Da un lato c'è "Mario" che ha ottenuto l'ok al "farmaco" letale che lo ucciderà «nel modo più dignitoso possibile»; dall'altro i genitori ai quali è stata sospesa la potestà genitoriale per una richiesta di trasfusione "no vax". Di qua una Corte che tutela la libertà individuale fino a permettere il suicidio; di là i tribunali che negano la libertà di cura dei genitori. Schizofrenia di Stato in cui la libertà viene tutelata o negata se in accordo o in disaccordo col principio di volta in volta sposato dall’ordinamento giuridico.
Due storie di sanità pubblica. La prima, a dire la verità, c’entra poco con la sanità dato che riguarda la volontà di far morire una persona. Si tratta di Mario, nome di fantasia, 43enne che, a seguito di un incidente stradale, da più di dieci anni è tetraplegico (ne abbiamo parlato in più occasioni: clicca qui, qui e qui).
Mario, sostenuto dalla sempre presente associazione radicale Luca Coscioni, ha chiesto e infine ottenuto il suicidio assistito, così come previsto dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale (clicca qui per un approfondimento). Gli ultimi tasselli che mancavano, dopo alcune giuste resistenze del Comitato etico e dell’Asur (Azienda Sanitaria Unica Regionale) delle Marche, erano il tipo di farmaco da usare e le modalità di autosomministrazione. La Commissione medica ha individuato come preparato «idoneo a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile» il tiopentone sodico, lo stesso che in molti paesi viene usato per la pena di morte. E ciò si commenta da sé. Invece “la modalità di somministrazione è quella dell'auto-somministrazione mediante infusione endovenosa".
Passiamo alla seconda storia. È su tutti i giornali la vicenda di quella coppia di genitori emiliani che si rifiuterebbero di far operare al cuore il figlio di 5 anni perché contrari a trasfusioni di sangue proveniente da persone vaccinate covid. Le cose non stanno proprio così. A dircelo è la testimonianza dello stesso padre che ha rilasciato un’intervista al quotidiano La Verità.
In primo luogo, il padre tiene a precisare che non si sono mai opposti all’intervento. Sia lui che la moglie hanno prestato il consenso all’intervento e anche alla trasfusione. Hanno solamente chiesto al Sant’Orsola Malpighi di Bologna che per le trasfusioni si usasse sangue proveniente da donatori non vaccinati. L’ospedale si è sempre rifiutato di acconsentire a tale richiesta. Il genitore del piccolo spiega i motivi di questa loro scelta. Innanzitutto, i genitori hanno appreso da due specialisti, un ematologo e un cardiologo, che questo tipo di sangue, limitatamente al caso del figlio, poteva provocare problemi cardiocircolatori seppur remoti. Ma vi è un secondo motivo di carattere religioso: i vaccini utilizzati in Italia sono stati prodotti usando linee cellulari provenienti da feti abortiti.
I genitori avevano anche trovato dei donatori non vaccinati che – a quanto pare nel rispetto delle procedure per la donazione del sangue (anonimato, iscrizione nei registri, etc.) – potevano essere compatibili. Anche in questo caso l’ospedale ha rifiutato la proposta, però ha consigliato loro di sentire un’altra struttura ospedaliera. I due genitori hanno così bussato alla porta di un ospedale di un’altra provincia emiliana e hanno trovato un chirurgo che ha acconsentito alle loro richieste. Solo che non poteva eseguire l’operazione perché sprovvisto dell’equipe medica necessaria.
Nel frattempo, però il servizio trasfusionale provinciale li avvertiva che aveva trovato le sacche di sangue provenienti da soggetti non vaccinati e che avrebbe avvisato di questo anche il Sant’Orsola. Ma anche in questo caso l’ospedale bolognese non ha acconsentito alla richiesta.
A questo punto entrano in scena i tribunali. Come previsto dalla legge 219/17 quando c’è dissenso tra rappresentati legali (i genitori) e medici, l’ospedale può ricorrere al giudice tutelare. Cosa che è avvenuta: il tribunale ha ordinato che l’intervento avverrà usando le sacche di sangue scelte dall’ospedale. Ma non solo il giudice tutelare è intervenuto, ma anche quello dei minori che ha sospeso – per il tempo dell’intervento – la potestà genitoriale nominando tutore il servizio sociale territorialmente competente. Una nota a margine su questo punto: la legge 219, la stessa che ha permesso al Sant’Orsola di ricorrere al giudice, consente ai genitori di rifiutare trattamenti salvavita per i loro figli portandoli così alla morte.
Ad esempio, sono purtroppo di ordinaria amministrazione i casi in cui i medici sconsigliano ai genitori di continuare a curare neonati pretermine con gravi patologie ma che potrebbero sopravvivere. Ci domandiamo quanti giudici, avuto notizia di ciò, priverebbero della potestà genitoriale papà e mamma al fine di obbligare gli ospedali a curare i loro figli.
Torniamo al piccolo paziente bolognese. In punta di diritto e limitatamente ai fatti da noi noti, la decisione dei due giudici di cui sopra non è condivisibile dato che il sangue con le caratteristiche volute dai genitori si era trovato e quindi l’operazione si sarebbe potuta fare.
Insomma, i genitori avevano trovato una soluzione che avrebbe messo tutti d’accordo, al di là del fatto che si fosse appurato che il sangue di donatori vaccinati avrebbe potuto provocare o meno dei danni al paziente. È bene ricordare che, se da una parte i genitori non possono di certo imporre una terapia ai medici, su altro versante è altrettanto indubitabile che è loro facoltà trovare soluzioni alternative. Solo laddove i genitori, con le loro scelte, attentassero alla salute o alla vita del figlio sarebbe giustificabile la sospensione della potestà genitoriale. Nel caso presente questa eventualità pare proprio non essersi verificata e così la decisione dei giudici appare inficiata da un atteggiamento pregiudiziale che riguarderebbe gli orientamenti valoriali dei due genitori.
Sul versante morale, poi, la scelta di questi ultimi non è censurabile. Lo sarebbe stato se il tempo impiegato per trovare una soluzione a loro congeniale avesse esposto il figlio ad un rischio maggiore di quello che avrebbe potuto provocare la trasfusione di sangue di persona vaccinata: il gioco non sarebbe valso la candela.
In merito alla questione dell’uso di sangue proveniente da persona che si è fatta inoculare un vaccino messo a punto grazie a linee cellulari proveniente da feti abortiti, ha detto bene il padre: “Se nostro figlio dovesse essere operato in condizioni di urgenza estrema non avremmo alcuno tipo di problema a cambiare idea. Il diritto alla vita di nostro figlio è più importante della nostra scelta”.
Ciò a voler dire che se hai la possibilità di usare sangue proveniente da persone non vaccinate senza grave incomodo opta pure per questa soluzione, ma se non hai questa possibilità perché ad esempio l’intervento è urgente (stato di necessità) allora devi – è un dovere non una possibilità – usare il sangue proveniente da persone vaccinate. Infatti sarebbe infintamente più grave collaborare alla morte del proprio figlio – collaborazione materiale al male assai prossima – che collaborare alla pratica abortiva perché si è usato del sangue di persona vaccinata – collaborazione materiale al male assai remota (si usa del sangue di una persona a cui è stato inoculato un vaccino che a sua volta è stato prodotto con l’uso di linee cellulari embrionali a loro volta replicate più e più volte da un aborto e tutto questo dovrebbe incentivare una mentalità abortista e la reificazione del feto in sede di ricerca qualora ci fossero altri vaccini o altri farmaci prodotti da linee cellulari di feti abortiti).
In altri termini il danno provocato da simile omissione sarebbe enormemente maggiore dei danni provocati usando del sangue di persone vaccinate. La saggia risposta del padre mette ben evidenza che il rifiuto della vaccinazione non deve diventare un dogma perché la vaccinazione anti-covid non è un mala in se, un assoluto morale.
Perché abbiamo raccontato in modo congiunto la vicenda dell’aspirante suicida Mario e dei genitori del piccolo paziente bolognese, attualmente genitori tra parentesi? Perché l’accostamento delle due storie produce un apparente paradosso. Da una parte abbiamo una Corte costituzionale che tutela la libertà individuale fino al punto da permettere il suicidio, che è l’antitesi del dovere di cura del paziente.
Su altro fronte abbiamo invece dei tribunali che negano la libertà di cura in capo ai genitori. Come risolvere l’apparente contraddizione? La libertà viene tutelata o negata se in accordo o in disaccordo con il principio che di volta in volta è sposato dall’ordinamento giuridico o dal singolo giudice.
L’eutanasia è principio ormai di casa nel nostro ordinamento giuridico e quindi tutte quelle scelte che abbracciano questo stesso principio devono essere incoraggiate e quelle di segno contrario – vedi l’obiezione di coscienza dei medici – devono essere osteggiate. Parimenti il vaccino è percepito nella coscienza collettiva – giudici compresi – unicamente come un qualcosa di miracoloso, un Moloch intoccabile, la cui efficacia in tutti i possibili casi non deve essere sottoposta a critiche e riserve. E allora, come per il caso dell’eutanasia, tutte le scelte favorevoli alla vaccinazione, anche alla vaccinazione indiscriminata, devono essere promosse e quelle a lei contrarie – anche quelle remotamente contrarie come la scelta dei due genitori del bolognese – devono essere combattute, eradicate sin dal loro sorgere.
Mario, sostenuto dalla sempre presente associazione radicale Luca Coscioni, ha chiesto e infine ottenuto il suicidio assistito, così come previsto dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale (clicca qui per un approfondimento). Gli ultimi tasselli che mancavano, dopo alcune giuste resistenze del Comitato etico e dell’Asur (Azienda Sanitaria Unica Regionale) delle Marche, erano il tipo di farmaco da usare e le modalità di autosomministrazione. La Commissione medica ha individuato come preparato «idoneo a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile» il tiopentone sodico, lo stesso che in molti paesi viene usato per la pena di morte. E ciò si commenta da sé. Invece “la modalità di somministrazione è quella dell'auto-somministrazione mediante infusione endovenosa".
Passiamo alla seconda storia. È su tutti i giornali la vicenda di quella coppia di genitori emiliani che si rifiuterebbero di far operare al cuore il figlio di 5 anni perché contrari a trasfusioni di sangue proveniente da persone vaccinate covid. Le cose non stanno proprio così. A dircelo è la testimonianza dello stesso padre che ha rilasciato un’intervista al quotidiano La Verità.
In primo luogo, il padre tiene a precisare che non si sono mai opposti all’intervento. Sia lui che la moglie hanno prestato il consenso all’intervento e anche alla trasfusione. Hanno solamente chiesto al Sant’Orsola Malpighi di Bologna che per le trasfusioni si usasse sangue proveniente da donatori non vaccinati. L’ospedale si è sempre rifiutato di acconsentire a tale richiesta. Il genitore del piccolo spiega i motivi di questa loro scelta. Innanzitutto, i genitori hanno appreso da due specialisti, un ematologo e un cardiologo, che questo tipo di sangue, limitatamente al caso del figlio, poteva provocare problemi cardiocircolatori seppur remoti. Ma vi è un secondo motivo di carattere religioso: i vaccini utilizzati in Italia sono stati prodotti usando linee cellulari provenienti da feti abortiti.
I genitori avevano anche trovato dei donatori non vaccinati che – a quanto pare nel rispetto delle procedure per la donazione del sangue (anonimato, iscrizione nei registri, etc.) – potevano essere compatibili. Anche in questo caso l’ospedale ha rifiutato la proposta, però ha consigliato loro di sentire un’altra struttura ospedaliera. I due genitori hanno così bussato alla porta di un ospedale di un’altra provincia emiliana e hanno trovato un chirurgo che ha acconsentito alle loro richieste. Solo che non poteva eseguire l’operazione perché sprovvisto dell’equipe medica necessaria.
Nel frattempo, però il servizio trasfusionale provinciale li avvertiva che aveva trovato le sacche di sangue provenienti da soggetti non vaccinati e che avrebbe avvisato di questo anche il Sant’Orsola. Ma anche in questo caso l’ospedale bolognese non ha acconsentito alla richiesta.
A questo punto entrano in scena i tribunali. Come previsto dalla legge 219/17 quando c’è dissenso tra rappresentati legali (i genitori) e medici, l’ospedale può ricorrere al giudice tutelare. Cosa che è avvenuta: il tribunale ha ordinato che l’intervento avverrà usando le sacche di sangue scelte dall’ospedale. Ma non solo il giudice tutelare è intervenuto, ma anche quello dei minori che ha sospeso – per il tempo dell’intervento – la potestà genitoriale nominando tutore il servizio sociale territorialmente competente. Una nota a margine su questo punto: la legge 219, la stessa che ha permesso al Sant’Orsola di ricorrere al giudice, consente ai genitori di rifiutare trattamenti salvavita per i loro figli portandoli così alla morte.
Ad esempio, sono purtroppo di ordinaria amministrazione i casi in cui i medici sconsigliano ai genitori di continuare a curare neonati pretermine con gravi patologie ma che potrebbero sopravvivere. Ci domandiamo quanti giudici, avuto notizia di ciò, priverebbero della potestà genitoriale papà e mamma al fine di obbligare gli ospedali a curare i loro figli.
Torniamo al piccolo paziente bolognese. In punta di diritto e limitatamente ai fatti da noi noti, la decisione dei due giudici di cui sopra non è condivisibile dato che il sangue con le caratteristiche volute dai genitori si era trovato e quindi l’operazione si sarebbe potuta fare.
Insomma, i genitori avevano trovato una soluzione che avrebbe messo tutti d’accordo, al di là del fatto che si fosse appurato che il sangue di donatori vaccinati avrebbe potuto provocare o meno dei danni al paziente. È bene ricordare che, se da una parte i genitori non possono di certo imporre una terapia ai medici, su altro versante è altrettanto indubitabile che è loro facoltà trovare soluzioni alternative. Solo laddove i genitori, con le loro scelte, attentassero alla salute o alla vita del figlio sarebbe giustificabile la sospensione della potestà genitoriale. Nel caso presente questa eventualità pare proprio non essersi verificata e così la decisione dei giudici appare inficiata da un atteggiamento pregiudiziale che riguarderebbe gli orientamenti valoriali dei due genitori.
Sul versante morale, poi, la scelta di questi ultimi non è censurabile. Lo sarebbe stato se il tempo impiegato per trovare una soluzione a loro congeniale avesse esposto il figlio ad un rischio maggiore di quello che avrebbe potuto provocare la trasfusione di sangue di persona vaccinata: il gioco non sarebbe valso la candela.
In merito alla questione dell’uso di sangue proveniente da persona che si è fatta inoculare un vaccino messo a punto grazie a linee cellulari proveniente da feti abortiti, ha detto bene il padre: “Se nostro figlio dovesse essere operato in condizioni di urgenza estrema non avremmo alcuno tipo di problema a cambiare idea. Il diritto alla vita di nostro figlio è più importante della nostra scelta”.
Ciò a voler dire che se hai la possibilità di usare sangue proveniente da persone non vaccinate senza grave incomodo opta pure per questa soluzione, ma se non hai questa possibilità perché ad esempio l’intervento è urgente (stato di necessità) allora devi – è un dovere non una possibilità – usare il sangue proveniente da persone vaccinate. Infatti sarebbe infintamente più grave collaborare alla morte del proprio figlio – collaborazione materiale al male assai prossima – che collaborare alla pratica abortiva perché si è usato del sangue di persona vaccinata – collaborazione materiale al male assai remota (si usa del sangue di una persona a cui è stato inoculato un vaccino che a sua volta è stato prodotto con l’uso di linee cellulari embrionali a loro volta replicate più e più volte da un aborto e tutto questo dovrebbe incentivare una mentalità abortista e la reificazione del feto in sede di ricerca qualora ci fossero altri vaccini o altri farmaci prodotti da linee cellulari di feti abortiti).
In altri termini il danno provocato da simile omissione sarebbe enormemente maggiore dei danni provocati usando del sangue di persone vaccinate. La saggia risposta del padre mette ben evidenza che il rifiuto della vaccinazione non deve diventare un dogma perché la vaccinazione anti-covid non è un mala in se, un assoluto morale.
Perché abbiamo raccontato in modo congiunto la vicenda dell’aspirante suicida Mario e dei genitori del piccolo paziente bolognese, attualmente genitori tra parentesi? Perché l’accostamento delle due storie produce un apparente paradosso. Da una parte abbiamo una Corte costituzionale che tutela la libertà individuale fino al punto da permettere il suicidio, che è l’antitesi del dovere di cura del paziente.
Su altro fronte abbiamo invece dei tribunali che negano la libertà di cura in capo ai genitori. Come risolvere l’apparente contraddizione? La libertà viene tutelata o negata se in accordo o in disaccordo con il principio che di volta in volta è sposato dall’ordinamento giuridico o dal singolo giudice.
L’eutanasia è principio ormai di casa nel nostro ordinamento giuridico e quindi tutte quelle scelte che abbracciano questo stesso principio devono essere incoraggiate e quelle di segno contrario – vedi l’obiezione di coscienza dei medici – devono essere osteggiate. Parimenti il vaccino è percepito nella coscienza collettiva – giudici compresi – unicamente come un qualcosa di miracoloso, un Moloch intoccabile, la cui efficacia in tutti i possibili casi non deve essere sottoposta a critiche e riserve. E allora, come per il caso dell’eutanasia, tutte le scelte favorevoli alla vaccinazione, anche alla vaccinazione indiscriminata, devono essere promosse e quelle a lei contrarie – anche quelle remotamente contrarie come la scelta dei due genitori del bolognese – devono essere combattute, eradicate sin dal loro sorgere.
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