giovedì 8 maggio 2014

È Cristo l’uomo della Sindone? Ecco gli ultimi test medici a Padova




di Roberto Brumat (20/04/2014)

L’uomo della Sindone ha certamente riportato un grave trauma al collo, alla spalla destra (abbassata rispetto all’altra) e al torace: è stato assicurato alla croce con due chiodi piantati nei polsi e due nei piedi; l’omero destro venne lussato dal forte stiramento del braccio tirato per essere disteso sul patibulum (asse orizzontale della croce), mentre l’omero sinistro presenta segni di quasi lussazione. Gli venne pure lussato il piede destro, tirato con le corde verso il basso per farlo aderire meglio allo stipes (asse verticale). La mano destra rimase paralizzata dalla lesione del nervo ulnare e la testa presenta un enoftalmo destro, cioè il rientramento del bulbo oculare per un forte colpo subito dalla spalla destra che determinò la paralisi dell’intero plesso brachiale. La morte sopravvenne dopo poche ore, da tre a sei, mentre solitamente i crocefissi sopravvivevano anche tre giorni. Non morì per asfissia come finora si credeva, ma probabilmente per infarto. Sono le nuove rilevanze a cui è giunta un’equipe medica dell’Azienda Ospedaliera di Padova e dell’Università di Padova dopo due anni di analisi cliniche sulle tracce lasciate sulla Sindone: per la prima volta sono state riprodotte su arti di cadaveri le procedure subite da chi lasciò l’impronta di un uomo crocefisso sul lenzuolo di lino conservato nel duomo di Torino.




I risultati sperimentali condotti con l’ausilio di radioscopia e risonanza magnetica, rivelano quindi che il crocefisso, che presenta anche altri segni (da tempo conosciuti) come tracce di sangue compatibili con una corona di spine conficcata sulla fronte, la ferita di una lancia sul costato, lo zigomo destro tumefatto, un taglio sul naso e i segni di caduta sul ginocchio destro in corrispondenza dei quali sul tessuto sindonico sono state rilevate tracce di terriccio ricco di Aragonite, minerale tipico di Gerusalemme, fu quasi certamente sottoposto alla seguente procedura. Arrivò al luogo della crocefissione dopo aver subito un grave trauma al collo, alla spalla e al torace; dopo che il patibulum fu assemblato a terra allo stipes, gli piantarono un primo chiodo a metà del polso sinistro, ma siccome il chiodo da 10 centimetri non entrava perfettamente sull’asse di olivo duro, lo estrassero bucando un po’ più su. Quindi tirarono con forza il braccio destro per fare aderire meglio, anche in quel caso bucarono il polso due volte, sempre estraendo il chiodo dal primo foro fatto nel polso.

Nella foto radiografica un chiodo di tipo romano impiantato sul polso durante lo studio, ha determinato gli effetti provocati da quel tipo di lesione, compatibili con quanto si nota sulle mani della Sindone. Poi passarono a fissare le gambe. Tenendo le ginocchia leggermente flesse, spezzarono l’articolazione del piede destro e lo assicurarono alla tavola con un chiodo al centro ed un secondo nel punto dell’articolazione; quindi inchiodarono il piede sinistro. Furono impiegati due chiodi romani a testa quadrata di 0,8 cm di lato: uno lungo 10 cm (come per i polsi) per fissare il piede destro e l’altro di circa 25 cm per inchiodare i due piedi insieme, il sinistro sovrapposto al destro. E’ verosimile quindi che l’uomo della Sindone abbia subito sette inchiodature: due per ogni polso, due al piede destro e una al sinistro, e sia stato fissato definitivamente sulla croce con quattro chiodi. A dirlo è Matteo Bevilacqua, già direttore del reparto di Fisiopatologia Respiratoria dell’Ospedale di Padova, responsabile di questa ricerca condotta tra il 2012 e il 2014 presso l’Istituto di Anatomia Normale dell’Università di Padova assieme a Giulio Fanti, professore associato del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, a Raffaele De Caro, direttore dello stesso Istituto di Anatomia con i suoi aiuti prof. Andrea Porzionato e prof. Veronica Macchi.




I punti esatti delle inchiodature rilevati dalla ricerca padovana e pubblicati dalla rivista americana di ortopedia Injury indicano che l’uomo della Sindone ha subito due inchiodature al polso sinistro: una fra gli ossicini del carpo semilunare, piramidale, capitato e uncinato (impronta da tempo nota del chiodo sulla Sindone); l’altra più in alto fra radio, semilunare e scafoide che ha provocato la retrazione del pollice con conseguente scomparsa della sua impronta sul lenzuolo di lino.

Le macchie di sangue sulla Sindone sono dovute al sanguinamento dopo la schiodatura perché l’uomo venne deterso dopo la deposizione dalla croce avvenuta forse un paio d’ore dopo il trapasso: altrimenti le impronte non sarebbero così nitide su un corpo completamente imbrattato di sangue. Il sangue che vediamo è post mortem e secondo il costume ebraico del tempo, non poteva essere toccato o rimosso perché ritenuto impuro.

Le macchie di sangue fanno sospettare la presenza di due fori da chiodi al polso sinistro e due sulla pianta del piede destro, con lo scolo sugli avambracci dovuto al sanguinamento da schiodatura. I risultati ottenuti apportano ulteriori importanti indizi sull’autenticità della Sindone e sull’identificazione dell’uomo in Gesù perché confermano quanto riportato nel Vangelo e arricchiscono di inediti dettagli la descrizione della passione: forse fu la flagellazione a provocare sull’uomo della Sindone una contusione polmonare ed una cardiaca. Lo scienziato suppone che il trauma al collo possa corrispondere a quello subito da Cristo quando, raggiungendo il monte Golgota, cadde portando sulle spalle l’asse della croce che pesava almeno 40 kg. Per capire la sofferenza patita dall’uomo della Sindone (considerato alto 175 centimetri e di un peso approssimativo di 75 kg), Matteo Bevilacqua spiega che le lesioni ai nervi mediani dei polsi provocano un dolore acutissimo e che un semplice movimento in quelle condizioni può portare allo svenimento. Secondo noi l’inchiodatura delle braccia ha molto limitato la respirazione, ma non al punto da provocare la morte, sopraggiunta probabilmente per infarto e non per asfissia o per il versamento di sangue nel cavo pleurico di destra (da contusione toracica durante la caduta): e anche questo sarebbe compatibile con i Vangeli che parlano del grido di Cristo in croce immediatamente prima di morire.

A Padova da anni si effettuano studi sulla Sindone. Il prof. Giulio Fanti (di questa equipe) nei suoi saggi basati sui suoi studi ingegneristici e statistici, ha recentemente confutato l’attendibilità della datazione della Sindone ottenuta con il Carbonio 14 nel 1988 in tre laboratori (Usa, Gran Bretagna, Svizzera), secondo cui il tessuto è di un periodo che va dal 1260 al 1390 dopo Cristo. E ha sperimentato che un’immagine di tipo fotografico come quella presente sul telo di lino della Sindone, può essere prodotta da una violentissima radiazione pari a quella determinata da 50 fulmini.




© ROBERTO BRUMAT




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