All’inizio della guerra in Ucraina, nella “civilissima” Europa, guerra che quasi tutti ritenevamo impossibile, molti avranno fatto questa riflessione: l’uomo, in fin dei conti, non cambia mai! “Il mondo è ancora come ai tempi di Alarico; soltanto i nostri mezzi di oppressione e di distruzione, come anche quelli di ricostruzione, sono divenuti considerevolmente più perfetti”. Così il filosofo della storia Karl Löwith, secondo il quale “la storia, in tutti i tempi, è una storia di azioni e di sofferenze, di prepotenze e di umiliazioni, di peccato e di morte. Essa è una continua ripetizione di tentativi penosi e di costosi sforzi che sempre di nuovo falliscono… La storia è la scena di una vita intensissima che lascia dietro di sé sempre nuove rovine”.
Quanti pensano che l’umanità possa affinare il proprio senso morale lungo la storia e che il senso della giustizia si faccia progressivamente strada vengono delusi dallo scoppio di sempre nuovi conflitti mortali. Sembra che il mondo venga continuamente ricacciato alle origini e che nulla, nemmeno il cristianesimo, abbia potuto favorire un vero cammino verso il meglio, la conquista di una maggiore consapevolezza morale, un migliore uso delle virtù, la partecipazione ad una comune umanità.
Löwith era protestante e per lui gli eventi del mondo “sono ciechi”, sicché “nessun progresso terreno può mai approssimarsi al fine cristiano”, il quale è “la redenzione dalla morte e dal peccato”. Ogni guerra – anche questa in Ucraina – per lui insegnerebbe sia che il mondo è cieco, sia che “la fede cristiana è indifferente alla storia di questo mondo” perché “agli inizi della storia [l’uomo] non era meno uomo di quanto lo sarà alla fine”.
Ma questa non può essere la visione cattolica della storia, perché la religione cattolica produce anche effetti storici dato che la redenzione non si aggiunge come un mantello che copre le brutture umane ma comporta una ri-nascita che passa dalla trasformazione della natura tramite la grazia. Più realistica, allora, la visione di Chesterton che pure non concede nulla all’ottimismo del progressismo pacifista: “La direzione che il mondo dovrebbe prendere non esiste, non è mai esistita. Il mondo non sta andando verso nessun parte… il mondo è come lo descrissero i santi e i profeti: non migliora né peggiora. Ma c’è una cosa che il mondo fa … barcolla. Lasciato a se stesso non va da nessuna parte, ma se viene guidato da giusti riformatori della vera religione e filosofia, può migliorare sotto molti aspetti, e a volte per periodi abbastanza lunghi. Tuttavia, preso in sé non è sinonimo di progresso, non è neanche in movimento… La vita in sé non è una scala ma un’altalena”. Anche Löwith ammetteva timidamente che “la storia della salvezza getta occasionalmente qualche luce anche su quella del mondo”, Chesterton dice di più, dice che il mondo, “se viene guidato da giusti riformatori della vera religione e filosofia, può migliorare sotto molti aspetti, e a volte per periodi abbastanza lunghi”.
Lungo la storia la fede cristiana ha svolto il compito qui accennato da Chesterton e quando vigeva la “civiltà cristiana” le guerre di certo non cessavano, ma la morale comune condivideva alcune loro limitazioni, espressione del diritto delle genti, che ha alimentato il dritto di guerra (da intendersi non come diritto alla guerra, ma come diritto in caso di guerra), corroborato dalla morale e dalla carità cristiane. La Chiesa non è mai stata pacifista, avendo essa lasciato questa posizione alle sette ereticali, ma è sempre stata pacificatrice.
Un esempio tra i tanti è stata la concezione da essa elaborata della “guerra giusta”. Che non significava giustificare la guerra, ma controllarla moralmente e spiritualmente, e quindi anche politicamente. Il concetto di guerra giusta, con i suoi criteri di giudizio a carattere prudenziale, permetteva, per contrasto, di vedere con chiarezza quando la guerra era ingiusta. Non impediva che la guerra venisse fatta, ma tratteneva dal farla e imponeva garanzie di giustizia e moderazione.
Oggi nella Chiesa cattolica si sono prese le distanze dalla nozione di guerra giusta, la quale però è ancora contemplata nel paragrafo 2309 del Catechismo. L‘elenco delle condizioni affinché vi possa essere una guerra giusta è talmente serrato ed esigente da rendere evidente l’ingiustizia della grandissima maggioranza delle guerre combattute finora. Tolto però il concetto di guerra giusta, anche la guerra ingiusta diventa nebulosa. Il pacifismo, fautore della pace ad oltranza, ha lottato e lotta contro il concetto di guerra giusta, ma in questo modo non è riuscito a garantire la pace, dato che la guerra non ha cessato di esistere ma ha cessato di essere regolata.
La dottrina della guerra giusta, con la condanna di quella ingiusta, si radicava nell’esistenza di una comunità universale che condivideva l’identico impianto morale. Il diritto internazionale fondato sul diritto delle genti ha bisogno di una comunità morale integrata, una comunità non fatta di privati (gli Stati, come ricordava Hobbes, nel campo internazionale sono come dei privati) ma a valenza pubblica. Ma è proprio questo che è venuto a mancare dopo la fine della società cristiana e che manca anche oggi. Questo è un compito che la Chiesa cattolica deve ricollocarsi sulle spalle e perseguirlo non solo moralmente ma prima di tutto religiosamente.
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