L’adattamento al mondo ha prodotto una Chiesa irrilevante con tendenza alla scomparsa. Il lavoro sul Sinodo, per essere utile alla Chiesa e al mondo, dovrebbe promuovere una grande missione al popolo in ogni nazione, perché è la salvezza dal peccato la ragione di Cristo. E il cuore della missione è la liturgia.
di mons. Nicola Bux (09-02-2022)
Se il cardinale Kasper è giunto a qualificare come “non cattolico” il prossimo documento finale scaturito dal cammino sinodale tedesco, ciò è indicativo della situazione in cui versa oggi la Chiesa cattolica in Germania: una Chiesa irrilevante, con – a vista umana – una forte tendenza alla scomparsa. Dopo il Concilio Vaticano II gli uomini di Chiesa, in genere, hanno adottato la strategia dell’adattamento al mondo per restare al centro dell’attenzione e non perdere fedeli, quella strategia si è rivelata un errore che ci ha condotto all’attuale situazione.
È sufficiente visitare le chiese di domenica: le poche persone che, prima della pandemia, ancora ci andavano hanno già smesso di farlo, vista pure la cattiva gestione da parte dei vescovi delle quarantene decretate dai governi. È la situazione che si osserva in tutto il mondo. In questa confusione accade che i preti vanno in depressione e i religiosi fuggono dagli istituti perché non comprendono più la loro identità, quelli che invece si adeguano diventano irriconoscibili.
Sant’Agostino, nel celebre Discorso sui pastori esorta a non disperare, perché anche quando questi smettono di occuparsi delle pecorelle, Gesù stesso continua a pascerle, ed è per questo motivo che nella Chiesa ci saranno sempre fedeli pronti a testimoniare la verità e a difendere il nome di Cristo. Resta deplorevole vedere i pastori grandi e piccoli della Chiesa occuparsi di questioni terrene; un prete che, per esempio, mette su una scuola per sottrarre i giovani alla malavita o attrezza una casa di accoglienza per i migranti, dovrebbe proporsi di far conoscere loro il Vangelo, che è proprio la missione della Chiesa e mette le basi solide della conversione a Dio e della conseguente vita morale.
L’immoralità dilagante e la illegalità si combattono con la missione del Vangelo. I pastori non devono mettersi a dire le cose dei politici e dei sindacalisti che non hanno in sé il carattere della verità. “Quello che il popolo attende dal clero in materia sociale” (titolo di una Lettera pastorale del card. Giuseppe Siri) consiste “nel rendere gli uomini, le famiglie, le organizzazioni migliori… Ossia occorre il Vangelo per tutti gli uomini”. La Chiesa deve riprendere l’annuncio di Gesù Cristo crocifisso e risorto, che ha dato la vita per tutti, poveri e ricchi, e non è venuto sulla terra per impugnare la difesa di nessun diritto sociale, bensì per salvarci dal peccato, dalla perdizione e dalla morte.
Il lavoro delle diocesi sulla sinodalità, per essere utile alla Chiesa e al mondo, dovrebbe risvegliare l’urgenza dell’ora, promuovendo una grande missione al popolo in ogni nazione, secondo l’impreteribile mandato del Signore prima di ascendere al Cielo. Se realmente chi governa la Chiesa avverte l’urgenza e l’importanza di salvare le anime tanto quanto i governi oggi sentono l’urgenza e l’importanza di salvare le persone dal Covid – ha scritto tra l’altro il prof. Tommaso Scandroglio – di certo appronterebbe un piano evangelizzatore simile, almeno nello spirito, nella ratio, a quelli redatti per combattere la pandemia. I vescovi hanno dimenticato che il virus peggiore è il peccato con le sue varianti, che però si può prevenire o curare con la formazione, la preghiera, i sacramenti e le opere di carità. Questo sì che vedrebbe la ‘Chiesa in uscita’.
Gesù Cristo ha affidato alla Chiesa il prolungamento della sua stessa missione: “che conoscano te o Padre e il Figlio tuo”. Come spiega sant’Ilario di Poitiers: “Mostrare a questo mondo che ti ignora o all’eretico che ti nega, che tu sei Padre, Padre cioè dell’Unigenito Dio… busseremo a tutte le porte che sbarrano il riconoscimento della verità. Ma dipende da te concedere l’oggetto della nostra preghiera, essere presente a quanto si chiede, aprire a chi bussa” (De Trinitate, Lib.1,37; PL 10,48). La Chiesa è chiamata a partecipare dello stesso spirito dei profeti e degli apostoli, proseguire nello stesso senso con cui hanno pronunziato il Vangelo, memori che chi confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio. Così distinguiamo lo spirito della verità dallo spirito dell’errore. Lo Spirito Santo non è stato trasmesso per rivelare una nuova dottrina, ma per guidare al Verbo fatto carne. Ma oggi, da molti uomini di Chiesa non si crede che l’Incarnazione è il cuore del cristianesimo e che è ciò che va trasmesso, perché si ritiene che non venga capito e che non sia ciò che il cuore dell’uomo aspetta. Nonostante l’enfasi continua sulla Parola, se comprendessimo la sua forza divina, la potenza del Vangelo – dice l’Apostolo – che mette in fuga i demoni, apre le porte del Cielo, infonde le virtù e dona la salvezza, ci dedicheremmo anima e corpo, da veri missionari, a tale compito, lasciando ad altri quelli sociali. Il Signore è venuto non per guadagnare il mondo intero ma le anime, di cui ha sete.
Il cuore della missione è la liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa e quindi della comunicazione del Vangelo agli uomini di ogni popolo e nazione. Perché nella sacra liturgia continua, in certo modo, fino alla fine dei tempi, la rivelazione divina avvenuta sul monte del Tempio (Cfr. J. RATZINGER, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Città del Vaticano/Milano 2007, p.356). Purtroppo, nella formazione di chierici e laici, si è abbandonato il trattato De locis theologicis che consentiva di fare teologia con un criterio documentale, obbligando così chiunque a giustificare ogni asserzione con i dati della Rivelazione. Si torni a comprendere e a trasmettere proprio questo attraverso il culto divino – cosa dimenticata da molti – e non lo si riduca ad una performance mondana. Per riformare seriamente la liturgia, è preliminare ricondurre il culto al sacro, cioè al rapporto con Dio trascendente che si è incarnato. La liturgia serve a mettere in collegamento il Cielo con la terra, e le regole con cui Dio dev’essere adorato non sono prerogativa degli uomini, ma è Dio stesso che le impone per essere pregato come piace a lui, con la dignità e l’onore che solo a lui spetta.
Nella liturgia e nella missione guardiamo a Cristo Gesù, tenendo sempre a mente le parole del Battista: Egli deve crescere, io scomparire”. Il regno di Dio appartiene a coloro che sanno farsi umili, riconoscendo che soltanto Dio è tutto, mentre noi siamo solamente “servi inutili”. Come nella Gerusalemme celeste, la Chiesa deve imitare la liturgia sacra e così essa scende dal cielo sulla terra, rendendo gloria a Dio e salvando gli uomini. Così si adempie alla missione, che, come la liturgia, non può essere un prodotto delle nostre mani, per quanto occupate nei lavori sinodali. Nella secolarizzazione odierna, cosa è più urgente per la Chiesa cattolica: la sinodalità o la missione?
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Se il cardinale Kasper è giunto a qualificare come “non cattolico” il prossimo documento finale scaturito dal cammino sinodale tedesco, ciò è indicativo della situazione in cui versa oggi la Chiesa cattolica in Germania: una Chiesa irrilevante, con – a vista umana – una forte tendenza alla scomparsa. Dopo il Concilio Vaticano II gli uomini di Chiesa, in genere, hanno adottato la strategia dell’adattamento al mondo per restare al centro dell’attenzione e non perdere fedeli, quella strategia si è rivelata un errore che ci ha condotto all’attuale situazione.
È sufficiente visitare le chiese di domenica: le poche persone che, prima della pandemia, ancora ci andavano hanno già smesso di farlo, vista pure la cattiva gestione da parte dei vescovi delle quarantene decretate dai governi. È la situazione che si osserva in tutto il mondo. In questa confusione accade che i preti vanno in depressione e i religiosi fuggono dagli istituti perché non comprendono più la loro identità, quelli che invece si adeguano diventano irriconoscibili.
Sant’Agostino, nel celebre Discorso sui pastori esorta a non disperare, perché anche quando questi smettono di occuparsi delle pecorelle, Gesù stesso continua a pascerle, ed è per questo motivo che nella Chiesa ci saranno sempre fedeli pronti a testimoniare la verità e a difendere il nome di Cristo. Resta deplorevole vedere i pastori grandi e piccoli della Chiesa occuparsi di questioni terrene; un prete che, per esempio, mette su una scuola per sottrarre i giovani alla malavita o attrezza una casa di accoglienza per i migranti, dovrebbe proporsi di far conoscere loro il Vangelo, che è proprio la missione della Chiesa e mette le basi solide della conversione a Dio e della conseguente vita morale.
L’immoralità dilagante e la illegalità si combattono con la missione del Vangelo. I pastori non devono mettersi a dire le cose dei politici e dei sindacalisti che non hanno in sé il carattere della verità. “Quello che il popolo attende dal clero in materia sociale” (titolo di una Lettera pastorale del card. Giuseppe Siri) consiste “nel rendere gli uomini, le famiglie, le organizzazioni migliori… Ossia occorre il Vangelo per tutti gli uomini”. La Chiesa deve riprendere l’annuncio di Gesù Cristo crocifisso e risorto, che ha dato la vita per tutti, poveri e ricchi, e non è venuto sulla terra per impugnare la difesa di nessun diritto sociale, bensì per salvarci dal peccato, dalla perdizione e dalla morte.
Il lavoro delle diocesi sulla sinodalità, per essere utile alla Chiesa e al mondo, dovrebbe risvegliare l’urgenza dell’ora, promuovendo una grande missione al popolo in ogni nazione, secondo l’impreteribile mandato del Signore prima di ascendere al Cielo. Se realmente chi governa la Chiesa avverte l’urgenza e l’importanza di salvare le anime tanto quanto i governi oggi sentono l’urgenza e l’importanza di salvare le persone dal Covid – ha scritto tra l’altro il prof. Tommaso Scandroglio – di certo appronterebbe un piano evangelizzatore simile, almeno nello spirito, nella ratio, a quelli redatti per combattere la pandemia. I vescovi hanno dimenticato che il virus peggiore è il peccato con le sue varianti, che però si può prevenire o curare con la formazione, la preghiera, i sacramenti e le opere di carità. Questo sì che vedrebbe la ‘Chiesa in uscita’.
Gesù Cristo ha affidato alla Chiesa il prolungamento della sua stessa missione: “che conoscano te o Padre e il Figlio tuo”. Come spiega sant’Ilario di Poitiers: “Mostrare a questo mondo che ti ignora o all’eretico che ti nega, che tu sei Padre, Padre cioè dell’Unigenito Dio… busseremo a tutte le porte che sbarrano il riconoscimento della verità. Ma dipende da te concedere l’oggetto della nostra preghiera, essere presente a quanto si chiede, aprire a chi bussa” (De Trinitate, Lib.1,37; PL 10,48). La Chiesa è chiamata a partecipare dello stesso spirito dei profeti e degli apostoli, proseguire nello stesso senso con cui hanno pronunziato il Vangelo, memori che chi confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio. Così distinguiamo lo spirito della verità dallo spirito dell’errore. Lo Spirito Santo non è stato trasmesso per rivelare una nuova dottrina, ma per guidare al Verbo fatto carne. Ma oggi, da molti uomini di Chiesa non si crede che l’Incarnazione è il cuore del cristianesimo e che è ciò che va trasmesso, perché si ritiene che non venga capito e che non sia ciò che il cuore dell’uomo aspetta. Nonostante l’enfasi continua sulla Parola, se comprendessimo la sua forza divina, la potenza del Vangelo – dice l’Apostolo – che mette in fuga i demoni, apre le porte del Cielo, infonde le virtù e dona la salvezza, ci dedicheremmo anima e corpo, da veri missionari, a tale compito, lasciando ad altri quelli sociali. Il Signore è venuto non per guadagnare il mondo intero ma le anime, di cui ha sete.
Il cuore della missione è la liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa e quindi della comunicazione del Vangelo agli uomini di ogni popolo e nazione. Perché nella sacra liturgia continua, in certo modo, fino alla fine dei tempi, la rivelazione divina avvenuta sul monte del Tempio (Cfr. J. RATZINGER, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Città del Vaticano/Milano 2007, p.356). Purtroppo, nella formazione di chierici e laici, si è abbandonato il trattato De locis theologicis che consentiva di fare teologia con un criterio documentale, obbligando così chiunque a giustificare ogni asserzione con i dati della Rivelazione. Si torni a comprendere e a trasmettere proprio questo attraverso il culto divino – cosa dimenticata da molti – e non lo si riduca ad una performance mondana. Per riformare seriamente la liturgia, è preliminare ricondurre il culto al sacro, cioè al rapporto con Dio trascendente che si è incarnato. La liturgia serve a mettere in collegamento il Cielo con la terra, e le regole con cui Dio dev’essere adorato non sono prerogativa degli uomini, ma è Dio stesso che le impone per essere pregato come piace a lui, con la dignità e l’onore che solo a lui spetta.
Nella liturgia e nella missione guardiamo a Cristo Gesù, tenendo sempre a mente le parole del Battista: Egli deve crescere, io scomparire”. Il regno di Dio appartiene a coloro che sanno farsi umili, riconoscendo che soltanto Dio è tutto, mentre noi siamo solamente “servi inutili”. Come nella Gerusalemme celeste, la Chiesa deve imitare la liturgia sacra e così essa scende dal cielo sulla terra, rendendo gloria a Dio e salvando gli uomini. Così si adempie alla missione, che, come la liturgia, non può essere un prodotto delle nostre mani, per quanto occupate nei lavori sinodali. Nella secolarizzazione odierna, cosa è più urgente per la Chiesa cattolica: la sinodalità o la missione?
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