martedì 15 maggio 2012

Dignitatis Humanae: continuità o rottura? – pars I


Tratto da Continuitas






Iniziamo la pubblicazione della prima parte (ne seguirà una seconda) di un breve studio riguardo ad uno dei documenti più complessi del Concilio Vaticano II: la dichiarazione Dignitatis Humanae.



IL PROBLEMA
La dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, appare come uno dei documenti più “rivoluzionari” del concilio Vaticano II (1962-65), nel senso che ad una sua lettura superficiale – purtroppo molto frequente – si ha l’impressione di una radicale contraddizione con quanto sostenuto in precedenza dalla Chiesa, fino a far pensare ad una rottura dogmatica con la tradizione precedente. Questa interpretazione riguarda non solo la Dignitatis Humanae, ma in generale gran parte dei testi conciliari. Così, gli anni ’60 segnano uno spartiacque nella mentalità comune, e se per alcuni lo Spirito Santo ha iniziato ad assistere la Chiesa solo allora, per altri lo Spirito Santo è entrato in un letargo ormai quarantennale.
La Dignitatis Humanae ha riaffermato esplicitamente delle verità già presenti in precedenza, a cominciare dal dovere di cercare la verità che è nella Chiesa cattolica (1), tuttavia ci sono differenze innegabili.
Il Vaticano II invece di intendere la libertà religiosa come “tolleranza” di un qualcosa di erroneo (nel nostro caso le religioni non cattoliche), parla di un vero e proprio “diritto alla libertà religiosa”; inoltre non c’è solo un diritto a non essere costretti ad abbracciare la fede cattolica – questo è pacifico, ed è affermato anche dal magistero preconciliare – ma addirittura “i gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto” (2). Il solo limite è l’ “ordine morale obiettivo” (3).
Abbiamo l’impressione di una contraddizione con quanto affermato in precedenza dalla Chiesa – basti pensare, poco prima del concilio, alle parole del papa Pio XII (4), secondo il quale l’errore “non ha oggettivamente alcun diritto all’esistenza né alla propaganda” -, come se improvvisamente il Vaticano II avesse dato all’errore religioso un diritto all’esistenza e persino alla propaganda.

DIRITTO DELLA PERSONA, NON DELL’ERRORE
Senza dubbio il magistero preconciliare condanna la libertà di coscienza e dei culti come diritto, condannando apparentemente ciò che è invece affermato dalla Dignitatis Humanae. Ma, questa libertà condannata da Gregorio XVI, dal beato Pio IX e da Leone XIII, è la stessa che il Vaticano II afferma?
L’enciclica Mirari Vos, di Gregorio XVI, condannava le idee del sacerdote Félicité de Lamennais (5). Egli infatti, pur ritenendo vera solo la religione cattolica, predicava dal punto di vista civile una libertà senza limiti di aderire a qualsiasi idea e propagarla. Senza limiti, cioè al di fuori di ogni regola, se non quella di impedire eventuali ostacoli a tale libertà assoluta. La risposta del magistero fu – ed è tuttora – che non si può dare tale licenza a qualsiasi propaganda, e che non basta il solo limite della “pubblica pace”, come precisò Pio IX successivamente (6) – quando Lamennais aveva ormai lasciato la Chiesa, ma le sue idee erano ancora vive.
Il Vaticano II infatti non dice che la libertà religiosa è totale, ma che rientra in precisi limiti – la tutela della pace pubblica, dei diritti degli altri, della pubblica moralità. Cioè conferma che non va dato diritto a qualsiasi propaganda non cattolica pacifica – come invece sosteneva Lamennais, oggetto delle condanne dei papi del XIX secolo – ma solo a qualcuna.
Tuttavia si avverte ancora una contraddizione: il Vaticano II, pur con questa restrizione rispetto alla libertà assoluta di Lamennais, parla di diritto alla libertà religiosa, mentre il magistero precedente, parla di tolleranza del male.
Innanzitutto la dichiarazione conciliare dice che il diritto non è dell’errore ma della persona, in virtù della sua dignità, malgrado la credenza erronea professata e propagata. Non a caso, nella stessa Dignitatis Humanae la Chiesa rivendica tale diritto a doppio titolo: sia perché “comunità di esseri umani” (il diritto è infatti della persona), sia, a maggior ragione, “in quanto autorità spirituale fondata da Cristo Signore”(7).
In secondo luogo la persona non ha un diritto a praticare e propagare l’errore, ma a non essere ostacolata nel farlo. La Dignitatis Humanae definisce così la libertà religiosa: “Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata”.
Riassumendo:
1) L’errore continua a non avere diritto all’esistenza né alla propaganda, è la persona ad avere diritti in virtù della propria dignità.
2) La persona non ha un diritto a praticare una falsa religione, cioè un diritto ad agire in maniera sbagliata, ma un diritto a non essere soggetta a coercizione da parte dell’autorità civile, un diritto che si tolleri il suo errore.
3) Tale diritto non appartiene a tutte le persone, ma solo a quelle che rientrano in certi limiti.

I LIMITI DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA
Quali sono questi limiti? Essi sono costituiti “dall’efficace difesa dei diritti (…), da una sufficiente tutela di quella autentica pace pubblica (…), nonché dalla debita custodia della pubblica moralità” (n. 7). La pace pubblica, considerata insufficiente da Pio IX, è infatti solo uno dei limiti – e dunque continua a non essere sufficiente da sola. Gli altri limiti sono la difesa e l’armonizzazione dei diritti di tutti – questo sembra abbastanza ovvio –, e la “custodia della pubblica moralità”, che naturalmente, essendo affermata dalla Chiesa, andrà intesa secondo principi cattolici. Questo appare chiaro dal fatto che il principale ispiratore della dichiarazione, papa Paolo VI, nell’enciclica Humanae Vitae (1968) abbia non solo affermato l’immoralità della contraccezione, ma anche esortato i governi a contrastarla; infatti essa lede un principio morale (cioè uno dei tre limiti all’immunità dalla coercizione). Inoltre non va punito solo ciò che si oppone alla legge naturale, ma anche a quella rivelata, ad esempio gli atti blasfemi.
E poiché la libertà religiosa vuole proteggere “gli atti pubblici e privati della religione con i quali gli uomini si indirizzano a Dio”, non sarebbero autorizzati alla propaganda atei e satanisti.

Fine prima parte – CONTINUA


NOTE:
(1) Concilio Vaticano II, dichiarazione Dignitatis Humanae (7-12-1965), 1: “E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli.”
(2) Ibidem, n. 4
(3) Ibidem, n. 7; il paragrafo 7 della dichiarazione definisce i limiti della libertà religiosa: “poiché la società civile ha il diritto di proteggersi contro i disordini che si possono verificare sotto pretesto della libertà religiosa, spetta soprattutto al potere civile prestare una tale protezione; ciò però va compiuto non in modo arbitrario o favorendo iniquamente una delle parti, ma secondo norme giuridiche, conformi all’ordine morale obiettivo: norme giuridiche postulate dall’efficace difesa dei diritti e dalla loro pacifica armonizzazione a vantaggio di tutti i cittadini, da una sufficiente tutela di quella autentica pace pubblica che consiste in una vita vissuta in comune sulla base di una onesta giustizia, nonché dalla debita custodia della pubblica moralità. Questi sono elementi che costituiscono la parte fondamentale del bene comune e sono compresi sotto il nome di ordine pubblico.”
(4) Pio XII, discorso ai Giuristi Cattolici Italiani Ci Riesce (6-12-1953)
(5) L’enciclica Mirari Vos fu inviata a Lamennais con una lettera del card. Pacca che lo informava che obiettivo del documento erano proprio le sue idee.
(6) Pio IX, enciclica Quanta Cura (8-12-1864) : “Contro la dottrina delle sacre Lettere della Chiesa e dei Santi Padri, non dubitano di affermare “essere ottima la condizione della società nella quale non si riconosce nell’Impero il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della Religione cattolica, se non in quanto lo chieda la pubblica pace”.”
(7) Dignitatis Humanae, n. 13


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