetenza del dichiarante, genericità, difficoltà di interpretazione oggettiva – ma alla fine approva questo strumento, tanto che al termine del libretto propone anche un esempio di modulo Dat.

Non solo approva lo strumento – che in genere viene usato per scopi eutanasici e che quindi di massima non dovrebbe essere sponsorizzato – e i suoi corollari come la figura del fiduciario (altrettanto problematica per i rischi di manipolazione volontaria o involontaria del contenuto delle dichiarazioni), ma addirittura considera il suo contenuto come vincolante: «Il loro valore non può essere inteso in senso meramente orientativo» (p. 36). Inoltre richiama la legge 219/17 senza muovere ad essa alcuna critica, pur essendo una norma chiaramente pro-eutanasia (a margine: la PAV è organo della Chiesa universale quindi non si comprende il motivo per cui in tutto il volumetto si richiamino quasi esclusivamente normative italiane).

Ma arriviamo alla liceità di rifiutare trattamenti salvavita. Nel modulo Dat proposto dalla Pav, il dichiarante può avere la libertà di rifiutare «trasfusioni di sangue, antibiotici, trattamenti di sostegno vitale quali la ventilazione meccanica invasiva e non invasiva, la trachestomia, la emodialisi e [addirittura] la rianimazione cardio-polmonare» (p. 79). Si apre poi alla possibilità di rifiutare anche nutrizione e idratazione assistite (cfr. pp. 54 e 79). La Pav ritiene lecito interrompere queste terapie perché potrebbero configurare accanimento terapeutico. È vero che in rari casi ciascuno di questi trattamenti potrebbe risultare un trattamento inutile se non dannoso, ma sono appunto casi assolutamente residuali: lo stato di profonda cachessia che impedisce il nutrimento e l’idratazione; a fronte di una struttura polmonare assai compromessa risulta controproducente insufflare aria tramite ventilazione meccanica; lo sfondamento massivo della scatola cranica a seguito di incidente stradale rende inutile la rianimazione cardio-polmonare, etc...

Ma la Pav si guarda bene dallo specificare che sono casi rari e di esemplificare adeguatamente e fa intendere invece che anche i trattamenti di sostegno vitale possono essere rifiutati perché possono configurare comunemente accanimento terapeutico. Ecco dunque inserirli nelle Dat. Ma i trattamenti salvavita sono pressochè sempre efficaci proprio perché mantengono in vita il paziente. La prospettiva intorno alla quale si muove la Pav non è dunque quella centrata sulla dignità della persona, bensì sulla qualità della vita, tanto è vero che tra i criteri indicati per comprendere se un trattamento è proporzionato o meno vengono inseriti anche la qualità delle relazioni con terzi e gli oneri economici, che in astratto possono anche essere indici validi, ma solo in casi residuali così residuali che, anche in questo caso, è irragionevole esplicitarli nelle Dat.

La Pav è consapevole che per la casistica medica e soprattutto per la letteratura scientifica i trattamenti salvavita il più delle volte non configurano accanimento terapeutico. Ecco allora far ricorso al secondo criterio prima accennato, quello soggettivo, che è il criterio decisivo per aprire le porte all’eutanasia: se il paziente ritiene che un certo trattamento è sproporzionato allora configura certamente accanimento terapeutico, al di là delle evidenze scientifiche. E dunque si insiste sul fatto che «la decisione è del malato» (p. 25); che i trattamenti bisogna «calibrarli […] secondo criteri di […] effettiva corrispondenza alle richieste del paziente» (p. 48) e con «i suoi valori ed esigenze spirituali» (p. 58). E in modo più esplicito: «Anche qualora fossero appropriati clinicamente, i trattamenti potrebbero tuttavia risultare sproporzionati, qualora la persona malata li ritenesse troppo gravosi nelle circostanze in cui si trova. Non intraprendere o sospendere quei trattamenti è, a questo punto, non solo possibile, ma, come dice Papa Francesco “doveroso”» (p. 64). Quindi sul dato oggettivo deve prevalere quello soggettivo.

Poi, relativamente a nutrizione e idratazione assistite, si richiama un particolare passaggio di una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2007 la quale considerava sproporzionati questi mezzi di sostentamento vitale allorchè si riscontrassero una «eccessiva gravosità [e un] rilevante disagio legato per esempio a complicanze nell’uso di ausili strumentali». Dunque casi rari. La Pav si guarda bene dal citare il resto del documento il quale richiama diversi pronunciamenti magisteriali che insistevano sul fatto che nutrizione e idratazione sono pressochè sempre mezzi proporzionati. Nulla di tutto questo. Per la Pav nutrizione e idratazione diventano accanimento terapeutico semplicemente quando si verifica un mero «disagio fisico del paziente» (p. 56), proprio perché spetta a lui la parola finale.

E quindi, dopo aver indicato il criterio che fa riferimento alla letteratura scientifica e all’esperienza del personale medico, si indica «anche un secondo ordine di fattori, che riguarda l’onerosità e la sostenibilità per il paziente degli interventi indicati. Ora, solo la persona malata può stimare le forze fisiche e psichiche di cui ritiene di disporre, anche sulla base dei propri valori di riferimento. […] A lui spetta la parola decisiva su ciò che concerne la propria salute e gli interventi medici sul proprio corpo» (pp. 63-64). Il testo a questo punto richiama il Catechismo che così recita: «Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente» (n. 2278). Il riferimento al Catechismo è un autogol perché solo le volontà ragionevoli e gli interessi legittimi, ossia secondo giustizia, del paziente possono essere assecondati, non le volontà irragionevoli come ad esempio la volontà di morire rifiutando alcuni trattamenti. Certo che è doveroso ascoltare il paziente per capire se alcune terapie sono sopportabili e quanto siano efficaci, ma l’ultima parola spetta al criterio di oggettiva beneficialità dei trattamenti, non a quello soggettivo incardinato nel parere assoluto del paziente.

Infine la Pav è favorevole alla legittimazione del suicidio assistito. Infatti leggiamo a proposito dell’aiuto al suicidio: «È esaminando questi rapporti [tra dimensione etica e soluzioni legislative] che possono emergere ragioni per interrogarsi se, in determinate circostanze, possano ammettersi mediazioni sul piano giuridico in una società pluralista e democratica. […] Contribuire ad individuare un punto di mediazione accettabile fra posizioni differenti è un modo per favorire il consolidamento della coesione sociale e una più ampia assunzione di responsabilità verso quei punti comuni che sono stati insieme raggiunti» (p. 70). L’idea di legittimare il suicidio assistito era stata già ventilata da Paglia nell’aprile del 2023. Ora qualificare come giuridicamente legittima una condotta significa sul piano morale considerarla come giusta. Dunque la Pav considera moralmente lecito il suicidio. Ma il suicidio è invece un’azione intrinsecamente malvagia e come tale non può ricevere nessuna legittimazione giuridica.







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