Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola
Vengono in mente Mosul, la Cina, la Corea del Nord ogni qual volta si apprende di scuole cattoliche che rinunciano alla Messa di Natale e di presidi che rifiutano il presepe.
dicembre 14, 2015 Alfredo Mantovano
Mosul, Nord dell’Iraq. La Messa vi era celebrata ininterrottamente da 18 secoli: una continuità sacramentale che in Europa forse vanta solo l’Italia. Nell’estate 2014, con l’insediamento dello Stato islamico, questa tradizione viva è stata brutalmente interrotta. L’intelligenza di monsignor Moshe, vescovo di quella diocesi, ha permesso ai 120 mila cristiani residenti in città e nei dintorni di non fidarsi delle assicurazioni dell’Is, e di procedere a un esodo veloce e di massa nella non distante Erbil. Ma la presenza eucaristica non è più garantita, e questa è una delle cause dell’impoverimento, anche materiale, di quel territorio. Nel resto dell’Iraq coloro che professano la fede di Cristo erano circa un milione all’inizio del 2003, sono scesi a 700 mila nel 2006, e attualmente sono 300.000: con questo ritmo scompariranno nell’arco di un quinquennio.
Corea del Nord. Su una superficie di oltre 120.000 chilometri quadrati e con una popolazione di poco meno di 25 milioni di abitanti, pur stimandosi in circa 300 mila i cattolici che vi dimorano, non c’è un solo sacerdote, e quindi la Messa non viene celebrata. Le tre diocesi esistenti sono state dichiarate sedi vacanti e chi si identifica come cristiano viene torturato, ucciso o deportato in uno dei gulag tutt’ora operativi (“ospitano” complessivamente non meno di 200 mila prigionieri).
Cina. Dall’aprile 2014 un numero crescente di chiese è demolito col pretesto di rimuovere strutture che contrastano con le norme edilizie; in realtà si punta a distruggere quel che richiama la fede: ogni simbolo religioso, a cominciare dalla Croce. Fino a gennaio 2015 – il dato non è stato aggiornato – sono stati censiti 650 interventi di questo tipo. Alla diminuzione di edifici religiosi agibili corrisponde la diminuzione della possibilità di celebrare la Messa. Possibilità, peraltro, già complicata dalla aperta persecuzione di vescovi e religiosi, puniti perché “clandestini”, cioè non aderenti alla Chiesa di Stato, alle “associazioni patriottiche”, articolazioni del Partito comunista cinese, oltre i cui confini si è considerati fuorilegge.
Potrei continuare nell’elenco. E ricordare, per esempio, i sacrifici che in tante zone dell’Africa compiono i sacerdoti, ma anche i fedeli, per celebrare i primi e partecipare i secondi alla Messa domenicale. I preti spesso percorrono centinaia di chilometri in mezzo alla giungla o su vie sterrate prive di ogni sicurezza, conducendo fuoristrada o trattori. E quando arrivano al capanno adibito a cappella non sono così certi di terminare il rito, soprattutto se la comunità di ritrova in zone infestate da Boko Haram o al-Shabaab. Ho visto di recente la fotografia del luogo, in un villaggio dell’Egitto, nel quale i cattolici presenti accorrono per prendere parte alla Messa: è un muro diroccato sul quale è stata disegnata una croce, nulla di più.
Sono immagini e storie alle quali non dovremmo mai cessare di dedicare attenzione, e di far seguire preghiera e aiuto; vengono in mente ogni qual volta si legge o si ascolta di presidi che rifiutano di far parlare del Natale a scuola, di prelati che dichiarano che su questo fronte i cattolici sono chiamati a fare “un passo indietro” (salvo poi non far capire quale sarebbe con esattezza questo passo), di preti che rinunciano a celebrare la Messa di Natale: è accaduto da ultimo in un istituto non statale di ispirazione cattolica.
In alcuni luoghi del mondo si soffre per non riuscire a celebrare o a partecipare all’Eucarestia, e cresce il rischio che il sacrificio cruento della propria vita accompagni quello incruento che si consuma sull’altare. In altri, pieni di tanti splendidi edifici religiosi, ci si vergogna di dire Messa, accampando le esigenze del dialogo e del rispetto delle fedi altrui (e quando mai qualcuno è costretto a partecipare alle celebrazioni?). Non diamo per scontato che resti senza conseguenze vergognarsi della presenza reale di Cristo: ovunque nel mondo il disagio per un segno della croce fatto in pubblico presto o tardi è seguito dal “disagio” per la ricomparsa delle crocifissioni dei cristiani. Se avete dubbi telefonate a Mosul.
Tempi.it
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