di padre Giovanni Cavalcoli
Il Catechismo di S.Pio X pone tra i “peccati contro lo Spirito Santo” l’“impugnazione della verità conosciuta”. Perché “peccato contro lo Spirito Santo”? Perché è lo “Spirito della Verità”. Perché peccato? Perché il peccato comporta la cattiva volontà ovvero il volere (=“deliberato consenso”) un falso bene sapendo che è un falso bene, la cosiddetta “avvertenza”. Ora la nostra mente, fatta per la verità, ha il dovere di riconoscerla e di amarla, per cui se la verità è evidente e la mente le si oppone, l’uomo commette un peccato.
Negare o impugnare volontariamente e coscientemente la verità in quanto bene dell’uomo, vuol dire dunque non fare il vero bene, il che è come dire peccare, giacchè l’atto contrario al peccato, ossia la giustizia, è il volere e desiderare il vero bene dell’uomo, ossia la verità.
Il peccato contro la verità è il principio di tutti i peccati, giacchè l’atto buono si basa sulla retta conoscenza del bene. Da una falsa conoscenza del bene non può che sorgere un atto cattivo, ossia il peccato. Conoscere la verità e negarla: ecco il peccato contro la verità, ecco il peccato contro lo Spirito Santo. Sapere qual è la verità e rifiutarla volontariamente, sapendo di essere nell’errore: ecco quella che in morale si chiama “piena avvertenza”, come elemento costitutivo del peccato volontario, ossia del peccato in senso pieno, quello che altrimenti vien detto “colpa”, materia propria, secondo la morale cattolica, del sacramento della penitenza.
Per questo noi non dobbiamo confessarci di un qualunque atto cattivo, se questo è stato involontario o se non sapevamo che era peccato, ma solo delle colpe: ossia di quegli atti che oltre ad essere in sé cattivi, sapevamo che erano cattivi e li abbiamo compiuti ugualmente con atto volontario, il quale con ciò stesso diventa peccato in senso pieno ovvero colpa. Solo delle colpe ci si deve confessare.
E’ curioso come spesso i penitenti, abituati male da certi confessori negligenti, non tengono conto di questa distinzione tra il male volontario e il male involontario. Quando confesso, ho modo di accorgermi di questa grave confusione, che può rendere invalida la confessione, quando il penitente mi dice di non essere andato alla Messa domenicale. Chiedo: per quale motivo? Capita che il motivo sia stato o perché il soggetto era malato o perché non ha trovato una chiesa o perché era occupato in un lavoro al quale non ha potuto sottrarsi o perchè era in viaggio o in un paese straniero: tutti motivi che rendono involontario l’atto e quindi non colpevole e quindi estraneo alla materia della confessione.
Sarebbe come se io mi accusassi del fatto che, camminando per strada, mi è caduto sulla testa dello sterco di un uccello di passaggio: certo un fatto spiacevole, ma io non ne ho alcuna colpa.
Il buonismo oggi largamente diffuso porta a rendere inconcepibile l’esistenza della cattiva intenzione o della mala fede o della cattiva volontà, quindi praticamente si nega l’esistenza del peccato. Tutti si ritengono buoni e se fanno il male, lo fanno “senza volere” o “senza saperlo”. Caso mai il male lo subiscono dagli altri e di questo si mettono a parlare in confessionale.
Non si riesce a pensare che noi possiamo fare il male volontariamente o liberamente.
Certo nessuno vuole il male per il male, giacchè ontologicamente la volontà deve avere un oggetto e se non appetisse qualche bene, sarebbe senza oggetto, cioè non potrebbe esercitarsi. Ora il male appartiene alla categoria del non-essere e precisamente della privazione, il male è assenza del bene dovuto (privatio boni debiti), per cui in questo senso, ossia da un punto di vista ontologico, è impossibile “volere il male”.
Eppure si deve dire, da un punto di vista morale, che è possibile volere il male, altrimenti il peccato non esisterebbe, per cui Cristo, venuto per ottenerci la remissione dei peccati, sarebbe venuto per nulla. Il male, da un punto di vista morale, è allora come ho detto un bene che si trova al di fuori dell’ordine morale. E’ un atto in sé cattivo, ma che noi arbitrariamente e senza motivo ragionevole giudichiamo buono.
Tuttavia la malizia umana è quasi sempre causata da debolezza oltre che da cattiva volontà. Una pura malizia della volontà è molto rara, essa si avvicina alla malizia diabolica, ed è più propria dei peccati spirituali (superbia, odio, invidia, ipocrisia, presunzione, falsità, empietà, eresia, orgoglio, ecc.). Spesso gli uomini si abbassano al livello delle bestie, più che innalzarsi per superbia contro Dio alla maniera del demonio.
Si deve dire allora che il male morale, ossia il peccato è la ricerca o l’attuazione di un bene, ma solo di un bene o che si trova fuori della giusta misura – un bene troppo scarso o eccessivo -, oppure un bene solo apparente o illusorio, per esempio fantastico o utopistico, ma in realtà falso, oppure un bene sproporzionato o disordinato rispetto ad altri beni.
Dobbiamo confessare con sincerità che certi peccati ci piacciono. E’ per questo che noi pecchiamo. E’ impossibile far quello che non attira. Se dunque facciamo il male è perché ci piace. E ognuno di noi sin dalla nascita, come conseguenza del peccato originale, si sente attirato chi da un vizio chi da un altro, chi dall’avarizia, chi dall’ira, chi dalla lussuria, chi dall’invidia, chi dalla superbia, e così via.
Abbiamo certamente delle inclinazioni innate buone, sulle quali poi deve costruire tutta l’opera educativa; ma purtroppo abbiamo anche cattive inclinazioni, che possono peggiorare se non vengon corrette e ad esse se ne possono aggiungere anche altre, come per esempio il vizio del fumo, del bere, delle pratiche anticoncezionali o l’imbrogliare negli affari o l’arte dell’ingannare gli altri.
E’ relativamente facile, quando facciamo l’esame di coscienza, sapere se un peccato l’abbiamo fatto volontariamente o involontariamente, sapendo o non sapendo che era peccato. Più difficile è giudicare l’operato degli altri: quello sa che mi dovrebbe salutare: perché non mi saluta? Sa che la Chiesa insegna la divinità di Cristo: perché non la riconosce? Conosce il dovere della mitezza o della giustizia o della gratitudine o dell’obbedienza o del culto divino: perché non lo pratica? Sa che non deve odiare: perché odia? O forse non lo sa?
In certi casi è molto difficile credere alla buona fede o all’ignoranza invincibile, e allora in questo caso la cattiveria è evidente. Chi si oppone volontariamente al bene evidente è evidentemente un malvagio. Non ha scuse e potrebbe o dovrebbe essere punito. Allora però dobbiamo stare attenti a non far degenerare in rabbia o rancore o sete di vendetta quello che può essere un giusto sdegno o dispiacere dettato da un sano senso della giustizia.
Dobbiamo anche esser pronti a perdonare se il peccatore si pente. Sbagliano invece coloro che perdonano il peccatore non pentito. E’ questo un grave equivoco del buonismo che conduce praticamente il perdonatore ad essere connivente col peccato che crede di “perdonare”.
In altri casi invece non è difficile scusare, essere indulgenti o notare colpa leggera o nessuna colpa, perché ci accorgiamo che il soggetto, con tutta la buona volontà, magari o per ignoranza o per precedenti debolezze, non è convinto di far male oppure non riesce a compiere il bene: ciò si verifica soprattutto nei soggetti minori non educati, nei peccati passionali, peccati di sesso, di impulsività, di timidezza, di opportunismo. I peccati di Giamburrasca, di Don Abbondio o di Maria Maddalena.
Restare calmi quando si è aggrediti o insultati, resistere alla tentazione quando l’attrattiva è forte ed allettante, saper aggredire coraggiosamente e tempestivamente il nemico quando questo è temibile, esser pazienti nelle grandi prove, mantenersi umili nei grandi successi, restar lucidi quando ci prende il panico, esser pronti a perdonare quando si riceve una grave offesa, mantenersi nella verità quando si è sotto l’influsso di un sofista o di un impostore, non è facile per nessuno. Se in questi casi si cade, è doveroso scusare, comprendere, essere clementi. Qui emergono solo gli eroi o i santi.
Nei peccati di debolezza la colpa cala, per esempio da “mortale” a”veniale”, ma non sparisce del tutto, almeno finchè l’atto è compiuto in stato di veglia da parte di un soggetto psichicamente normale. E’ evidente che i malati di mente o il dormiente o il distratto o chi perde la testa per debolezza può essere scusato del tutto.
Caso del tutto speciale, anche perché molto raro, è quello dell’indemoniato. Ma qui il soggetto perde la coscienza e quindi, anche se commette peccati oggettivamente gravi, come per esempio di violenza o di empietà, mancando l’avvertenza o la volontà, la colpa non esiste.
Ma quando la verità brilla ed è evidente, quando i fatti sono chiari, quando la dottrina è dimostrata, quando l’oratore è persuasivo, quando il miracolo è strepitoso, quando l’esempio è trascinatore, quando la testimonianza è credibile, quando il confutatore mette alle corde, come si fa a non arrendersi, perché ostinarsi e non cedere, a che pro? Si potrà mai in questi casi essere in buona fede, forse che non ci sarà l’“impugnazione della verità” conosciuta? Forse che non si pecca contro lo Spirito Santo?
Certo una cosa può essere evidente per me e non per te. Pertanto occorre sempre mettersi nei panni degli altri per dare un giudizio appropriato. Ma a volte, ripeto, la verità è così chiara, oggettiva, universale, fondamentale, incontrovertibile ed indiscutibile, che il suddetto sano relativismo non ha più ragion d’essere e se si continuasse da invocarlo, avremmo il relativismo nel senso peggiore della parola, come vero e proprio peccato o di connivenza o di debolezza o di complicità o di contravvenzione al proprio dovere, specie se si è educatori, superiori o guide della Chiesa e della società.
Scusare in questi casi è stoltezza, è connivenza col peccatore, è dar prova di relativismo morale o di debolezza pastorale imperdonabile, è un insopportabile buonismo che dà l’apparenza della misericordia, ma che in realtà è approvazione del male.
In questo settore del giudicare e dell’educare non si finisce mai di imparare, anche perché le persone cambiano, profondo è il mistero della persona, imprevedibili sono le azioni della libertà, ed ogni caso e ogni persona sono un caso a sé. E’ tutto un paziente esercizio di carità, prudenza e giustizia da portare avanti con perseveranza, fiducia e valendosi di buoni criteri di valutazione. E’ molto importante affidarsi alla preghiera e chiedere luce allo Spirito della Verità.
Liberta' e Persona
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