Il Sacramento della confessione non è una seduta psicoanalitica. Il peccatore non deve giustificarsi. E il sacerdote non è in confessionale per assecondarlo o dargli coraggio, ma per aiutarlo a odiare i peccati commessi, perché non li ripeta.
di Ettore Gotti Tedeschi (14-05-2014)
La mia generazione apprendeva, nello studio della dottrina cristiana, che il peccato è il vero primo e peggior nemico dell’uomo. E apprendeva che il maggior pericolo che l’uomo corre è sottovalutarlo, ignorarlo, cancellarlo. Per riuscirci la pratica del Sacramento della confessione è indispensabile, perciò la maggior tentazione è non volersi confessare.
La mia generazione apprendeva anche che è con la penitenza e l’assoluzione sacramentale che il peccatore, contrito, sincero e con intenzione di non peccare più, trova perdono e misericordia. Consistendo la misericordia nel perdono e nell’assoluzione del peccatore che ha compreso la gravità del peccato e lo abbia ben confessato.
Ci insegnavano che Iddio accorda il Suo perdono, esprimendo così la Sua misericordia, non con una consolatoria e indulgente assoluzione, ma riconciliandosi con il peccatore, cancellando le sue colpe, riportandolo alla Grazia, rendendolo capace di acquisire nuovi meriti praticando il bene, liberandolo dalla potestà del demonio e dell’inferno, offrendogli il Paradiso, fortificandolo, dandogli la vera consolazione con la pace della coscienza. Ci insegnavano che Dio, in cambio di tutta questa misericordia, chiede, più di tante espiazioni, solo il vero pentimento del cuore in una sincera confessione. Ma questo deve esserci per non continuare ad esser attratti dal peccato come prima. Ed ecco il punto su cui i maestri insistevano di più (i miei furono gesuiti): bisogna odiare il peccato, non volerlo più commettere. Per riuscirci, insegnavano, si deve anzitutto amare Dio e quindi conoscere gli effetti del peccato. Per riuscirci si deve accettare a volte la durezza del confessore, a volte anche la non assoluzione. Per il bene dell’anima il rischio di una confessione indulgente è restare esposti alla tentazione del peccato. A che giova allora essere stati assolti se la coscienza non è stata totalmente ripulita?
Una confessione non è assimilabile ad una seduta psicoanalitica dove si cercano spiegazioni sul proprio comportamento per trovare consolazioni e coraggio. La misericordia consiste nel tornare ad ottenere la Grazia santificante persa con i peccati confessati. Il peccato va temuto, le occasioni vanno fuggite. La tranquillità di coscienza e la pace del cuore nascono anche dalla capacità del confessore ad esaminare il peccato e stimolare la volontà di odiarlo, non nasce certo dalla relativizzazione oggettiva e soggettiva (giustificabile) del peccato che lascia pensare “era inutile andare a confessarsi”. Il confessore deve esser medico spirituale che fa diagnosi e prognosi prescrivendo i mezzi efficaci per guarire. I metodi “stamina” nella cura dell’anima non sono opportuni. Per formare l’anima e risparmiarle i rigori della divina giustizia è necessario l’esame di coscienza, così si arriva a conoscere se stesso, si arriva a umiliare il proprio orgoglio, la propria superbia, vincendo l’amor proprio mortificandolo in confessione. Ci insegnavano che con il peccato mortale si perde la grazia di Dio, che una confessione mal fatta ed una assoluzione ingiustificata può esser una offesa a Gesù stesso che con il Suo sangue guarisce dal peccato. Santa Teresa ebbe una visione dell’inferno pieno di anime che vi precipitavano per confessioni mal fatte.
Il timore di Dio è salutare e la misericordia del confessore verso il penitente sta nell’aiutarlo a proporsi di non peccare più. Perciò l’assistenza di un santo confessore è assimilabile a quella di un secondo angelo custode che ci illumina e dirige. Anche da questa scelta dipende la nostra salvezza. Chi ha premura per le anime istruirà, correggerà, ammonirà, secondo il bisogno. Forse il confessore che appare troppo comprensivo, benigno, indulgente, concorre a non fare il bene dell’anima che ha ricorso a lui. Ars artium cura animarum. San Basilio, oltre a raccomandare di cercare i confessori esperti, come i medici, invitava a non riferirsi a Dio solo per la metà del lato misericordioso, ma anche al lato di giustizia, per non rischiare di creare un Dio complice. Sant’Agostino lamentava che questa vana speranza (di misericordia) ha ingannato e tirato in perdizione tanti. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori scrisse “ … ne manda più all’inferno la misericordia di Dio che non la Sua giustizia … (Deus non irridetur)”. San Cipriano scrisse : “ … guardati che la misericordia di lui (il confessore) non sia stolta indulgenza, una pace vana e falsa, pericolosa per chi la dà e inutile, anzi funesta, per chi la riceve … Et misericordia eius timentibus eum. La misericordia è promessa a chi ama, ma anche teme Dio. Così almeno mi insegnarono.
© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
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