mercoledì 28 agosto 2024

Per volersi bene c’è bisogno di credere


(Wikipedia) San Paolo, Icona di Andrej Rublev


Parlando al Giffoni Festival nel luglio scorso, il cardinale Matteo Zuppi ha detto che “il punto è volersi bene”: «Credo che questo dovremmo impararlo tutti, che può esistere un legame senza che necessariamente ci sia un risvolto giuridico. Il punto è volersi bene». Alla domanda «Per volersi bene, c’è bisogno di credere? No – risponde il cardinale –. C’è tanta gente che dà forme di altruismo e attenzione al prossimo, forme di generosità, senza credere». E aggiunge: «Aiuta credere? Sì. Ti aiuta a non usare gli altri, a volergli bene per davvero, ma le religioni non hanno l’esclusiva del voler bene». Sulla questione pubblichiamo questo articolo di Andrea Mondinelli.





Di Andrea Mondinelli, 28 Ago 2024

Amare il prossimo come se stessi apre una serie di stimolanti riflessioni. Cosa significa amare, se non volere il bene della persona amata? L’amore verso noi stessi significa volere il bene per noi, anzi, di più, volere il massimo bene. Amare se stessi, pertanto, significa l’unione con Dio, che è la Bontà stessa. A questo punto, dobbiamo amare il prossimo nello stesso modo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34).

Come ci ha amato Nostro Signore Gesù Cristo? Con il suo Sacrificio in croce: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,12-13). Nel versetto seguente, Gesù spiega anche come essere suoi amici: «Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando».

È evidente che l’amore verso il prossimo non è un optional e che tale amore va oltre quello semplicemente umano: con il «Come io vi ho amati» ci viene esplicitamente richiesto un amore verso gli altri non solo umano, ma divino. Come è possibile, visto che siamo delle semplici creature? Non c’è che un solo modo ed è quello della cristificazione, dobbiamo essere da Lui assimilati. Questo è esattamente il frutto della comunione eucaristica ricevuta con le giuste disposizioni. Ricordiamoci sempre che il sacramento della comunione è a sua volta il frutto di quell’Albero della vita, che è la Santa Croce del Calvario, nel sacrificio che si rinnova ad ogni Santa Messa.

L’amore tra Cristo, che è il capo, e la Chiesa, che è il suo corpo mistico, rappresenta il vero amore verso se stessi. Questo ci è manifestato nel sacramento del matrimonio, segno dell’amore tra Cristo e la Chiesa sua sposa, sacramento che San Paolo definisce grande mistero. Anche qui è presente l’amore verso se stessi, perché gli sposi sono una carne sola. Per questo il santo sacrificio della Messa è assolutamente indispensabile alla vita matrimoniale cristiana, poiché ne è la fonte.

Non c’è alcun dubbio che l’amore a cui ci chiama Nostro Signore Gesù Cristo è quello della Carità, la più grande delle virtù teologali. Quella virtù che è sempre uguale sia in questa vita terrena sia nella vita eterna, uguale sia di qua che di là come spesso ripete padre Barzaghi. Dio si serve anche di noi per amare le creature fatte a Sua immagine e somiglianza, facendoci così partecipi della sua gioia come bene evidenziato da Santa Teresina del bambin Gesù[1].

Alcune considerazioni sintetiche. La carità che esercitiamo verso il prossimo scaturisce da quella divina, perciò è di natura uguale. Pertanto, non si può amare il prossimo senza amare Dio e non si può amare Dio senza amare il prossimo: il nostro amore verso il prossimo è la cartina di tornasole di quello verso di Dio.

Inseriti in questo fuoco dell’amore divino, ci si rende conto immediatamente che non è cosa nostra. San Paolo lo dice apertis verbis: «Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti, io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio»[2]. È proprio questo che rende necessaria la cristificazione: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me»[3]. L’esercizio della virtù a questi gradi eroici appartiene ai santi, che percepivano l’infinita distanza tra la creatura ed il Creatore[4], ma che inseriti nel fuoco divino letteralmente s’infiammavano, due esempi per tutti: San Filippo Neri[5] e Santa Veronica Giuliani[6].

Eppure, anche noi siamo chiamati dal Signore a percorrere la stessa strada. Penso che un buon esercizio da compiere per riuscire ad amare il prossimo sia quello di ricordarsi di una fiaba molto amata da G.K. Chesterton: «In La Bella e la Bestia c’è una grande lezione: una cosa deve essere amata prima di essere amabile»[7]. Nostro Signore Gesù Cristo ci ha amato proprio così, ben prima che fossimo anche lontanamente amabili, quando eravamo schiavi del peccato e quando ancora ci cadiamo. Pertanto, nelle persone che ci appaiono disprezzabili e non degne di amore dobbiamo semplicemente vedere il riflesso di noi stessi: anche questo amore verso di loro significa amare noi stessi.

Che succede se siamo in stato di peccato mortale, quindi privi della grazia santificante? Siamo ancora capaci di tale amore? No, in quanto siamo tralci staccati dalla Vite e come tali incapaci di quell’amore verso il prossimo richiesto da Nostro Signore; in tale stato tutti i nostri atti sono solamente umani e non ci procurano merito agli occhi di Dio nel giorno del Giudizio. Tuttavia, la misericordia di Dio è talmente grande che seppure in stato di peccato mortale perdiamo i meriti acquisiti quando eravamo in grazia di Dio, una volta confessati, li riacquisiamo.

Oggi la grave crisi di fede è sotto i nostri occhi, ma se la fede diminuisce allora la Carità si raffredda[8] e viene sostituita da una che è falsa, priva di verità e sganciata dalla fede, così bene compendiata dalla frase “l’importante è volersi bene”[9]. Un amore non conforme ai comandamenti Dio è un allontanarsi da Lui ed è un rapportarsi disordinato nei confronti delle creature[10]. In altre parole, è il peccato che determina la perdita della presenza di Dio nell’anima. A pensarci bene, come definire il significato di volersi bene senza alcun riferimento a Dio? Qual sarebbe il metro di giudizio se non il nostro così gravemente insufficiente?

La lettura per la meditazione non può essere che la prima lettera di San Paolo ai Corinzi 13, 1-13 nota anche come Inno alla Carità.





[1] «Quando il Signore aveva comandato al suo popolo di amare il prossimo come se stesso, Egli non era ancora sceso sulla terra, perciò sapendo bene fino a che punto si ami la propria persona, non poteva chiedere alle sue creature un amore più grande per il prossimo. Ma quando Gesù diede ai suoi apostoli un comandamento nuovo, il suo comandamento, non parla più di amare il prossimo come se stesso ma di amarlo come Lui, Gesù, lo ha amato, come Lui lo amerà fino alla consumazione dei secoli…
Ah! signore, so che tu non comandi niente di impossibile, conosci meglio di me la mia debolezza, la mia imperfezione, sai bene che mai potrei amare le sorelle come le ami tu, se tu stesso o mio Gesù, non le amassi in me ». (Ms C, 290) https://www.carmeloveneto.it/joomla/mostra-della-misericordia/294-4-teresa-e-le-opere-di-misericordia

[2] Rm 7,18-19

[3] Gal 2. 16-20

[4] Raccontava dunque la santa vergine Caterina da Siena ai suoi confessori, tra i quali, senza merito, sono stato anch’io, che all’inizio delle visioni di Dio, cioè quando il Signore Gesù Cristo cominciò ad apparirle, una volta, mentre pregava, le comparve davanti e le disse: «Sai, figliola, chi sei tu e chi sono io? Se saprai queste due cose, sarai beata. Tu sei quella che non è; io, invece, Colui che sono. Se avrai nell’anima tua tale cognizione, il nemico non potrà ingannarti e sfuggirai da tutte le sue insidie; non acconsentirai mai ad alcuna cosa contraria ai miei comandamenti, e acquisterai senza difficoltà ogni grazia, ogni verità e ogni lume». dalla Legenda Maior di Santa Caterina da Siena, scritta dal beato Raimondo da Capua, Cantagalli, Siena, 1994, pp. 97-106 https://www.gliscritti.it/antologia/entry/741

[5] Celebre è l’episodio miracoloso che avvenne la vigilia di Pentecoste del 1544: mentre era intento nella preghiera, lo Spirito Santo come globo di fuoco gli penetrò nel petto, allargandogli il cuore. Dai suoi occhi e dal suo volto, specialmente nel fervore della preghiera, si vedeva trasparire il riflesso di quella fiamma d’amore che lo consumava interiormente. https://lanuovabq.it/it/san-filippo-neri-1-1-1#:~:text=Nel%20giorno%20di%20Pentecoste%20del,persone%20che%20testimonieranno%20di%20aver

[6] A volte Santa Veronica nel suo petto custodisce letteralmente due cuori: il suo e quello di Gesù. Il primo batte normalmente, il secondo le solleva le costole, tanto che in convento le consorelle, anche da lontano, ne sentono il battito. Vedono Veronica bruciare per l’effetto del fuoco di questo “secondo cuore” e per refrigerio corrono ad immergerle le mani nell’acqua, che inizia subito a bollire https://www.comunitasanluigiguanella.it/santa-veronica-giuliani-il-risveglio-di-un-gigante/. Quale esempio più efficace dell’anima capax Dei!

[7] Chesterton, L’etica del paese delle fate (Ortodossia, 1908)

[8] «Per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti» (Mt 24,12).

[9] Per volersi bene, c’è bisogno di credere? «No – risponde il cardinale –. C’è tanta gente che dà forme di altruismo e attenzione al prossimo, forme di generosità, senza credere». E aggiunge: «Aiuta credere? Sì. Ti aiuta a non usare gli altri, a volergli bene per davvero, ma le religioni non hanno l’esclusiva del voler bene». https://lanuovabq.it/it/zuppi-il-cardinale-queer

[10] “Aversio a Deo et conversio ad creaturas”, Sant’Agostino De Civitate Dei, 12, 6








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