Governo e Aifa procederanno a una rivalutazione dell’uso off-label della triptorelina per il trattamento della “disforia di genere”. Traballa la rimborsabilità. Determinanti gli scandali e i pericoli per bambini e ragazzi. Ripercorriamo i passi che hanno portato a questo primo ripensamento.
L’uso disinvolto della triptorelina come farmaco soppressore della pubertà, nei minori che lamentano la cosiddetta "disforia di genere", potrebbe essere vicino al capolinea, almeno in Italia. Il condizionale è d’obbligo, visto che queste decisioni spesso cambiano al cambiare del colore politico al governo e, altrettanto spesso, le ideologie e le lobby che le promuovono – magari ammantando di “scientificità” le proprie posizioni – influiscono più del buonsenso.
Ma intanto va accolta positivamente la notizia del tavolo tecnico istituito attraverso il decreto firmato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, e da quello della Famiglia, Eugenia Roccella, con il fine di redigere nuove linee guida sulla "disforia di genere" (concetto già di suo fuorviante) e rivalutare l’inclusione della triptorelina tra i farmaci autorizzati per il suo trattamento off-label (cioè al di fuori delle indicazioni da foglietto illustrativo) e rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale.
Vale la pena ricordare i passaggi principali che hanno portato l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nel marzo 2019, a garantire questa perniciosa rimborsabilità. L’Aifa, nel novembre 2017, aveva ricevuto una richiesta in tal senso dalla Società italiana di endocrinologia (Sie), dalla Società italiana di andrologia e medicina della sessualità (Siams), dalla Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp) e dall’Osservatorio nazionale sull’identità di genere (Onig).
A corroborare questa richiesta all’Aifa contribuirono all’epoca anche le linee guida della World professional association for transgender health (Wpath), tra le più influenti organizzazioni scientifiche mondiali a sostenere l’approccio transessualista. Oggi sappiamo che si tratta della stessa organizzazione finita in questi mesi al centro dello scandalo noto come “Wpath files”, sorto dalla pubblicazione di una serie di documenti interni che mostrano come i medici della Wpath abbiano usato bambini e ragazzi come vere e proprie cavie dei loro trattamenti o, meglio, esperimenti sull’impossibile “cambio” di sesso.
Tornando all’iter per l’uso fuori etichetta della triptorelina, farmaco usato principalmente come antitumorale, nell’aprile 2018 l’Aifa aveva chiesto una valutazione al Comitato nazionale di Bioetica, che il 24 luglio dello stesso anno aveva dato – pur con una serie di raccomandazioni – il suo parere favorevole, con un solo voto contrario. L’Agenzia del farmaco aveva quindi redatto il provvedimento per la rimborsabilità (determinazione 21756/2019), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 marzo 2019. Nel regime precedente i medici potevano sì prescrivere, come per altri farmaci, l’uso off-label della triptorelina, ma chiaramente con un maggior carico di responsabilità da parte loro e appunto senza rimborso.
I lettori della Bussola, inoltre, ricorderanno che pochi giorni dopo la determinazione dell’Aifa c’era stata la clamorosa apertura verso la nuova linea dello Stato da parte di Vatican News e, a ruota, di Avvenire, segno di un sostanziale nulla osta da parte dei vertici vaticani e del tradimento rispetto a quello che le Sacre Scritture (cominciando dalla Genesi) e il Magistero della Chiesa hanno sempre insegnato in tema di corpo, sessualità, natura maschile e femminile.
Prima o poi, però, tutti i nodi vengono al pettine. E così sta accadendo per la triptorelina usata per bloccare la pubertà. Va ricordato innanzitutto che nel variegato mondo delle società scientifiche ci sono state realtà che si sono dette contrarie alla rimborsabilità del farmaco, come ha ricostruito l’attuale presidente dell’Aifa, Robert Giovanni Nisticò, nell’audizione del 14 maggio scorso davanti alla Commissione Affari sociali della Camera.
Ma altri fatti sono nel frattempo occorsi, tra cui gli scandali legati all’uso della triptorelina come farmaco blocca-pubertà e le salutari retromarce fatte da alcuni degli Stati più progressisti in tema di transessualismo.
Nel nostro Paese è scoppiato da mesi il caso dell’Ospedale Careggi di Firenze, sottoposto a un’ispezione del Ministero della Salute per via delle criticità emerse nella somministrazione della triptorelina, che sarebbe stata prescritta a giovani e giovanissimi anche in assenza dei requisiti della valutazione psicologica e quindi del consenso multidisciplinare. Consenso che peraltro, dobbiamo aggiungere, al di là del rispetto formale degli attuali protocolli medici, non giustificherebbe – sul piano sostanziale – l’idea di bloccare un processo naturale come la pubertà, con i relativi danni che questo comporta per lo sviluppo psicofisico dei minori.
La relazione di Nisticò ha evidenziato alcune lacune nella documentazione ricevuta dal Careggi, spiegando che la struttura del file, su base trimestrale, inviato dall’ospedale di Firenze «non consente una agevole distinzione tra le varie categorie di soggetti (adolescenti con DG [disforia di genere] rispetto a adulti in percorso transgender, rispetto ad altri soggetti in trattamento per condizioni analoghe)», aggiungendo che «nessuna informazione era presente in relazione alle valutazioni psicologiche o psichiatriche».
C’è poi, come accennato, il dietrofront di altri Paesi a interrogare le coscienze di casa nostra. «Recentemente sono state pubblicate raccomandazioni con orientamenti non più concordi rispetto all’impiego della triptorelina nella DG», ha riconosciuto il presidente dell’Aifa. Il quale ha quindi citato esplicitamente la revisione pubblicata il 12 marzo di questo anno dal ramo inglese del National Health Service (Nhs), che di fatto mette a nudo l’inconsistenza dei pareri favorevoli all’uso degli ormoni soppressori della pubertà. «Questo accurato processo di revisione – riassume Nisticò – suggerisce come le evidenze scientifiche a supporto dell’uso di triptorelina nella DG derivano da piccoli studi osservazionali non controllati, soggetti a bias e confondimenti. Ad esempio, si conoscono poche informazioni su comorbità e trattamenti concomitanti». Tra i limiti statistici più evidenti, la mancanza di un gruppo di controllo per analizzare «gli effetti della triptorelina sulla densità ossea». Inoltre, «rimangono limitati i dati sulla sicurezza a breve e lungo termine». Per questi motivi, l’Nhs ha concluso che non ci sono prove sufficienti a sostegno della sicurezza dell’uso di farmaci come la triptorelina per il trattamento della disforia di genere in bambini e adolescenti.
Alla luce di questi fatti, è stata appunto annunciata una rivalutazione sul regime di rimborsabilità della triptorelina in questo suo uso off-label. Questa rivalutazione sarà fatta dall’Aifa di concerto con il tavolo tecnico istituito presso l’ufficio di Gabinetto del ministro della Salute, composto da 29 membri, «e con le principali Società scientifiche coinvolte», che lo stesso Nisticò, nella sua relazione, ha indicato nella Sie, la Siams e la Siedp. Sono le stesse società, come visto, che nel 2017 avevano spinto per la rimborsabilità. Si spera che nel frattempo abbiano avuto modo di cambiare idea, in favore di un principio base della medicina: primum non nocere. Che qui significa preservare dei corpi sani, anziché assecondare l’erronea convinzione che siano “sbagliati” e devastarli. Ne va della salute, innanzitutto, di bambini e ragazzi.
Nessun commento:
Posta un commento