mercoledì 2 febbraio 2022

Il mito della sinodalità è un ritorno a Babele






Il documento di preparazione parla di un sinodo finalizzato a un nuovo umanesimo e a far nascere sogni e profezie, totalmente assente il richiamo alla conversione e alla missione. Il focus si sposta così dalla fede (e dalla ragione) alle riforme “democratiche”. È il crollo della cultura cattolica.






di Mons. Nicola Bux (01-02-2022)

Il documento di preparazione al sinodo sulla sinodalità, non nasconde che si vuole “progettare e realizzare un ‘nuovo umanesimo’, promuovendo in modo sinodale l’apporto di ciascuno secondo i propri ambiti di impegno e di competenza”. Allora ci si chiede se, nel sinodo, si affronteranno i temi come la secolarizzazione, l’ateismo diffuso, il crollo delle vocazioni sacerdotali e religiose, la loro formazione, la vita morale e di grazia quali condizioni per ricevere i sacramenti, l’ignoranza religiosa, le opere di misericordia e di carità, e via dicendo.

Non sembra vi sia traccia di tutto questo; invece, sì di politica, economia, giustizia sociale, solidarietà, bene comune, ecologia sostenibile, tutto al fine di raggiungere un “umanesimo integrale”. Un interrogativo insorge: ma non basta più l’umanesimo portato da Gesù Cristo, il quale, come dice sant’Ireneo, portò ogni novità portando se stesso (omnem novitaten attulit semetipsum afferens)?

Inoltre, il documento propone dieci nuclei tematici: “compagni di viaggio, ascoltare, prendere la parola, celebrare, corresponsabilità nella missione (in quanto battezzati), dialogare nella Chiesa e nella società, con le altre confessioni cristiane, autorità e partecipazione, discernere e decidere, formarsi alla sinodalità”. Lo scopo del prossimo sinodo, come di quello tedesco, sembra la democratizzazione interna della Chiesa. Si noti, infatti, che sono assenti la conversione e l’evangelizzazione; eppure il Concilio Vaticano II afferma che “la Chiesa è per sua natura missionaria” (Ad gentes, 2), non sinodale; quindi basterebbe che essa segua il metodo evangelico adottato da Gesù: l’incontro con l’uomo nell’ambiente dove vive, la chiamata a seguirlo (vocazione) nella Chiesa che è appunto con-vocazione, l’invio in missione, mediante il passaparola e l’invito alla conversione. Invece, si è passati dallo slogan della Chiesa “tutta ministeriale” coniata ai tempi di Paolo VI, alla Chiesa “tutta sinodale” di Francesco.


Ma in Lumen gentium 18 si afferma che la Chiesa è gerarchica, cioè è retta da un ‘sacro principio’, l’Ordine sacro, che ha tre compiti: insegnare, santificare e governare, altrimenti la Chiesa diventa un’altra cosa. La Chiesa non è sinodale per il fatto che si raduna in sinodo; del resto, è già impropria la definizione di ‘Chiesa conciliare’, perché la Chiesa non è un concilio permanente. Il sinodo assomiglia in piccolo al concilio, ma a differenza di questo non è, almeno finora, deliberativo, in quanto è solo rappresentativo del collegio episcopale. Possono deliberare solo il papa e il collegio episcopale uniti, perché sono di istituzione divina. Inoltre, è nota la differenza tra il sinodo dei vescovi e il sinodo diocesano che include i laici, un po’ come i sinodi delle chiese orientali.

È vero, la Chiesa è una realtà sociale, un coetus fidelium secondo san Tommaso, e non si riassume o si riduce alla gerarchia; anzi questa deve caratterizzarsi per una autentica umiltà e senso di giustizia; l’Ordine sacro è grande, ma di una grandezza al servizio del culto vero che Cristo rende al Padre nello Spirito. Però, ciò premesso, sembra che si voglia trovare nella sinodalità la soluzione della crisi attuale, cascando nell’autoreferenzialità, se si bada alla retorica che caratterizza tanta letteratura sull’argomento: c’è chi ha detto che il prossimo sinodo sarà l’avvenimento più importante dopo il Vaticano II. La conclusione dell’Instrumentum laboris, citando papa Francesco, fa una confessione: “Ricordiamo che il fine del sinodo e quindi di questa consultazione, non è di produrre documenti, ma di far nascere sogni, suscitare profezie” (n 32).

Questo appello al sogno e all’immaginario manifesta da un lato un infantilismo crescente nella Chiesa e d’altro lato un sospetto ideologico verso la ragione e l’intelligenza della fede. Testi ed analisi sul tema, hanno le stesse caratteristiche: volontarismo che si vorrebbe trainante e grande debolezza di radicamento dottrinale e storico; la parola “sinodalità” esprimerebbe per gli autori il mistero stesso della Chiesa, nella sua realtà fondamentale, quando invece non indica che una piccola parte dell’apparato istituzionale della Chiesa. Si dimentica che questa è il Corpo mistico di Gesù Cristo “diffuso e comunicato”, come diceva il vescovo Bossuet, il sacramento universale di salvezza, cioè allo stesso tempo il segno e lo strumento della redenzione, non un mega-gruppo di corresponsabilità e ascolto. La fede, soprattutto, resta un incontro personale e unico col Creatore e Salvatore.


Ci si domanda a questo punto, in che cosa la sinodalità sarebbe garante, anzi l’agente d’una maggiore efficacia missionaria. Infatti, va rilevata l’assenza totale di bilanci delle differenti esperienze sinodali fatte dopo il concilio, sia quelle universali (di cui restano soprattutto le Esortazioni apostoliche che ne sono seguite) sia diocesane (delle quali giacciono nel dimenticatoio le copie dei documenti); né ci si interroga sul loro impatto missionario reale, come la frequenza della Messa e del sacramento della penitenza, la richiesta di battesimi, cresime, unzioni degli infermi e matrimoni, le vocazioni sacerdotali e religiose, il rinnovamento dei movimenti spirituali e d’educazione e azione cattolica, il rafforzamento della presenza cristiana nei mondi politici e culturali, nel tessuto sociale, ecc.).

Se si conclude che le assemblee sinodali non hanno costituito alcun progresso missionario visibile e misurabile, se non il solo fatto di ritrovarsi, si rischia di vedere le stesse appellarsi alle riforme assolutamente ritenute necessarie per rivitalizzare il tessuto cristiano: ordinazione sacerdotale di uomini sposati, sacerdozio femminile, democrazia nel decidere dogma e morale, trasformazione dei consigli esistenti in assemblee deliberative, per giungere a un’altra Chiesa, favorendo uno scisma di fatto, anche se non dichiarato. Così dietro la sinodalità, ritrovi le stesse referenze che son servite a giustificare la collegialità, a suo tempo, e poi la comunione (almeno gli studi degli anni ‘60 che promuovevano la rivoluzione o la riforma nella Chiesa erano di tutt’altra specie!). È il crollo della cultura cattolica e il ritorno a Babele. Ora, con la sinodalità, si passa dalla tragedia alla farsa!





2. Fine.

(Fonte: La Nuova BQ)






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