mercoledì 23 febbraio 2022

Ucraina: radici e conseguenze della crisi


 



di Roberto de Mattei, 16 Febbraio 2022


Lo “show” mediatico tra Biden e Putin sfocerà in una guerra reale tra Russia e Ucraina, destinata a coinvolgere anche l’Europa? Tutto è possibile, nell’era dell’imprevedibile. In questo caso non si tratterebbe di una guerra civile interna all’Ucraina, ma di un conflitto internazionale che vedrebbe di fronte la Russia e l’Occidente. Però i due contendenti non hanno nessun interesse a uno scontro militare di questo tipo, a meno che nel clima di esasperazione di toni artificialmente creato, un evento inatteso non modifichi le strategie in campo.

Il nome Ucraina (Ukraïna) è etimologicamente legato al termine slavo «kraj» (limite, bordo), che indica una «terra di confine». L’Ucraina è infatti, una vasta pianura dagli incerti confini, densamente popolata, ricca di risorse agricole e minerarie. Le origini storiche di questa terra sono antiche: fu chiamata Scizia dai greci e Sarmatia dai romani. Dal medioevo fino alla caduta dell’Impero austro-ungarico fu conosciuta in Occidente come Rutenia, mentre in Russia, era chiamata “Piccola Russia”, per affermare la sua appartenenza all’Impero degli Zar.

L’Ucraina è infatti la culla della Russia, la cui nascita risale alla conversione al Cristianesimo del principe Vladimir I (980-105), detto il Santo. Il Regno di Kiev da lui fondato fu il più antico Stato slavo cristiano, che si estese dal Baltico al Mar Nero, fino ai Carpazi, costituendo una delle Confederazioni più importanti dell’Europa medioevale. Però nel 1240 questo vasto regno fu quasi completamente distrutto dai mongoli, la cui dominazione si protrasse per oltre 250 anni.

Il regno di Kiev, pur aderendo allo scisma di Oriente (1054), aveva fatto parte della Cristianità occidentale. Lo Stato moscovita che si affermò nel XVI secolo, dopo la liberazione dai mongoli, sviluppò l’eredità di Bisanzio in senso antieuropeo. Sebbene con Pietro il Grande la Russia fosse entrata a far parte del sistema degli Stati europei, l’impero zarista fu sempre percepito come una minaccia dagli altri Stati del vecchio continente per la sua connotazione asiatica e il suo carattere autocratico.

Nel corso dei secoli l’Ucraina fu più volte smembrata e sottoposta, di volta in volta, ai Granduchi lituani e ai re di Polonia, all’Impero russo e a quello austriaco, ma rimase culturalmente legata all’Occidente e i suoi abitanti rifiutarono sempre i termini di ‘piccola Russia’ o ‘nuova Russia’ (‘Novorossija’), usati dagli Zar e oggi riproposti da Putin.

Dopo il crollo dell’Impero zarista durante la Prima guerra mondiale, gli Imperi centrali, con il Trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918, imposero ai bolscevichi il riconoscimento dell’Ucraina indipendente. L’Armata rossa, nel suo intento di esportare la Rivoluzione in Occidente, attaccò la Polonia, ma nell’agosto del 1920 fu sconfitta sulla Vistola dal generale Józef Piłsudski (1867-1935), che passò al contrattacco, tentando di riconquistare i territori dell’antica Confederazione polacco-lituana. Il Trattato di Riga, firmato il 18 marzo 1921 dalla Polonia da un lato e dalla Russia e dall’Ucraina dall’altro, segnò il fallimento del progetto di Piłsudski e, come scrive il conte Emmanuel Malinsky (1875-1938), può essere considerato il vero giorno di nascita dello Stato bolscevico (Les Problèmes de l’Est et la Petite-Entente, Librairie Cervantes, Paris 1931, p. 300). Nel 1922 l’Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell’URSS, con l’eccezione della Galizia e della Volinia, assegnate alla Polonia. Da allora, se si eccettua l’occupazione nazionalsocialista del 1941-1943, restò sovietica fino alla proclamazione della sua indipendenza, l’8 dicembre 1991.

L’Ucraina post-sovietica sta cercando di entrare nella Nato e nell’Unione Europea, per difendersi dall’egemonia Russa, mentre Mosca vuole preservare la propria influenza su una nazione con cui condivide oltre 1500 chilometri di confine. Il conflitto in corso è anche una “guerra del gas” in cui è in gioco il futuro energetico dell’Europa. Da una parte c’è la Russia, che è il principale fornitore del nostro continente; dall’altra gli Stati Uniti, che vogliono entrare nel mercato europeo con il loro Gnl (Gas naturale liquido) che viene trasportato sulle navi e costa più di quello della Russia che arriva con le pipeline.

Il problema però non è solo economico. Putin, si propone di restituire alla Russia una nuova coscienza imperiale ed è deciso a non tollerare ulteriori espansioni a Est della Nato dopo l’adesione delle Repubbliche baltiche e dei Paesi dell’ex-Patto di Varsavia. Come osserva il politologo Alexandre Del Valle, «tutta la politica estera di Vladimir Putin si inserisce in questa forte tendenza della geopolitica russa tradizionalmente orientata alla conquista territoriale delle aree che circondano il suo nucleo storico centroeuropeo. In questo sistema, l’Ucraina rappresenta ovviamente il fulcro che permette alla Russia di tornare ad essere una potenza eurasiatica perché, da questo Paese, la Russia può proiettarsi sia sul Mar Nero e sul Mediterraneo orientale che sull’Europa centrale e balcanica. Da qui la strategia americana volta a sostenere in Ucraina, come in Georgia e altrove, le forze politiche ostili a Mosca» (La mondialisation dangereuse, L’Artilleur, Paris 2021, p. 99).

Il prof. Massimo de Leonardis ricorda le parole di Zbigniew Brzesinski (1928-2017) che riassumono la sostanza del problema. «Senza l’Ucraina la Russia cessa di essere un Impero, ma se sottomette l’Ucraina diventa automaticamente un Impero» (Prefazione a Giorgio Cella, Storia e geopolitica della crisi ucraina, Carocci, Roma 2021, p. 12). In questa prospettiva, la Russia, sposta le sue truppe ai confini con l’Ucraina, per non essere accerchiata dalla Nato, ma la Nato mette in allerta i suoi soldati per difendere l’Ucraina dall’accerchiamento della Russia.

Per chi vede le cose con gli occhi della fede, al di là degli interessi geopolitici contrapposti, di Biden e di Putin, la prima domanda da porsi riguarda il bene delle anime. Sotto quest’aspetto, che per noi è il più importante, non possiamo dimenticare che l’Ucraina è il centro della Chiesa greco-cattolica ucraina, di rito bizantino, con sede in Kiev, dove l’arcivescovo Svjatoslav Ševčuk, occupa oggi la cattedra arcivescovile che fu dell’intrepido cardinale Josyp Slipyj (1892-1984), deportato per 18 anni nei lager comunisti. Inoltre nella regione ucraina della Transcarpazia esiste anche la Chiesa greco cattolica rutena di rito bizantino, che conta tra i suoi martiri l’eparca Teodoro Romža, assassinato su ordine di Nikita Chruščëv, il 1º novembre 1947 e beatificato da papa Giovanni Paolo II, il 27 giugno 2001. Oggi costituisce l’eparchia di Mukačevo, immediatamente dipendente dalla Santa Sede.

L’espansionismo della Russia non corrisponde solo alle ambizioni geopolitiche di Putin, ma anche alla richiesta del Patriarcato di Mosca di esercitare la propria autorità religiosa in tutto lo spazio ex-sovietico, contro quelle che esso definisce le indebite ingerenze del Patriarcato di Costantinopoli e soprattutto del Vaticano. Putin, da parte sua, è consapevole del fatto che la Russia non può fare a meno dei suoi legami con la chiesa ortodossa, che conferisce al regime legittimità morale e supporto in termini di consenso. L’annessione da parte di Putin dell’Ucraina, o di una parte di essa, rappresenterebbe una russificazione del paese che rafforzerebbe il ruolo della chiesa ortodossa russa a scapito di quella cattolica di rito bizantino. Gli interessi politici dei cattolici non coincidono né con quelli di Putin né con quelli di Biden, ma sul piano religioso, che è il più elevato, bisogna respingere ogni forma di espansione del Patriarcato di Mosca nelle terre slave e forse domani in Occidente. La Chiesa cattolica attraversa oggi una grave crisi interna, ma la soluzione a questa crisi può venire solo dalla parola di Verità della Chiesa di Roma, non certo dal «Drang nach Westen», la spinta verso Occidente dall’autocefalia ortodossa.








Nessun commento:

Posta un commento