Gentile Magister,
non sono una personalità come Gotti Tedeschi, né una teologa, né altro di speciale. Sono una insegnante di religione in un liceo e dopo aver letto il suo articolo sulle indulgenze e il purgatorio messi in soffitta, e le prime reazioni su Settimo Cielo, voglio solo condividere alcuni spunti di riflessione.
Devo constatare che proprio in ambito ecclesiale e non solo nella vita quotidiana non si parla più o si parla in modo marginale di peccato o di peccati, di colpe o di pene. I miei alunni, soprattutto quando cominciano a leggere la Divina Commedia, mi chiedono invece spiegazioni proprio su questi temi e mi ascoltano con estremo interesse.
Mi rendo conto che quando parlo di cristianesimo e dunque narro la storia di Gesù fino alla morte e alla risurrezione, li vedo spiazzati: non hanno minimamente l'idea di cosa sia il peccato, l'aldilà, il perché della croce... Niente. Eppure molti sono cresimati, tutti sono battezzati e tutti hanno fatto la prima comunione.
Spesso noto che proprio a causa del silenzio su questi temi e della conseguente non conoscenza, loro non capiscono neanche per quale motivo si dovrebbe essere buoni o cattivi, o anche cristiani anziché altro. È talmente chiaro che se dal mosaico togli dei pezzi importanti non se ne comprende più il senso.
Ho notato anche che, quando negli anni ho annacquato le lezioni per renderle più alla portata dei miei alunni, non ho suscitato in loro il minimo interesse. Quando invece ho parlato a loro in verità e con chiarezza ho visto partecipazione, passione, inserimento di nuovi ragazzi e frutti impensabili.
Non voglio trarre conclusioni di alcun tipo, antropologiche, filosofiche o sociologiche. Ma semplicemente dire che forse stiamo snaturando il messaggio di Cristo e in questo modo non facciamo il bene di nessuno.
Grazie di cuore.
Giusy Leone
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