martedì 1 maggio 2012

Il cardinale Burke e le prospettive della testimonianza cristiana attraverso i media



di Giacomo Galeazzi







Città del Vaticano


Il Vangelo nei media. Il cardinale statunitense di Curia, Raymond L. Burke, prefetto della Segnatura Apostolica, detta le linee della nuova evangelizzazione mediatica. Il capo del supremo tribunale vaticano avverte che, attraverso la comunicazione, passano l'obbedienza alla Chiesa, l’insegnamento dei principi di fede, la difesa della missione di salvare anime, la tutela della verità. Prima di essere chiamato cinque anni fa in Curia, monsignor Burke è stato vescovo di La Crosse, Wisconsin (1995-2003)e di St. Louis, Missouri (2003-2008) ed è stato creato cardinale il 21 Novembre 2010 da Benedetto XVI. Con il prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, Antonio Cañizares Llovera e il ministro del Clero, Mauro Piacenza, lo statunitense Burke compone la cosiddetta «cintura ratzingeriana» del Sacro Collegio, ossia il gruppo di porporati più vicini per formazione e impostazione ecclesiastica al Pontefice teologo e pastore.



La Chiesa «è chiamata ad essere uno specchio di giustizia nel mondo»: ciò che la disciplina, compresi i processi canonici, «non solo non rappresenta un ostacolo alla comunicazione della fede cattolica» quanto piuttosto è «manifestazione efficace della sua vitalità», ha affermato il cardinale Raymond Burke chiudendo alla Pontificia Università della Santa Croce i lavori del seminario professionale sugli uffici di comunicazione della Chiesa. Parole importanti perché pronunciate da uno dei più ascoltati consiglieri del Pontefice, molto stimato in Curia per l’equilibrio e il senso di opportunità dei suoi interventi pubblici, come per esempio nelle polemiche seguite al boicottaggio di settori dell’episcopato rispetto alla liberalizzazione del rito antico introdotta dal Motu proprio «Summorum Pontificum». In una società totalmente secolarizzata, ha detto il porporato all’università pontificia dell’Opus Dei,«il semplice fatto che la Chiesa annuncia ciò che sa essere vero, ad esempio riguardo alla legge morale, è visto come contrario al bene della società o come causa di oppressione per gli altri».




Una delle principali sfide che si pone dunque ai comunicatori istituzionali è quella di «saper riflettere fedelmente la natura stessa della Chiesa, che sin dalla sua fondazione risponde in obbedienza alla volontà del Padre, come ha insegnato il suo fondatore, Cristo», ha spiegato il cardinale nella sua relazione su «Comunicazione e giustizia: quando i casi legali diventano notizia».


Nel corso dei lavori del seminario, anche il segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, l’arcivescovo Juan Ignacio Arrieta, ha sottolineato che il linguaggio giuridico «va ridotto a termini di verità per poterli comunicare», e così deve valere per le decisioni di governo nella Chiesa. Infatti, «d’accordo con la tradizione canonica plurisecolare, la ragionevolezza deve essere una delle note tipiche di una decisione del superiore». Per i vari relatori, comunque, soprattutto le storie di fede e i testimoni credibili sono la chiave per una comunicazione efficace nella Chiesa. Così come il «social media manager» può rappresentare una «nuova professione» per quanti lavorano negli uffici delle istituzioni ecclesiastiche.




Il cardinale Burke è tra i principali sostenitori nella Curia romana dell’azione purificatrice di Benedetto XVI. Il 19 ottobre 2009, per la prima volta dai tempi della riforma liturgica, è stata celebrata nella Basilica di San Pietro una Messa secondo il rito straordinario in latino (il Messale precedente il Concilio Vaticano II). La messa fu celebrata nella Cappella dell’Adorazione Eucaristica proprio dal prefetto del Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica a conclusione del convegno sul Motu proprio «Summorum Pontificum». Riferisce l’agenzia cattolica Zenit: «La cappella non ha potuto accogliere tutti coloro che volevano partecipare alla Messa ed è stata riempita totalmente da 70 sacerdoti e circa 400 persone». Dopo la Messa, i partecipanti al Congresso si sono riuniti in Piazza San Pietro per recitare l'Angelus insieme al Papa, che ha rivolto loro un saluto speciale nelle parole che ha pronunciato in italiano». Con il titolo «Un grande dono per tutta la Chiesa», il Congresso ha analizzato l'applicazione del Motu proprio «Summorum Pontificum».





E monsignor Burke elogiò «la prospettiva per il futuro, che sarà arricchito da tutta la tradizione liturgica: Benedetto XVI ci ha insegnato che quello che è stato bello nella liturgia di tutti i secoli deve essere apprezzato anche oggi». Quindi «non deve essere inteso come una negazione della riforma conciliare, ma solo un modo per mantenere il senso della continuità del nostro culto». E precisa:«Sono cresciuto con il rito romano, che consente di far capire perfettamente l’azione della messa. Il suo messale ed i testi più comuni diventavano una parte della nostra vita, non era una cosa strana. Se una persona vuol comprendere il vero significato della messa sono certo che non avrà difficoltà, anche se per seguire più attentamente il rito è preferibile utilizzare il messale. Di certo è più articolato, ci sono molti gesti, ma sono tutti molto belli. Aiutano i fedeli a vedere la realtà della messa, che è l’incontro del cielo con la terra. Il rito ci aiuta a vedere la realtà».






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