sabato 10 agosto 2024

Eutanasia e suicidio assistito, la toppa di Paglia è peggio del buco



Dopo le critiche ricevute per il Piccolo lessico del fine-vita, mons. Vincenzo Paglia rilascia tre interviste in cui conferma gli errori dell’opuscolo della Pav. Il suo rifiuto di eutanasia e suicidio assistito è solo formale, mentre nella sostanza la sua posizione contraddice la dottrina della Chiesa. Lo specchietto per le allodole dell'accanimento terapeutico.


Allergia alla dottrina

Vita e bioetica



Qualche giorno fa abbiamo commentato criticamente il Piccolo lessico del fine-vita, redatto dalla Pontificia Accademia per la Vita (Pav). Le critiche, nostre e di altri, devono essere arrivate alle orecchie di mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pav. Ecco allora rilasciare tre interviste – una a Vatican News, una seconda a La Stampa e una terza a La Nazione – per tentare di far quadrare il cerchio, ossia per ribadire da una parte la propria contrarietà a eutanasia e suicidio assistito e nello stesso tempo per difendere il contenuto del Lessico che apre chiaramente a eutanasia e suicidio assistito. Insomma un rifiuto di queste due pratiche che è solo formale, di bandiera, ma non sostanziale.

Nelle tre interviste Paglia ritorna su alcuni errori presenti nel libretto rendendoli, se possibile, più marcati. In merito a idratazione e nutrizione assistite, articola una riflessione che è la medesima presente nel Lessico: questi due mezzi di sostentamento vitale possono configurare accanimento terapeutico. Come abbiamo già spiegato nel precedente articolo, ciò è vero in rarissimi casi. Nella stragrande maggioranza dei casi è vero l’opposto. Ma Paglia non lo dice. Invece, nelle interviste, insiste nel sottolineare come sia prioritario rifiutare qualsiasi forma di accanimento terapeutico. Ciò è assai condivisibile, ma ci sono due problemi. Il primo sta nel fatto che la Pav maschera l’eutanasia da rifiuto dell’accanimento terapeutico, soprattutto nel momento in cui fa decidere al solo paziente quando un trattamento è proporzionato o sproporzionato. Il secondo problema sta nel fatto che il fenomeno preoccupante nei Paesi occidentali non è l’accanimento terapeutico, bensì l’eutanasia. Su quest’ultima sia il libretto che le parole di Paglia nelle interviste dicono poco, ricorrendo alla sempre medesima risposta pro-forma, tanto per salvare le apparenze, volta a condannare eutanasia e suicidio assistito. Il vero male da combattere perché dilagante pare che sia l’ostinazione irragionevole nel curare.

Salvatore Cernuzio, poi, su Vatican News, invita mons. Paglia ad addentrarsi nelle sabbie mobili del rapporto tra morale e diritto, allorché gli ricorda che nel Lessico si parla di «mediazioni sul piano legislativo». La sua risposta: «Non ci sono “mediazioni accettabili” a priori. Certo sui temi fondamentali e delicatissimi del fine-vita è auspicabile che si raggiunga il più alto consenso comune possibile, e quindi che tiene conto in modo rispettoso delle diverse sensibilità e credi religiosi. È il compito della politica. La Chiesa può collaborare, in vista del bene comune di tutta una società. A lei spetta la formazione delle coscienze, più che l’elaborazione delle leggi» (a margine: alla Chiesa, fatta eccezione per il suo ordinamento giuridico, non spetta per nulla l’elaborazione delle leggi). Su La Stampa la risposta è sostanzialmente identica: «Sono temi complessi e raggiungere un consenso universale è davvero arduo, se non quasi impossibile. Il legislatore deve rendersi conto delle differenti posizioni e sensibilità e trovare un’armonia possibile. […] Individuiamo uno spazio perché il legislatore possa fare le scelte migliori ma non da solo. In dialogo con le diverse sensibilità, culture, religioni».

Qualche riflessione. La prima: per Paglia l’espressione “a priori” significa “in astratto”. Dunque le mediazioni giuridiche su queste tematiche sensibili sono vietate in astratto, ma nel concreto – ossia a posteriori – sono lecite perché inevitabili, dato che viviamo in una società pluralista (per niente vero, dato che domina il pensiero unico, ma questo è un altro discorso). Ecco allora che dal punto di vista metodologico occorre far riferimento ad un principio cardine: la democrazia. La verità viene messa ai voti. Dunque, il punto di arrivo è un consenso il più ampio possibile. Ma così facendo si è perso per strada l’oggetto del consenso, che è il quid che sta a cuore alla Chiesa. Se si trovasse un consenso quasi unanime – sia in Parlamento che nelle piazze – su una norma che legittimasse l’eutanasia, secondo Paglia si incasserebbe un ottimo risultato. L’importante è il consenso, non il contenuto su cui verte il consenso. Tanto è vero che in una terza intervista, rilasciata alla Nazione, Paglia pare assecondare la depenalizzazione/legittimazione dell’aiuto al suicidio operata dalla Corte costituzionale nel 2019 perché vi «sono situazioni estreme. Ma ci sono».

La dottrina della Chiesa, invece, dice altro sul rapporto tra mala in se – ed eutanasia e suicidio assistito sono mala in se – e diritto. Nessuna mediazione giuridica né a priori né a posteriori è tollerabile su questi temi; nessuna legge ingiusta, seppur frutto di ampio consenso, è da appoggiare in alcun modo. Spiega l’Evangelium vitae di san Giovanni Paolo II: «Le leggi che, con l'aborto e l'eutanasia, legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini. […]. Le leggi che autorizzano e favoriscono l'aborto e l'eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. […] L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. […] Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, “né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto”» (nn. 72-73). E in merito al tema del consenso: «Forse che questi crimini [contro la vita] cesserebbero di essere tali se, invece di essere commessi da tiranni senza scrupoli, fossero legittimati dal consenso popolare? […] Il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove» (n. 70). Altro che mediazione alla Paglia e ampio consenso, la dottrina cattolica ci comanda di rifiutare in radice norme che legittimano l’eutanasia e il suicidio assistito, anche se approvate da tutti.

Ma proseguiamo. Dopo aver rivelato a La Stampa che «non c’è niente di etico “a priori”. Solo la difesa della vita è un “a priori”» negando così che ci sono altri “a priori” quali la procreazione, la proprietà, la libertà, la verità, etc. ossia i principi non negoziabili, mons. Paglia individua il fondamento morale e cristiano su cui dovrebbe poggiarsi una legislazione a tutela della vita nella relazione. «La vicinanza, la prossimità, il tenersi per mano». E ancora: «“La vita è mia” si dice. Il Lessico racconta un’altra prospettiva, riflette sulle relazioni che danno significato alla vita. […] Fin dall’inizio siamo legati gli uni agli altri». Insomma non si dovrebbe ammazzare Tizio a motivo delle relazioni che andrebbero in frantumi con il suo assassinio. Il riferimento alle relazioni è sicuramente positivo, ma non è il motivo fondante il divieto di eutanasia e suicidio. Il motivo decisivo è il rispetto della dignità della persona. La sua intima preziosità esige che non venga uccisa direttamente, se persona innocente. A seguir Paglia, invece, il naufrago sull’isola deserta potrebbe lecitamente togliersi la vita.

Attenzione dunque ai passaggi del pensiero di Paglia: il fondamento morale di una legge giusta è la relazione; questa idea cattolica viene presentata alla discussione democratica e alla fine avremo una legge sul fine vita, frutto del consenso più ampio, e questo sarà il maggior bene possibile anche se legittimerà l’eutanasia. C’è poi da aggiungere che lo slogan “La vita è mia”, giustamente criticato da Paglia, è in realtà uno dei criteri ritenuti validi dal Lessico quando afferma che è il paziente l’ultimo e il più autorevole soggetto a decidere della propria vita o morte.

Infine un’ultima pagliuzza, per così dire: «Nella ricerca di mediazioni giuridiche – afferma mons. Paglia replicando letteralmente il contenuto di un passaggio del Lessico – il contributo dei credenti si realizza all’interno delle differenti culture: non sopra – come se essi possedessero una verità data a priori – né sotto – come se fossero portatori di un’opinione senza impegno di testimonianza della giustizia». Abbiamo quindi capito che l’apriorismo è il vero nemico di Paglia, ossia i principi, la dottrina, i dogmi, tutte cose per lui sganciate dalla realtà, non concrete, lontane dal contingente: la verità invece è particolare, mai universale, speciale, mai generale. Dunque anche il cattolico, ci dice Paglia, non è portatore di una verità affidatagli da Dio – il grande A Priori dell’universo – bensì di una verità dissotterrata dai recessi della Storia – il vero A Posteriori a cui prestare culto. Niente Rivelazione, ma solo riproduzione (del pensiero corrente).








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