sabato 12 dicembre 2015

Pochi in piazza per il Giubileo, ancora meno la domenica a messa

 
 
 
 
 
Breve indagine tra i dati Istat sulla pratica religiosa in Italia: negli ultimi anni sempre meno persone entrano in chiesa almeno una volta alla settimana. Eppure Papa Francesco gode di una popolarità mai vista
 
 
di Roberto Volpi | 09 Dicembre 2015
 
I dati dell'Istat dicono che sempre meno persone entrano in chiesa almeno una volta alla settimana

L’indagine sugli aspetti della vita quotidiana dell'Istat è eseguita su un campione di circa 24 mila famiglie, per un totale di circa 54 mila individui, distribuite in 850 comuni italiani di diversa ampiezza demografica. Questo per dire che i dati che si ricavano da questa indagine sono incomparabilmente più precisi e attendibili, per esempio, di quelli che si ricavano dai tanti sondaggi politico-elettorali dei quali pure non si fa che discutere e sui quali si basano, e basano le loro mosse, i soggetti politici del nostro come degli altri paesi. Tra i tanti risultati, si prestano a una considerazione tutta particolare quelli relativi alla “partecipazione sociale”.

Prima confessione: volevo verificare se il pontificato di Papa Francesco, un Papa così popolare, universalmente apprezzato, amato, aveva ottenuto un qualche effetto positivo relativamente alla “pratica religiosa” della popolazione italiana, sintetizzata dall’indicatore più importante, quello della “percentuale di persone di oltre 6 anni che si recano in un luogo di culto almeno una volta alla settimana”. Premetto che se c’è un ambito in cui le statistiche non possono scendere nelle motivazioni profonde e nelle manifestazioni così intime dell’agire umano, bene questo è senz’altro quello religioso, della fede religiosa. Dunque, nessuna pretesa di spiegare o dare giudizi, soltanto quella di mettere sul tappeto, per dire così, qualche dato che pur nella sua limitatezza esplicativa qualcosa possa consentirci comunque di capire e apprezzare con maggiore cognizione di causa. Ed è con maggiore cognizione di causa che possiamo infatti dire che la pratica religiosa in Italia non sta bene, nonostante Francesco. Anzi, con Francesco sembra stare perfino un poco peggio.

Ed ecco allora la seconda confessione: non me lo aspettavo. Non mi aspettavo che la frequenza della presenza nei luoghi di culto (ovvero le chiese, perché tra le famiglie campionate quelle di altre religioni non arrivano presumibilmente al 5 per cento del campione e non pesano che in modo impercettibile sui risultati), anziché risalire, con Francesco fosse ulteriormente scesa, fino a toccare un minimo nel 2014 (per questo 2015 agli sgoccioli occorrerà aspettare la fine del prossimo anno) del 28,8 per cento. Entra in chiesa almeno una volta alla settimana, insomma, poco più di una persona su quattro. Sia chiaro, qualcuno  – o molti, non saprei – può ritenere che questo dato non sia poi così malvagio, ma non è questo il punto.

Il punto, come si dice un milione di volte a sproposito, è un altro. Ma qui è davvero un altro, perché negli anni del pontificato di Benedetto XVI la partecipazione si è tenuta costantemente oltre il 30 per cento, e mediamente attorno al 32-33 per cento, dunque è arretrata con Francesco. Insomma, ancora una volta qualcosa non quadra e quel che si legge sui giornali, si ascolta in TV e radio, non trova poi un riscontro nei dati. E i dati in questione sono attendibilissimi, dicevo, cosicché s’impone una domanda assai delicata, ma ineludibile: com’è che la straripante popolarità di questo Papa, il suo essere universalmente apprezzato, condiviso negli atteggiamenti non meno che per le azioni e le decisioni che prende, non ha portato in Italia a un aumento della partecipazione alle “pratiche religiose”? Com’è che non si va di più, bensì di meno in chiesa con Francesco?
L’interrogativo non è tale da potersi affrontare così su due piedi, liquidare con qualche frase di circostanza. Merita un approfondimento, una discussione. Merita che il fenomeno Francesco – perché tale è –  venga visto, letto e interpretato laicamente, coi mezzi dell’analisi razionale e dell’indagine empirica. Perché, ed è questa una risposta che mi sento di poter azzardare, la lettura che di Francesco hanno  e stanno offrendo i mezzi di comunicazione di massa, col diluvio di parole e servizi e libri dedicati alla sua figura e al suo apostolato, si sta rivelando ben poco laica, nient’affatto acuminata e sottile, bensì conformista, finanche fuorviante. E tuttavia capace, proprio per questa sua scoperta debolezza, di mostrare l’evidenza di una dissociazione: la popolarità, la stima, il gradimento, la condivisione delle parole e delle azioni di Francesco non si riverberano sulla chiesa, né portano i fedeli a una maggiore partecipazione alla sua vita. E’ una dissociazione che, manifestatasi con papa Giovanni Paolo II, riassorbita con Benedetto XVI, sta addirittura esplodendo con Francesco. E’ una dissociazione che certo non può passare inosservata dalle parti del vaticano, neppure in tempi di Giubileo. E che, anzi, proprio il Giubileo minaccia di aggravare ancora di più.
 
 
 
 
 
 
ilfoglio.it
 
 
 
 

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