È passata inosservata la modifica costituzionale votata quasi all'unanimità dal Parlamento che modifica gli articoli 9 e 41 in chiave ambientalista. Ma gli effetti sui cittadini saranno devastanti, in termini di nuove restrizioni alle libertà personali ed economiche. Mentre si apre la strada anche alla legittimazione dei "diritti" degli animali.
POLITICA
Eugenio Capozzi, 11-02-2022
Mentre l'emergenzialismo sanitario mette a dura prova (per usare un eufemismo) la tenuta della Costituzione come argine contro l'abuso di potere, il parlamento italiano, alla chetichella e in un clima di quasi totale unanimismo, apre un'altra breccia in quell'argine, approvando la modifica degli articoli 9 e 41 della Carta per introdurre in essa la tutela dell'ambiente e degli animali, e la subordinazione a essi della libertà economica (approvazione definitiva in quarta lettura l'8 febbraio con 468 voti a favore, un contrario e sei astenuti).
Si tratta della seconda modifica costituzionale attuata nel corso di questa legislatura dopo la riduzione del numero dei parlamentari. Ma, a differenza che in quel caso, in cui almeno si è prodotto un dibattito nella classe politica e nella società civile sfociato nel referendum confermativo, gli emendamenti “ambientalisti” hanno attraversato il loro iter parlamentare senza alcuna dialettica, in una irenica convergenza trasversale tra tutti i gruppi presenti nelle Camere, come se fosse un atto dovuto a cui davvero era impossibile dire di no.
E infatti il parlamento ha reso acritico e obbediente omaggio a un'ideologia oggi assolutamente dominante tra le élites politiche, culturali, economiche occidentali: l'ambientalismo dogmatico imposto da campagne come quelle condotte da Greta Thunberg, fondato su una visione del mondo apocalittica che addita come imminente il possibile collasso della vita sul pianeta, e sulla colpevolizzazione sistematica della presenza umana in esso. Questo ecologismo è una vera e propria nuova religione dall'impronta neo-pagana, che abbandona la tradizione ambientalista euro-occidentale, in cui la tutela del patrimonio naturale e di quello storico-culturale vengono considerati strettamente connessi come parte della civiltà, per indicare invece come valore supremo un'entità vaga come l'"ecosistema": un equilibrio complessivo tra diverse forme di vita all'interno del quale quella umana non è considerata centrale né essenziale, ma anzi un fattore potenzialmente deleterio di alterazione.
Un'ideologia che ha trovato negli ultimi decenni una catalizzazione proprio nell'allarme lanciato contro un presunto “riscaldamento globale” originato dalle emissioni di anidride carbonica derivanti dalle attività umane, ora rubricato come “crisi climatica”. Proprio alla ferrea dittatura culturale esercitata oggi dal millenarismo ambientalista, che vede il collasso dell'"ecosistema” dietro l'angolo, è dovuta la totale acquiescenza dei parlamentari italiani all'idea conformista di “ambientalizzare” la Costituzione, così come è dovuto il tenore delle modifiche approvate. Ma la natura essenzialmente retorica e declamatoria di esse, in ciò conforme a varie altre disposizioni costituzionali dai toni predicatori, nulla toglie al fatto che queste clausole comportino rischi enormi di legittimare limitazioni alle libertà individuali peggiori delle molte già esistenti.
Nell'articolo 9, infatti, si introduce, accanto alla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale nazionale, quello molto più ampio, potenzialmente infinito, dell'ambiente, della “biodiversità” e, appunto, degli ”ecosistemi”, per di più “nell'interesse delle future generazioni”. In che modo si possono tutelare nell'ordinamento italiano oggetti tanto vaghi e dilatati nel tempo e nello spazio, al contrario della concreta individuabilità del paesaggio? È evidente che una formulazione di tal genere potrebbe in teoria giustificare un vincolo severo, al limite anche un blocco totale, alle più varie attività economiche, allo sfruttamento di qualsiasi risorsa naturale, alla costruzione di infrastrutture, anche soltanto sulla base del timore di una possibile, ipotetica alterazione degli equilibri ambientali, della fauna, della flora, dell'atmosfera.
Per di più, nello stesso articolo vengono introdotti per la prima volta come oggetto di tutela, attraverso una delega alla legislazione ordinaria, anche gli animali. E ciò apre un altro fronte pericolosissimo, offrendo una sponda a una sub-ideologia altrettanto pericolosa: l'animalismo o antispecismo, fondata sull'idea di una sostanziale equiparazione morale tra esseri umani e altre forme di vita, in contraddizione con la gerarchia esercitata dai primi sulle seconde in tutta la storia della civiltà. In presenza di correnti di pensiero anche influenti che sostengono l'idea fanatica di “diritti” degli animali, questa clausola costituzionale apre la strada a norme o sentenze della magistratura che in futuro potrebbero impedire ogni sorta di uso e sfruttamento degli animali stessi, o regolamentarlo tanto rigidamente da produrre danni economici irreparabili.
Ma il pericolo maggiore di uno straripamento del potere statale ai danni delle libertà dei cittadini insito nella modifica costituzionale appena approvata sta nella nuova formulazione dell'articolo 41, che già nella sua forma originaria è uno tra i più problematici della Carta, in quanto (in evidente convergenza tra l'ispirazione marxista e quella di un certo corporativismo cattolico) dichiara che l'iniziativa economica è libera, ma solo per poi specificare che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Ora il parlamento aggiunge a queste ragioni per limitare la libertà economica anche gli eventuali danni da essa arrecati alla salute e all'ambiente, ed esorta lo Stato a indirizzarla a fini ambientali oltre che sociali.
Inutile dire che in un paese come l'Italia, in cui già l'industria, la ricerca e la distribuzione di fonti energetiche, lo smaltimento dei rifiuti, le infrastrutture vengono continuamente ostacolati, impediti, sanzionati sulla base di timori per i danni che arrecherebbero alla salute e all'ambiente, l'ingresso di un criterio del genere in Costituzione diventerà la leva sulla quale si innesterà una moltiplicazione di ricorsi, inchieste, movimenti “nimby”, con il rischio concreto di una paralisi dell'economia. E che l'allarmismo climatico potrà giustificare, su tale base, ogni assalto normativo e fiscale alla proprietà privata, incoraggiando una deriva autoritaria sul genere del sistema cinese del “credito sociale” verso cui già l'emergenzialismo “pandemico” tende a scivolare.
La classe politica italiana insomma, nel suo supino allineamento alle ideologie elitarie dominanti, senza più distinzioni tra destra e sinistra, introduce nella Carta elementi dagli effetti potenzialmente devastanti sul bilanciamento tra poteri e diritti soggettivi, attraverso i quali un superstatalismo etico-tecnocratico può travolgere ogni limite alla sua invadenza.
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